Pubblicazioni

L’opposizione di terzo

Introduzione

Come noto, il giudice dell’esecuzione per poter procedere alla soddisfazione del diritto del creditore, già acclarato e contenuto in uno degli atti previsti dall’art. 474 c.p.c., può essere chiamato dalle parti a risolvere questioni di merito o formali che, al ricorrere di determinati presupposti, devono essere risolte l’interno di un vero e proprio giudizio di cognizione.

Gli strumenti che l’ordinamento prevede a tutela degli interessi delle parti e degli altri soggetti “interessati” dalla procedura esecutiva sono le c.d. opposizioni,la cui disciplina è prevista dal legislatore nel Titolo V del Libro III del codice di procedura civile.

Le questioni di merito che possono essere prospettate riguardano aspetti sostanziali della vicenda esecutiva e, quindi, la contestazione del diritto di procedere all’azione esecutiva ovvero l’accertamento sulla pignorabilità o meno dei beni oggetto della procedura esecutiva, come ad esempio, la legittimità del titolo esecutivo ovvero l’accertamento del diritto di proprietà sul bene oggetto di pignoramento ovvero le risultanze del registro ipotecario (il “se” dell’esecuzione).

Le questioni formali, invece, riguardano l’irregolarità delle forme ovvero l’inopportunità degli atti esecutivi alla luce degli interessi coinvolti (il “come” dell’esecuzione).

Come tipologie generali di opposizioni nel processo esecutivo, importanza centrale rivestono le opposizioni all’esecuzione, attraverso le quali si fanno valere le questioni di merito e le opposizioni agli atti esecutivi, attraverso cui si contestano le questioni formali, mentre caratteri peculiari presenta l’opposizione di terzo attraverso cui il terzo fa valere il proprio diritto sulla cosa pignorata e la sua estraneità al processo esecutivo

Con l’avvio del giudizio di opposizione, che si contraddistingue da quello esecutivo per la sua natura di giudizio di cognizione, la parte istante potrà richiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione del processo esecutivo, paralizzando l’azione del creditore, in attesa dell’esito del giudizio autonomo di cognizione instaurato.

Per effetto della riforme del 2005-2006[1], la facoltà di richiedere la sospensione dell’esecuzione è stata riconosciuta anche nell’ipotesi di proposizione di opposizione all’esecuzione c.d. preventiva e, cioè, avanzata prima dell’avvio dell’esecuzione (vedi art. 615, comma 1 c.p.c.).

Capitolo 1

L’art. 619 c.p.c. rubricato “dell’opposizione di terzo”

1) Cenni introduttivi sulle opposizioni del processo esecutivo

Il processo esecutivo ha la funzione di dare attuazione ad un diritto già accertato e si avvia solo quando la parte procedente-creditore sia in possesso di un titolo esecutivo come stabilito dall’art. 474 c.p.c. il quale prescrive che “L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile” (art. 474, comma 1, c.p.c.).

In via generale, proprio in virtù della funzione sua propria, il processo esecutivo si differenzia dal processo di cognizione per la mancata previsione in capo all’interprete di un potere di accertamento sul fondamento sostanziale e sulla legittimità del titolo esecutivo come anche sulla legittimità degli atti esecutivi, potere che può essere azionato solo con l’avvio di un autonomo processo di cognizione[2].

Come sopra evidenziato, gli strumenti che l’ordinamento appresta in favore di colui, debitore ovvero terzo debitore ovvero terzo, che vuole resistere all’azione esecutiva del creditore sono le c.d. opposizioni attraverso le quali prende l’avvio un giudizio di cognizione, autonomo ma funzionalmente coordinato col processo esecutivo[3], che può essere istruito e deciso dallo stesso giudice dell’esecuzione ove sia competente.

La disciplina che definisce la fisionomia delle opposizioni si rinviene nel Titolo V del Libro III del codice di procedura civile e nell’art. 512 dello stesso codice.

Le tipologie di opposizioni ivi previste devono ritenersi tassative[4] per cui gli unici strumenti di reazione da parte di colui il cui patrimonio venga aggredito da chi, in base ad un titolo esecutivo, agisca per l’attuazione di un proprio diritto sono quelli individuati dagli artt. 615 c.p.c. e ss. (anche azionati a seguito di impugnazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione nell’ipotesi di cui all’art. 512 c.p.c. – la c.d. opposizione distributiva).

Volendo operare una prima classificazione delle opposizioni, queste si differenziano tra opposizioni preventive, quelle proposte dalla data di notificazione del precetto e sino all’avvio del processo esecutivo ed opposizioni successive e, cioè, quelle proposte dopo il compimento del primo atto dell’esecuzione.

Tra le opposizioni preventive figurano le opposizioni alla esecuzione e le opposizioni agli atti esecutivi, le prime con funzione di accertamento del fondamento sostanziale e della legittimità sostanziale del titolo esecutivo e del precetto, con le quali si contesta il “se” dell’esecuzione, le seconde con funzione di accertamento sulla legittimità formale degli atti esecutivi con le quali si contesta, invece, il “come” dell’esecuzione.

Una volta avviato il processo esecutivo si amplia il campo di accertamento del giudizio di opposizione all’esecuzione, che potrà avere ad oggetto anche le contestazioni sulla pignorabilità dei beni, oltrechè si amplia il novero dei soggetti legittimati a proporre detto giudizio a tutti i soggetti “interessati” come anche sarà possibile avviare una peculiare tipologia di opposizione, la c.d. opposizione di terzo regolata dall’art. 619 c.p.c. e ss.

La distinzione tra opposizioni preventive ed opposizioni successive rileva sotto il profilo processuale e, in particolare, dell’individuazione del giudice competente: per le prime sarà competente il giudice territorialmente competente per materia o per territorio in base al disposto dell’art. 480 c.p.c. mentre per le seconde, che si snodano attraverso un struttura bi-fasica, sarà compente il giudice dell’esecuzione in prima battuta e successivamente il giudice competente per materia o per valore.

2)  Le varie categorie di terzi legittimati all’opposizione

La qualifica di terzo nella materia delle opposizioni viene attribuita in una duplice accezione dalle norme codicistiche.

In primo luogo viene in rilievo il terzo che subisce gli effetti dell’esecuzione la cui posizione soggettiva è parificata dall’ordinamento alla posizione del debitore. Le disposizioni che vengono in rilievo vanno ricercate nel Capo VI del Titolo II del Libro III del codice di procedura civile e, in particolare, negli artt. 602 e ss.

In particolare, l’art. 602 c.p.c. stabilisce chiaramente che “Quando oggetto dell’espropriazione e’ un bene gravato da pegno o da ipoteca per un debito altrui, oppure un bene la cui alienazione da parte del debitore e’ stata revocata per frode, si applicano le disposizioni contenute nei capi precedenti, in quanto non siano modificate dagli articoli che seguono”.

In pratica, il terzo identificato ai sensi del citato art. 602 c.p.c. sarà legittimato ad utilizzare gli stessi strumenti previsti dall’ordinamento in capo al debitore per resistere all’azione esecutiva del creditore (le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c.). Detto terzo, infatti, si identifica in base al “dato di fatto che ad un soggetto viene fatto assumere (…) il ruolo che sarebbe stato proprio del debitore”[5].

All’opposto la qualifica di terzo che legittima lo stesso ad attivare l’opposizione ex art. 619 c.p.c. è attribuita a colui che è estraneo al rapporto obbligatorio tra creditore e debitore e che si trova ciò nondimeno a subire gli effetti pregiudizievoli dell’azione esecutiva, in primis del pignoramento di beni sui quali egli vanta un diritto di proprietà o altro diritto reale ovvero altro diritto prevalente rispetto a quello del creditore.

Nella prassi si verificano ipotesi limite in cui non è semplice stabilire la posizione del terzo e, quindi, la sua legittimazione ad esperire l’opposizione di terzo ovvero le altre tipologie di opposizioni. La questione è centrale ove si consideri che colui che è legittimato a proporre l’opposizione all’esecuzione è legittimato anche a proporre l’opposizione agli atti esecutivi, mentre al terzo di cui all’art. 619 c.p.c. è preclusa la possibilità di contestare gli atti esecutivi in quanto non ha un interesse a contestare le modalità dell’azione esecutiva ma bensì è titolare di interesse all’accertamento del proprio diritto sul bene[6].

Parte della dottrina, ritiene che il terzo proprietario del bene che non è oggetto del titolo esecutivo o del precetto ma che riceve notifica, ad esempio dell’atto di pignoramento, si differenzia dal terzo ex art. 619 c.p.c. che è estraneo alla procedura esecutiva e, pertanto, non è legittimato ad avviare l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi[7].

In via generale, il tipo di rimedio esperibile dipende dalla tipologia di interessi di cui sono portatori i soggetti coinvolti dall’azione esecutiva del creditore. Ad esempio, se l’acquirente di un bene pignorato volesse far valere il proprio diritto sulla cosa ma non volesse contestare la procedura esecutiva, lo stesso dovrà agire secondo le modalità dell’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c.

3)  L’azione di opposizione di terzo nel processo esecutivo

Il Titolo V del codice di procedura civile è suddiviso in due Capi: il Capo I disciplina le “opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all’esecuzione” (artt. 615-618-bis), mentre il Capo II si occupa delle “opposizioni di terzi” (artt. 619-622). Al riguardo, tuttavia, occorre rilevare che la legittimazione a proporre le opposizioni può essere ampliata da parte dell’interprete verso soggetti diversi da quelli tipicamente individuati dalle disposizioni sopraccitate[8].

L’azione di opposizione di terzo nel processo esecutivo rientra nella tipologia di opposizioni di tipo successive e, nell’ambito delle medesime, a quelle che mirano alla contestazione del “come” dell’esecuzione, le c.d. opposizioni agli atti esecutivi.  Gli atti esecutivi, costituiti in primis dal titolo esecutivo, dal precetto e dall’atto di pignoramento sui beni immobiliari ovvero mobiliari possono, infatti, ledere il diritto di proprietà o altro diritto reale di cui un terzo sia titolare.

Il terzo si inserisce solo indirettamente ed incidentalmente nella vicenda esecutiva, al solo scopo di impedire ulteriore efficacia agli atti esecutivi fino a quel momento formati, instaurando un giudizio di cognizione di accertamento del proprio diritto, impedendo così che l’atto esecutivo raggiunga il suo scopo.

In sostanza, il terzo vuole vedere accertata in via giudiziale la legittima “separazione dei beni del terzo da quelli del debitore”[9], attraverso l’accertamento della sua titolarità sul bene aggredito dal creditore interrompendo la procedura esecutiva che risulta viziata sotto il profilo dell’identificazione del suo oggetto.

Sotto tale profilo, l’opposizione ex art. 619 c.p.c., ove accolta, determina effetti analoghi all’opposizione all’esecuzione in quanto travolge l’azione esecutiva che dovrà essere nuovamente avviata attraverso l’identificazione di altri beni da espropriare.

3.1) La domanda di opposizione ex art. 619 c.p.c., la forma e la natura della stessa

La domanda di opposizione ex art. 619 c.p.c. si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione.

L’art. 619 c.p.c. stabilisce che “Il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni” (art. 619, comma 1 c.p.c.). In tal caso l’opposizione di terzo viene definita tempestiva mentre, qualora fosse proposta successivamente alla vendita o all’assegnazione dei beni l’azione è disciplinata dal successivo art. 620 c.p.c. che regola, appunto, l’opposizione di terzo tardiva attraverso la quale il medesimo potrà soddisfare il proprio diritto unicamente sulla somma ricavata dalla vendita.

L’oggetto del diritto di cui il terzo assume essere titolare può essere sia un bene mobile che immobile. In effetti, il regime di pubblicità che regola la materia dei beni immobili ha reso nella prassi sicuramente più frequente l’avvio di azioni di opposizione ex art. 619 c.p.c. avverso esecuzioni mobiliari[10].

Per quanto riguarda la forma dell’opposizione di terzo e del relativo giudizio, occorre distinguere due fasi. La prima risulta regolata analogamente a tutte le forme di opposizioni successive per cui il ricorso va presentato al giudice dell’esecuzione, mentre la seconda è regolata analogamente all’opposizione all’esecuzione per cui per la scelta del giudice soccorre il criterio della competenza per valore, mentre risulta disciplinata autonomamente per quanto riguarda la prova del diritto da parte del terzo[11] (vedi cap. 9).

Riguardo alla natura dell’opposizione di terzo, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’affermane la natura di azione di mero accertamento, non avendo né i caratteri dell’azione costitutiva[12], nè i caratteri dell’azione di condanna, in quanto la pronuncia ha rilevanza unicamente strumentale ed incidentale, stante il collegamento funzionale con il processo esecutivo avviato dal creditore[13].

L’opposizione di terzo differisce altresì dall’opposizione di terzo ordinaria disciplinata dall’art. 404 poiché diversi sono i pregiudizi subiti ed i presupposti dei due strumenti di tutela.

Mentre per l’esperibilità del primo è necessario l’avvio del processo esecutivo e, quindi, si configura quale opposizione alle modalità di esecuzione[14], l’esperibilità dell’opposizione di terzo ordinaria trova giustificazione sin dall’emanazione del provvedimento di cognizione lesivo della posizione del terzo anche a prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza.

In sostanza, con l’opposizione ex art. 404 c.p.c., il terzo può impedire preventivamente la lesione del proprio diritto contestando il titolo esecutivo che costituisce il presupposto dell’azione esecutiva, prima che un soggetto sia obbligato a darne esecuzione quando, tuttavia risulti evidente che il suo interesse viene posto in contestazione. Invece, quando il terzo subisce un pregiudizio solo al momento dell’avvio dell’esecuzione, lo stesso potrà agire ai sensi dell’art. 619 c.p.c. e vedere accertato il proprio diritto.

Pertanto, il discrimine tra le due forme di reazione previste dall’ordinamento, sembra rinvenirsi nell’efficacia della sentenza emessa a seguito del giudizio ordinario: ove questa riguardi il terzo litisconsorte necessario pretermesso allora lo stesso dovrà agire ex art. 404 c.p.c., mentre qualora il suo diritto sia posto in pericolo o leso solo per effetto dell’azione esecutiva, il terzo potrà agire solo ex art. 619 c.p.c.[15]. Al riguardo, occorre rilevare peraltro che il terzo che agisce ex art. 619 c.p.c. non può denunciare motivi che dovevano essere dedotti ex art. 404 c.p.c.[16].

4) Il rimedio dell’opposizione di terzo e la legittimazione attiva e passiva dell’azione esecutiva.

Per quanto riguarda la legittimazione attiva dell’opposizione di terzo di cui all’art. 619 c.p.c. occorre procedere da una lettura a contrario delle disposizioni del Capo I del Titolo V del codice di procedura civile. Infatti, il terzo è “colui che subisce un pregiudizio dall’esecuzione, pur non essendo il debitore né colui che è assimilabile ad esso”[17] e, cioè, il soggetto che sarebbe legittimato a proporre l’opposizione all’esecuzione e/o agli atti esecutivi[18].

Da ciò ne consegue l’impossibilità di una concorrenza tra l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c. e l’opposizione di cui all’art. 619 c.p.c.

In pratica un soggetto assume la veste di terzo ai fini dell’art. 619 c.p.c. quando, per effetto dell’avvio dell’esecuzione nei confronti di un altro soggetto (debitore), subisce gli effetti negativi di un rapporto di cui lo stesso è estraneo in quanto non contemplato né nel titolo esecutivo, nè nel precetto né nell’istanza di pignoramento all’ufficiale giudiziario.

Questione più complessa è quella relativa all’individuazione della posizione giuridica soggettiva rilevante di cui deve essere titolare il terzo ai fini della proposizione dell’opposizione ex art. 619 c.p.c.

Sulla questione si registrano due opposte tesi, l’una che afferma che la legittimazione attiva del terzo è ammessa solo se questi risulti titolare anche di un diritto non reale, purchè prevalente rispetto a quello del creditore. Detto indirizzo si giustifica in base al necessario coordinamento tra norme processuali e norme sostanziali con particolare riferimento all’art. 2915, comma 2 che ammette l’opponibilità al pignoramento di alcuni atti e di alcune domande giudiziali identificati riferendosi all’art. 2652 c.c. in tema di trascrizione della domanda[19], tuttavia, con esclusione del mero diritto di credito che “non può mai prevalere sulla funzione del pignoramento”[20].

Al contrario, altra parte della dottrina ritiene che, affinché un soggetto possa qualificarsi come terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c., è necessario che sia titolare di un diritto di proprietà e di altro diritto reale in linea con il dato letterale della medesima disposizione[21].

Per quanto riguarda la legittimazione passiva nell’opposizione di cui all’art. 619 c.p.c., dottrina e giurisprudenza in modo unanime affermano “la necessità del litisconsorzio nei confronti sia del creditore procedente e sia del debitore, nonché dei creditori pignoranti”[22], mentre tale unità di interpretazione manca in riferimento alla necessità di notificare il ricorso ed il relativo decreto ai creditori intervenuti che vantino un titolo esecutivo nei confronti dei medesimi beni attraverso l’instaurazione di un pignoramento successivo[23].

Al riguardo, si ritiene ammessa la legittimazione passiva dei creditori intervenuti nel processo esecutivo in quanto portatori di autonomi interessi che sarebbe altrimenti lesi in caso di accoglimento dell’opposizione.

5)  La notificazione del ricorso e del decreto

In considerazione della natura successiva dell’opposizione di cui all’art. 619 c.p.c. questa può essere proposta solo a seguito del pignoramento dalla cui formazione inizia a decorrere il termine di proposizione del ricorso al giudice dell’esecuzione, la cui designazione avviene, peraltro, “soltanto a pignoramento avvenuto”[24].

Come noto, in applicazione dell’art. 620 c.p.c. è possibile proporre l’opposizione di terzo anche dopo la vendita ma, in tale ipotesi, il terzo potrà unicamente rivalersi sul prezzo della vendita secondo le forme di cui all’art. 512 c.p.c., coinvolgendo anche l’acquirente.

Il ricorso ed il decreto di fissazione dell’udienza dovranno poi essere notificati ai sensi degli artt. 138 e ss. c.p.c. al creditore ed al debitore del processo esecutivo e successivamente depositati presso la cancelleria del giudice ed iscritto a ruolo.

Per quanto riguarda il termine finale per l’esperibilità dell’opposizione ex art. 619 c.p.c. si ritiene debba identificarsi con il momento dell’effettiva vendita e non al provvedimento che dispone la vendita o l’assegnazione del bene[25].

Come sopra rilevato, rimane sempre ammissibile l’attivazione del rimedio di cui al successivo art. 620 c.p.c., ossia dell’opposizione di terzo tardiva attraverso cui il terzo potrà unicamente rivalersi sulla somma ricavata dalla vendita del bene. L’efficacia di tale rimedio deve comunque conciliarsi con la disciplina codicistica sulla buona o mala fede dell’acquirente o assegnatario[26].

Per espressa previsione dell’art. 619 c.p.c. il rito prescritto per l’opposizione de qua si struttura in due fasi distinte.

Nella prima fase, regolata dagli artt. 737 e ss del c.p.c. che disciplinano i riti camerali (vedi anche art. 185 disp att. c.p.c.), il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti e stabilisce un termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto ai soggetti legittimati a resistere all’opposizione (vedi par. 5).

In applicazione dell’art. 619, comma 3, come modificato dalla Legge 52/2006, il processo esecutivo avviato dal creditore può essere ritenuto estinto dal giudice dell’esecuzione qualora le parti abbiano raggiunto un accordo alla prima udienza, restando peraltro il giudice libero di valutare l’opportunità di adottare ogni altra decisione idonea ad assicurare la prosecuzione del processo, statuendo sia in ordine alla eventuale istanza di sospensione dell’esecuzione presentata dal terzo che sulla competenza a decidere la controversia. In assenza di accordo tra le parti, il giudice provvederà analogamente a quanto stabilito dall’art. 616 c.p.c. in materia di opposizione all’esecuzione successiva del debitore ovvero terzo ad esso equiparato (vedi art. 602 c.p.c.).

Oltre a definire la competenza ad espletare il giudizio di opposizione il giudice esecutivo, su istanza di parte, ha la facoltà di sospendere l’esecuzione alla ricorrenza di “gravi motivi” che, considerata la natura cautelare del provvedimento, coincidono in larga parte con i criteri classici del fumus boni iuris e del periculum in mora. L’ordinanza ha natura cautelare e, quindi, potrà essere soggetta a revoca, modifica ovvero, secondo alcuni, ad opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

La competenza del giudice è stabilita in base al duplice criterio per territorio e per valore[27]. Al riguardo, appare opportuno osservare che la Corte di Cassazione ha esplicitamente negato che la decisione sulla competenza sia impugnabile con regolamento di competenza e ciò in base alla considerazione che detta decisione non ha contenuto decisorio ma costituisce un “atto ordinatorio di direzione del processo esecutivo”.[28]

Nella seconda fase del giudizio introdotto con l’opposizione di cui all’art. 619 c.p.c., secondo le norme dettate dall’art. 616 c.p.c., il giudice dell’esecuzione adito potrà, se si riterrà competente, occuparsi direttamente della richiesta di accertamento del diritto del terzo, secondo le norme del codice di procedura civile dettate in materia di processo di cognizione, fissando un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito “(…) secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’articolo 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà (…)”(si veda art. 616 c.p.c.).

Qualora, il giudice dell’esecuzione non si ritenesse competente dovrà rimettere la causa all’ufficio giudiziario competente, assegnando al terzo un termine perentorio per la riassunzione della causa. Il processo così instaurato sarà regolato dalle disposizioni previste per il giudizio ordinario di cognizione, in merito al rispetto del contraddittorio ed a tutte le garanzie ivi previste per le parti e tutti i poteri e le facoltà riconosciute all’interprete.

In entrambi i casi, il procedimento di cognizione avviato con l’opposizione di cui all’art. 619 c.p.c. si concluderà con una “(…) sentenza non impugnabile (…)” che tuttavia potrà essere oggetto di ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost.

Parte della dottrina ha sostenuto che la sentenza che definisce il giudizio di opposizione ex art. 619 c.p.c. non è idonea a passare in giudicato  in quanto “ha una funzione strumentale al processo esecutivo” e non avrebbe funzione sostanziale di accertamento del diritto del terzo tra le parti in quanto opera il limite probatorio di cui all’art. 621 c.p.c. “la cui funzione strumentale rispetto alla legittimità del proceesso esecutivo, sarebbe, in contrasto con i diritti di difesa del terzo”[29]. La dottrina e la giurisprudenza  maggioritaria, invece, concordano sulla portata sostanziale dell’accertamento e sulla sua idoneità ad assumere efficacia di giudicato[30].

6) La nullità del precetto o della sua notificazione e facoltà consentite al terzo opponente

In via generale, si ritiene che il terzo estraneo alla vicenda esecutiva potrà agire per la contestazione della nullità del precetto e, quindi, presentare opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. mentre, qualora agisca per la nullità della notificazione agirà con opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

Ad esempio, l’interesse a proporre l’azione ex art. 615 c.p.c. è stato rinvenuto nell’ipotesi in cui “il creditore della consegna di una cosa mobile pretende di far luogo all’esecuzione per consegna presso il terzo di buona fede che vanta la proprietà”[31].

Infatti, una volta avviata l’esecuzione, qualora non ne sia stata disposta la sospensione, il terzo può compiere tutti gli atti di gestione del bene e deve essere sentito in caso di vendita o assegnazione dello stesso e potrà assumere anche il ruolo di soggetto interessato all’esecuzione. Ad esempio, il terzo è titolare di un interesse alla validità del pignoramento poichè in caso di accertamento negativo potrà trascrivere il suo diritto in quanto il pignoramento precedentemente ha perduto i suoi effetti.

Pertanto, il terzo può essere legittimato all’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c. qualora nel corso dell’esecuzione assuma la veste sostanziale di soggetto passivo del processo esecutivo ovvero sia destinatario degli atti dell’esecuzione. Infatti, il negativo accertamento del diritto a procedere del creditore ha un indubbio interesse per il terzo che, anche se estraneo all’esecuzione, ne viene coinvolto in quanto leso nel suo rapporto con il bene oggetto della procedura esecutiva della quale diventa destinatario degli effetti.

Invece, il rimedio previsto dall’art. 619 c.p.c., come sopra rilevato, spetta al terzo quando questo sia non solo estraneo al rapporto creditore-debitore ma anche estraneo al processo esecutivo non contemplato in alcun atto esecutivo e voglia contestare il diritto del creditore a pignorare i suoi beni[32].

Pertanto, l’identificazione dei soggetti legittimati a proporre opposizione ex art. 615 ovvero all’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. postula un’indagine sulla qualifica o meno di terzo non sempre di semplice soluzione per l’interprete.

Come rilevato, qualora il soggetto sia destinatario dell’atto esecutivo diventa immancabilmente parte della procedura esecutiva e, quindi, legittimato ad agire ex art. 615 c.p.c. mentre può accadere che i soggetti passivi contemplati nei vari atti esecutivi siano diversi. In tali casi la soluzione dipenderà dalle caratteristiche della fattispecie concreta. Ad esempio, si ritiene che nel caso in cui il terzo abbia la disponibilità della cosa ovvero ne sia proprietario, lo stesso potrà agire sia in opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. sia, alternativamente e non in concorrenza, in opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c.

Per quanto riguarda le facoltà riconosciute al terzo, è stata pacificamente ammessa la possibilità per lo stesso di compiere atti di gestione sul bene ovvero anche disporre la conversione del pignoramento[33]. Inoltre, è stato ammesso che il terzo possa effettuare il pagamento nelle mandi dell’ufficiale giudiziario ex art. 454, commi 1 e 2. [34] Al riguardo, tuttavia, occorre registrare un orientamento restrittivo della giurisprudenza che, sulla base di considerazioni propriamente processuali, rilevando che il terzo non è parte del processo esecutivo, ne esclude la legittimazione a contestare i vizi della procedura esecutiva ovvero ad impugnare la validità del titolo[35].

In sintesi, si può rilevare che l’individuazione dei soggetti legittimati a proporre le varie tipologie di opposizione previste dall’ordinamento non risulta sempre di agevole soluzione per cui si dovrà operare una verifica caso per caso in base ai criteri della concretezza e dell’attualità dell’interesse sottostante delle parti ex art. 100 c.p.c.

7)  L’onere probatorio in tema di opposizione all’esecuzione: il diritto di proprietà dell’opponente sui beni rinvenuti presso il debitore durante il pignoramento –  9.1) La prova per testi – 9.2) La prova per presunzioni semplici

Il procedimento di cognizione avviato con l’opposizione ex art. 619 c.p.c. presenta caratteri comuni all’opposizione all’esecuzione successiva ma, tuttavia, sotto alcuni aspetti se ne differenzia in particolare per il regime della prova.

In via generale, l’ordinamento prevede  importanti limitazioni, prima fra tutte, l’impossibilità per il terzo di provare la titolarità sui beni oggetto di pignoramento con la prova testimoniale e nemmeno con presunzioni semplici ex art. 2729, comma 2 c.c.

La ratio di una siffatta disposizione è quella di contrastare fenomeni di collusione tra il terzo ed il debitore al fine di escludere un bene dal patrimonio del debitore medesimo in pregiudizio del creditore. Dette affermazioni trovano fondamento nel chiaro disposto dell’art. 621 c.p.c. che, tuttavia, limita l’operatività di tale preclusione probatoria ai soli casi in cui i beni pignorati si trovino “(…) nella casa o nell’azienda del debitore tranne che l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore”. In tale ultimo caso, l’interprete dovrà effettuare una valutazione in concreto sulla verosimiglianza o meno del diritto del terzo sui beni in base alla professione ovvero al commercio esercitati dal terzo o dal debitore. La dottrina e la giurisprudenza concordano nell’identificare la “casa del debitore” in quella ove “il debitore abitualmente dimora in linea di fatto, (in modo) abituale o tendenzialmente stabile indipendentemente dall’avere egli, per quella dimora, un diritto reale o personale di godimento…”[36].

Il terzo opponente ha l’onere di dimostrare che il diritto sul bene e le modalità di affidamento dello stesso al debitore siano giustificati in base alla sua proprietà sul bene ed alle modalità di affidamento dello stesso al debitore[37]. Al riguardo si parla da parte di alcuni[38] di principio della doppia prova: l’opponente deve provare la proprietà e l’affidamento del bene. Si è soliti ritenere che il terzo proprietario del bene mobile pignorato nella casa del debitore è assoggettato al limite probatorio posto dall’art. 621 c.p.c. per l’accertamento dei fatti costitutivi vuoi del diritto di proprietà vuoi dell’affidamento a qualunque titolo del bene al debitore[39].

Nella pratica accade che spesso il terzo e il debitore siano legati da un rapporto di parentela per cui in tali casi, il terzo dovrebbe essere esonerato dalla prova circa l’affidamento dei beni mentre permane l’onere di provare la proprietà sul bene[40]. Parte della giurisprudenza ha ritenuto che i limiti previsti dall’art. 621 c.p.c. possano essere superati in applicazione dell’art. 2724 c.c. che ammette “in ogni caso” la prova per testimoni in presenza dei presupposti ivi indicati[41]

La posizione maggioritaria in giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, sostiene, comunque, che, qualora il terzo non riesca a provare l’affidamento del bene al debitore ma bensì unicamente il suo diritto di proprietà non potrà opporre il proprio diritto al creditore del processo esecutivo. In effetti, lo scopo della norma potrebbe sempre essere aggirato attraverso la stipula ad esempio di contratti di comodato con data certa. Inoltre, si rileva che la necessità per il terzo di fornire la “doppia prova” sembrerebbe eccessivamente gravosa, nonostante intesa ad eludere pratiche sleali da parte del terzo e del debitore, in quanto il diritto di proprietà, una volta provato, ha un’efficacia erga omnes e, quindi, dovrebbe valere nei confronti della generalità dei consociati ivi inclusi i creditori di un altro soggetto. Tuttavia, in riferimento all’art. 621 c.p.c., la Corte costituzionale[42] ne ha sempre affermato la legittimità costituzionale ponendo l’accento sulla necessità di scongiurare il pericolo di frode tra terzo e debitore.

La fattispecie speciale prevista dall’art. 622 c.p.c., invece, ammette la possibilità per il terzo di provare unicamente la proprietà del bene e non l’affidamento quando questo sia ubicato nella casa coniugale e quando i coniugi abbiano optato per la comunione legale dei beni.  La limitazione dei mezzi di prova è stato comunque oggetto di critica in dottrina poiché lesiva del diritto di difesa stabilito dall’art. 24 Cost., nonché del diritto di proprietà di cui all’art. 42 Cost. e all’art. 832 c.c. e, in aggiunta, per violazione dell’art. 111 Cost. [43].

Capitolo 2

La sospensione dell’esecuzione: considerazioni

  1. Il provvedimento di sospensione dell’esecuzione o di rigetto dell’istanza di sospensione

Come evidenziato al Cap. I, l’opposizione all’esecuzione ha ad oggetto la contestazione del diritto di procedere all’azione esecutiva ovvero l’accertamento sulla pignorabilità o meno dei beni oggetto della procedura medesima.

A differenza dall’opposizione di terzo, l’opposizione all’esecuzione può essere sia di tipo preventivo, quando ha ad oggetto atti emessi prima dell’avvio dell’azione esecutiva (i.e. opposizione a precetto nelle forme dell’art. 491 c.p.c.) ovvero successiva quando ha ad oggetto provvedimenti successivi.

Per effetto delle modifiche apportate dal legislatore negli anni 2005-2006 agli artt. 616 c.p.c e 185 disp. Att. c.p.c., il giudizio di opposizione de quo ha assunto una struttura bifasica. In una prima fase, il giudice dell’esecuzione adotta ogni decisione urgente, in primis quella relativa all’accoglimento o meno dell’istanza di sospensione dell’esecuzione. Successivamente, nella seconda fase, prenderà avvio il processo di cognizione proprio dell’opposizione all’esecuzione presso lo stesso giudice dell’esecuzione ovvero in capo ad altro giudice competente.

Come sopra rilevato, per effetto delle riforme degli anni 2005- 2006[44], la possibilità di richiedere la sospensione dell’esecuzione è stata estesa anche nell’ipotesi di avvio di un giudizio di opposizione c.d. preventiva. Detta innovazione ha creato delicate questioni interpretative quando l’istanza di sospensione viene richiesta sia in sede di opposizione preventiva che successiva.

Parte della dottrina ritiene ammissibile detta coesistenza in base al dato letterale dell’art. 624 c.p.c. che riconosce esplicitamente al giudice dell’esecuzione di disporre la sospensione dell’esecuzione, ovviamente solo in presenza di gravi motivi[45].

La tesi negativa che conferisce un ruolo di primazia al giudizio di opposizione avverso il titolo esecutivo giustifica tale interpretazione in base all’orientamento di parte della giurisprudenza che ammette la coincidenza dei due giudizi quando siano stati promossi per far valere le medesime doglianze dando luogo ad un’ipotesi di litispendenza[46]. In base a tale impostazione, avendo l’opposizione preventiva un contenuto più ampio dell’opposizione successiva, la medesima precluderebbe l’esercizio dell’azione esecutiva.

In via generale, la sospensione dell’esecuzione ha comunque la funzione di conciliare la fase di cognizione instaurata con il giudizio di opposizione con il processo esecutivo quando in base ad una valutazione del giudice dell’esecuzione di tipo discrezionale, secondo criteri di opportunità, l’interprete ne dispone con ordinanza l’accoglimento. La materia della sospensione dell’esecuzione viene regolata nel Titolo VI del Libro V del codice di procedura civile. L’art. 623 c.p.c. stabilisce che “salvo che la sospensione sia disposta dalla legge o dal giudice davanti al quale e’ impugnato il titolo esecutivo, l’esecuzione forzata non può essere sospesa che con provvedimento del giudice dell’esecuzione”.

Pertanto, in base all’art. 623 c.p.c. citato, la sospensione dell’esecuzione può essere prevista direttamente dalla legge (vedi artt. 548, 530, 569 e 601 c.p.c.) ovvero disposta dal giudice della cognizione (i.e. le ipotesi di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza artt. 283, 351, 373, 401, 407, 431, 649, 668 c.p.c.) ovvero con ordinanza dal giudice dell’esecuzione come disposto dall’art. 624 c.p.c.

In base a tale ultima disposizione, nei casi di opposizione di cui agli artt. 615 e 619 c.p.c., il giudice dell’esecuzione può sospendere su istanza di parte il processo esecutivo disponendo anche il versamento di una cauzione da parte dell’istante ovvero anche da parte dell’opposto che ha interesse a proseguire l’esecuzione. La sospensione viene accolta o rigettata con ordinanza avverso la quale è ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies e può essere disposta anche nei giudizi di opposizione di cui agli artt. 618 e 618-bis.

Nell’ipotesi in cui l’ordinanza del giudice non viene fatta oggetto di reclamo ovvero quando venga confermata, il giudice dichiara con ordinanza non impugnabile l’estinzione del pignoramento, previa eventuale imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti, salva in ogni caso l’instaurazione del processo di merito sull’opposizione da parte di ogni parte interessata.

Al riguardo, si rileva che dal provvedimento che decide sulla sospensione può quindi derivare l’immediata soddisfazione del credito come anche può derivare un consolidamento di una situazione contra ius [47]. Ovviamente è anche ammessa la possibilità di ottenere una sospensione parziale dell’esecuzione che incide, quindi, solo su una parte del credito e, pertanto, la parte potrà promuovere l’esecuzione per la parte restante.

Parte minoritaria della dottrina ritiene che l’ordinanza in tema di sospensione dell’esecuzione non è revocabile né modificabile dal giudice esecutivo, nonostante il disposto dell’art. 487 c.p.c. che prevede la modificabilità o revocabilità delle ordinanze emesse del giudice esecutivo finchè non abbiano avuto esecuzione e ciò in quanto “l’art. 487 c.p.c. concernente il regime delle ordinanze del giudice dell’esecuzione, richiama gli art. 176 e ss. a quindi anche l’art. 177, n. 3, secondo cui non sono revocabili le ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale mezzo di reclamo; e avverso l’ordinanza di sospensione è appunto previsto uno speciale mezzo di reclamo”.

Si ritiene, inoltre, che l’efficacia del provvedimento di sospensione dell’esecuzione riguardi unicamente lo specifico procedimento di esecuzione nell’ambito del quale è stato emanato, senza che ciò escluda la possibilità per il creditore di avviare un’altra azione esecutiva fondata sullo stesso titolo [48].

In applicazione dell’art. 626 c.p.c., rubricato “Effetti della sospensione”, quando il processo e’ sospeso, non può essere disposto alcun atto esecutivo, salva la diversa valutazione del giudice dell’esecuzione da disporsi sempre con ordinanza.

Inoltre, nei casi urgenti, la sospensione può essere disposta dal giudice dell’esecuzione con decreto inaudita altera parte, anche se in questo caso il giudice dovrà successivamente convocare le parti al fine riconfermare, modificare o revocare la misura adottata (si veda art. 625 c.p.c.).

Per completezza, occorre rilevare che, in adesione a quella parte della dottrina che propende per la natura esecutiva del provvedimento di sospensione cautelare si è espressa la  la giurisprudenza dominante[49] ritiene che l’efficacia del provvedimento di sospensione non soggiace ai limiti di cui all’art. 627 c.p.c. in quanto produce automaticamente i propri effetti e, pertanto, risulta sempre revocabile. Sul punto la Cassazione ha affermato che il provvedimento di sospensione, sia di rigetto che di accoglimento, può essere revocato o modificato nonché impugnato con l’opposizione agli atti esecutivi “ (…) al fine di controllare l’eventuale sussistenza di vizi di carattere formale e processuale, ovvero vizi logici o giuridici della motivazione in relazione alla presenza o meno del grave pregiudizio che l’esecuzione possa recare alla pare esecutata (o alla probabile fondatezza dei motivi formulati dalla suddetta parte con l’opposizione all’esecuzione, cui la richiesta di sospensione sia correlata) (…)”[50].

  1. I gravi motivi di cui all’art. 624 c.p.c.

A fondamento dell’istanza di sospensione dell’esecuzione, l’opponente deve addurre “gravi motivi” che non consentono la prosecuzione dell’esecuzione, idonei ad inibire l’azione esecutiva per un interesse prevalente dell’istante.

Il giudice dovrà pertanto ravvisare la sussistenza dei gravi motivi previsti dall’art. 624, comma 1 che, secondo l’opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza, coincidono con le esigenze proprie della tutela cautelare: il fumus boni iuris ed il periculum e, cioè, la probabile fondatezza dei motivi avanzati dall’istante e il pericolo del danno che potrebbe verificarsi per il ritardo dovuto all’espletamento del giudizio di cognizione.

Pertanto, il provvedimento di sospensione dovrà essere il risultato di un giudizio di delibazione sommaria sulla fondatezza dei motivi di opposizione presentati con il ricorso in previsione del loro accoglimento[51].

Al riguardo, tuttavia, si riconosce la facoltà al giudice di valutare anche l’opportunità della sospensione dell’esecuzione attraverso una comparazione tra gli interessi delle parti, anche condizionando l’adozione del provvedimento al versamento di una cauzione. Inoltre, si rileva che le contestazioni della parte istante dovranno essere solo quelle inerenti alla legittimità dell’azione esecutiva con esclusione delle contestazioni in merito alle spese della procedura che il creditore abbia riportato nel precetto.

La sussistenza dei gravi motivi è stata ravvisata dalla giurisprudenza  “nella ravvisata probabilità di una sopravvenuta insussistenza della pretesa esecutiva (per fatti impeditivi, modificativi, estintivi della stessa, successiva alla formazione del titolo esecutivo) ovvero in relazione a questioni di puro diritto” [52].

Sul punto, la Cassazione ha affermato che anche nel caso di contestazione della sussistenza della pretesa del creditore “la correttezza della soluzione adottata è sempre sindacabile anche oltre la conclusione del giudizio di opposizione agli esecutivi,” mentre, nel caso di contestazioni di puro di diritto, relative quindi a gravi motivi di carattere processuale, la Corte afferma “(…)le soluzioni positive o negative in ordine alla sospensione dipendono da scelte rimesse in via esclusiva al libero apprezzamento, prima del giudice dell’esecuzione e poi eventualmente, di quello dell’opposizione, con conseguente insindacabilità in sede di legittimità”[53].

Il giudizio in merito alla sussistenza o meno dei gravi motivi, quindi, si sostanzia in una comparazione tra l’interesse del debitore a vedersi liberato dalla procedura esecutiva al fine di scongiurare un danno irreparabile al proprio diritto sul bene e quello del creditore ad essere soddisfatto senza ulteriore dilazioni.

  1. Il reclamo di cui all’art. 669 terdecies

Come sopra rilevato, l’art. 624 c.p.c., comma 2, prevede espressamene che “Contro l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione e’ ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies”, ammettendo peraltro che detta facoltà è esercitatile anche nei casi sospensione previsti dall’art. 512, comma 2 in materia distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni pignorati al debitore.

La facoltà riconosciuta alle parti di proporre reclamo introdotta dalle riforme del 2005-2006, ha portato una parte della dottrina ha ritenere che non risulta ammissibile esperire il diverso rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c. del giudice esecutivo. Questa dottrina ha rilevato, infatti, che “l’opposizione ex art. 617 c.p.c. costituisce un rimedio di chiusura sia nel sistema della parentesi cognitive che si aprono nel processo esecutivo sia nel quadro degli altri rimedi previsti nell’ambito dello stesso processo esecutivo: ad essa si ricorre allorquando non sono previsti rimedi specifici avverso i vizi (irregolarità, invalidità, illegittimità, inopportunità) del processo esecutivo. Dove rimedi tipici sono previsti, non c’è spazio per l’utilizzazione dell’art. 617 c.p.c., che perciò giustamente è stata esclusa allorquando vi è materia di reclami esecutivi (ad es. in tema di cd. eccesso dell’espropriazione, o con riferimento agli atti del notaio delegato), o cognitivi (con riguardo ai compensi del custode o di altro ausiliario del g.e.)”[54].

In linea con tale orientamento, si è sostenuto da parte della giurisprudenza che il provvedimento di estinzione che segue al provvedimento di sospensione, alle condizioni stabilite dall’art. 624 c.p.c., non può essere oggetto di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. in quanto avverso il medesimo è previsto il reclamo ex art. 630 c.p.c.

Invece, l’opinione dominante sia in dottrina che giurisprudenza ritiene che l’ordinanza che decide sulla sospensione dell’esecuzione può essere oggetto di reclamo ex art. 669, quaterdecies c.p.c., nonché di revoca o modifica da parte dello stesso giudice dell’esecuzione o del giudice dell’opposizione, nonché di opposizione agli atti esecutivi mentre resta esclusa la possibilità di proporre ricorso in Cassazione ex art. 111 e per regolamento di competenza[55].

Oggetto del reclamo di cui l’art. 669-terdecies possono essere sia i provvedimenti positivi che negativi ma rimane controversa la reclamabilità dei provvedimenti di sospensione indilazionabili di cui agli artt. art. 618 e 618-bis c.p.c. [56].

La decisione non è impugnabile ed è assunta con ordinanza collegiale al quale è estraneo il giudice che ha emanato l’ordinanza. In riferimento al rito applicabile in sede di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., si sono poste questioni interpretative in merito all’ applicabilità o meno di tutte le disposizioni previste dal codice di procedura civile per i processi cautelari, ove compatibili con le disposizioni di cui agli artt. 615 e ss. ovvero se l’applicazione delle predette norme deve intendersi limitata al solo art. 669-terdecise citato[57].

Per il primo orientamento[58], le norme del rito camerale sono applicabili solo ove non derogate dalle norme in materia di opposizioni di cui al Titolo V del Libro III del codice di procedura civile, attribuendo all’interprete il difficile compito di valutare la compatibilità tra le predette disposizioni

Ad esempio, non sembra applicabile l’art. 669 quater sulla competenza e nemmeno la tutela cautelare ante causam  di cui all’art. 669-ter e le norme ad essa collegate (vedi artt. 669 octies e 669 novies)[59].

A sostegno della proprio tesi, questa dottrina evidenzia che la Corte costituzionale ha affermato che la tutela cautelare ante causam non è obbligatoria ma può essere esclusa in determinate materie.

Di diverso avviso altra parte della dottrina[60] che nega l’applicabilità generale delle disposizioni sul rito camerale ex art. 669-ter e ss. nei casi di cui all’art. 624 c.p.c., in quanto il provvedimento di sospensione ha natura esecutiva, emanato in base a considerazione di opportunità e convenienza, disciplinato della disposizioni relative alle ordinanze adottate dal giudice esecutivo.

  1. Il regime della sentenza sull’opposizione all’esecuzione ed il recente Disegno di Legge recante “disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile” approvato al Senato il  26 maggio 2009

Come ampiamente evidenziato, l’opposizione all’esecuzione può essere sia di tipo preventivo, quando sia stato presentata prima dell’avvio dell’azione esecutiva che di tipo successivo quando viene presentata successivamente.

A differenza del provvedimento di sospensione dell’esecuzione adottato dal giudice dell’esecuzione che è adottato con ordinanza, il provvedimento conclusivo dell’opposizione all’esecuzione ha forma di sentenza, stante il carattere di giudizio di cognizione proprio di tale giudizio e natura di mero accertamento, in quanto funzione propria del giudizio di opposizione è quella di accertare “l’insussistenza del diritto di procedure ad esecuzione forzata” [61].

Per quanto riguarda gli effetti della sentenza, si afferma che, ove accolga l’opposizione, ha lo scopo di “invalidare in tutto o in parte gli atti esecutivi già compiuti”[62], impedendo in tal modo qualsiasi proseguimento del processo esecutivo e che tale effetto è analogo a quello generato da una pronuncia di nullità disposta ex art. 156 c.p.c..

Alcuni[63], senza tuttavia mutare sostanzialmente la disciplina dei sui effetti, sostengono trattarsi di una sentenza costitutiva di tipo processuale che “attribuisce o elimina l’idoneità dell’azione a fondare l’esecuzione forzata”.

Analoga natura di accertamento, in questo caso negativo, è conferita alla sentenza di rigetto dell’opposizione ma, con onere della parte interessata di riassumere la causa nei termini fissata dalla legge (vedi art. 627 c.p.c.), pena l’estinzione del procedimento esecutivo ed il perdurare dell’efficacia del provvedimento di sospensione adottata dal giudice esecutivo[64].

La sentenza che definisce l’opposizione ex art. 615 c.p.c. risulta idonea ad assumere efficacia di giudicato e legittima l’opponente vittorioso ad agire per il risarcimento dei danni subiti e, qualora si sia già proceduto alla vendita delle cose pignorate, a richiedere la restituzione del ricavato.

Prima delle riforme del 2005-2006, si sosteneva che “(…) agli effetti del regime di impugnazione, sarà determinante la portata obiettiva del provvedimento, vale a dire la forma del provvedimento stesso in tutti i suoi aspetti, compreso quello del contenuto (cosiddetta forma-contenuto)”[65].

A seguito degli interventi del legislatore, la sentenza che definisce il giudizio di opposizione all’esecuzione non può essere più impugnato in sede di appello. In tal senso dispone l’art. 616 c.p.c. ove esplicitamente stabilisce che “(…) La causa e’ decisa con sentenza non impugnabile”.

Pertanto il giudizio de quo si caratterizza per il fatto di essere un processo in unico grado; in caso di rigetto dell’opposizione dovrà essere immediatamente riassunto, senza attendere il passaggio in giudicato della sentenza.

Al riguardo, è stato evidenziato[66] che una volta venuto meno il doppio grado di giurisdizione per l’opposizione ex art. 615, 2° comma e 619, il dies a quo del termine per la riassunzione del processo sospeso decorre dalla comunicazione della sentenza di primo grado[67].

Alcuni dubbi sono stati sollevati in dottrina[68] in merito alla non impugnabilità della sentenza di opposizione all’esecuzione di tipo preventivo, sulla base della considerazione che l’art. 616 c.p.c. sembrerebbe riferirsi solo all’opposizione agli atti esecutivi successiva di cui all’art. 615, comma 1 c.p.c.

Tale perplessità sono state superate da altra parte della dottrina[69] in base ad un interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della disposizione di cui all’art. 616 c.p.c. per cui, nel rispetto dell’art. 3 Cost. il regime di impugnazione tra le due tipologia di opposizioni deve essere parificato.

A prescindere dalla tipologia di opposizione all’esecuzione è pacificamente ammesso in dottrina ed in giurisprudenza che la sentenza che conclude i giudizi de quibus non è impugnabile per regolamento di competenza mentre è impugnabile con ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost.

In materia di processo esecutivo è stato recentemente approvato dal Senato, il 26 maggio 2009, il Disegno di Legge recante “disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile”.

In particolare, l’art. 49, comma 3, prevede la sostituzione dei commi 3 e 4 dell’art. 624 del codice di procedura civile, prescrivendo che:

3. Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma, se l’ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell’articolo 616, il giudice dell’esecuzione dichiara, anche d’ufficio, con ordinanza, l’estinzione del processo e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. L’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’articolo 630, terzo comma.

  1. La disposizione di cui al terzo comma si applica, in quanto compatibile, anche al caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell’articolo 618.

Una siffatta formulazione dell’art. 624 c.p.c. permette di risolvere molteplici questioni interpretative sorte a seguito della novella del 2006 a causa dell’oscurità dell’attuale formulazione della norma.

Ad esempio, si ritiene che l’attuale formulazione comporta che in caso di sospensione dell’esecuzione il giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, sia obbligato a dichiarare l’inefficacia del pignoramento con l’effetto di determinare l’estinzione del pignoramento stesso con evidente lesione del diritto di difesa del creditore di cui all’art. 24 Cost. che subisce effetti definitivi da una pronuncia cautelare. Inoltre, l’art. 624 c.p.c. prescrive che , in caso di accoglimento della sospensione sono fatti salvi gli atti già compiuti con l’effetto che le azioni del creditore anche se illegittime devono considerarsi temporaneamente sanate.

Infine, l’art. 624 c.p.c. prevede che nei casi in cui sia stata disposta la sospensione del processo e questa non sia stato oggetto di reclamo ovvero disposta o confermata in sede di reclamo, l‘istante può chiedere al giudice dell’esecuzione l’estinzione del pignoramento ovvero instaurare il processo di cognizione.

Al riguardo si rileva in primis che, in applicazione dell’art. 624, comma 1 c.p.c. la sospensione viene disposta solo successivamente alla proposizione del giudizio di opposizione e, in secondo luogo, che il debitore dovrebbe in genere preferire l’opzione dell’estinzione del pignoramento con evidente aggravio di spese per l’instaurazione di un nuovo processo esecutivo da parte del creditore qualora l’opposizione venisse rigettata.

In riferimento all’estinzione del processo esecutivo, il comma 2 dell’art. 49, comma 4 del disegno di legge sostituisce l’art. 630, comma 2 c.p.c., prescrivendo che l’estinzione opera di diritto e viene dichiarata anche d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, mentre nell’attuale formulazione deve essere eccepita dalla parte interessata.

Conclusioni

La materia delle opposizioni nel processo esecutivo assume un rilevanza centrale poiché permette al potere giurisdizionale, attraverso un giudizio di cognizione pieno che si conclude con una sentenza di accertamento, di valutare la legittimità dell’azione esecutiva del creditore. Gli interessi tutelati attraverso le diverse tipologie di opposizioni previste dal codice di procedura civile, possono essere sia del debitore che subisce l’azione del creditore che dei soggetti terzi rispetto al rapporto obbligatorio sottostante. In alcuni casi, il terzo è equiparato al debitore, in altre ipotesi, invece, può accadere che oltre che non essere il debitore lo stesso non abbia nemmeno offerto i propri beni in garanzia per un debito altrui. In tale ultima ipotesi risulta ancora più importante tutelare il diritto del terzo sul bene aggredito dal creditore attraverso una cognizione piena dei diritti e degli interessi sottostanti. Al riguardo, si è posto l’accento sulle limitazioni probatorie del terzo che, secondo alcuni, limita eccessivamente il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito, con l’effetto che la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione non può, per tale motivo, essere idonea ad acquistare efficacia di giudicato.

Si è cercato anche di sottolineare l’importanza della facoltà per il giudice dell’esecuzione di disporre la sospensione del procedimento esecutivo in attesa della conclusione del giudizio di opposizione. Detta facoltà permette di evitare che vengano prodotti danni irreparabili quando il diritto dell’istante sia adeguatamente supportato da valide argomentazioni.

In ultimo, si sono riportate alcune novità contenute nel disegno di legge approvato in Senato il 26 maggio 2009, con il quale si è cercato di rendere più snella e coerente con l’impianto complessivo, la struttura della fase cautelare di sospensione del processo esecutivo.


[1] Vedi legge n. 80/2005, legge n. 263/2005 e legge n. 52/2006.

[2] Crisanto Mandrioli, Opposizione all’esecuzione, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 432, Liebman, Le Opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Milano, 1936, 178 ss.

[3] Crisanto Mandrioli, op.cit., 432

[4] Vedi in tal senso Cass. 11 giugno 2003, n. 9394; vedi anche Martinetto, Gli accertamenti degli organi esecutivi, Milano, 1963; Capponi, Le opposizioni esecutive, Capitolo VIII, pag. 325; Montesano, La Cognizione sul concorso dei creditori nella esecuzione ordinaria, in Riv. Trim. dir. Proc.civ., 1968, 561 e ss.

[5] Mandrioli, op. cit, 467

[6] Oriani, Opposizione all’esecuzione, in Digesto IV, vol. XIII Civile, Torino 1996, 633.

[7] Ampiamente vedi Oriani, op. cit., 633

[8] Mandrioli, op.cit., 435

[9] Mandrioli, op.cit., pag. 465.

[10] Vedi Capponi, Le opposizioni nel processo esecutivo, Cap VIII, pag. 358

[11]  Mandrioli, op.cit., pag. 466

[12] Sul punto si registrano due posizioni contrastanti in dottrina: in senso affermativo Liebman, pag. 188; in senso negativo, Calda, L’impugnativa del credito nell’esecuzione forzata, Bologna 1907, 37, 42, Mandrioli, op.cit, 419.

[13]  Punzi, La Tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano, 197, pag. 301.

[14] Vedi Cass. 12 febbraio 1976, n. 508, in Foro it., 1976, I. Proto Pisani, L’opposizione di terzo ordinaria, Napoli,  1965, 367

[15] Fabrini, L’opposizione ordinaria di terzo nel sistema dei mezzi di impugnazione, Milano, 1968, 117

[16] Oriani, op. cit., 641

[17] Mandrioli, op.cit, 467.

[18] Cass. 25 settembre 1974, n. 2519,in Giust. Civ., 1974, I, 1731

[19] Per ulteriore approfondimento si rinvia a Mandrioli, op.cit, 468, Cass. 5 dicembre 1968, n. 3896, in Foro It., 1969, I, 826 .

[20] Mandrioli, op.cit, 469, ivi citato Bucolo, La sospensione del processo esecutivo, Milano, 1974, 901.

[21] Grabagnati, Opposizione all’esecuzione, in Nss. D.I., XI, 1965, 1075, Satta, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano 1965, 486. Sul punto Cass. 19 giugno 1972, n. 1918, ritenendo che il diritto vantato dal terzo sia prevalente rispetto a quello del creditore non chiarisce la natura di quel diritto; vedi in senso critico, Mandrioli, op.cit, 469.

[22] Mandrioli, op.cit, 471

[23] In senso contrario si veda Cass. 8 marzo 1974, n. 617, in Foro it., 1975, I, 140

[24] Mandrioli, op.cit, 472

[25] Sul punto dottrina e giurisprudenza sono pressoché unanimi. Si veda Mandrioli, op. cit, 472.

[26] Per un approfondimento sul tema si veda Mandrioli, op. cit., 473

[27] Si veda Cass. n. 6337/2003

[28] Si veda S.U. Cass. n. 7128/1998, Cass. n. 16868/2003.

[29] Vedi Mandrioli, op. cit., 477.

[30] Contra: Garbagnati, Opposizione a decreto d’ingiunzione e adempimento dell’obbligo in pendenza del giudizio di opposizione, in Gir. It, I, 1, 1486, Proto Pisani, Opposizione, op. cit.

[31] Mandrioli, op. cit., 470

[32] Si veda sull’idoneità della sentenza ex art. 619 c.p.c. ad assumere efficacia di giudicato il par. 6

[33] Si veda Capponi, op. cit. pag. 361

[34] Si veda Tarzia, L’oggetto del processo di espropriazione, 1961, Milano,  301

[35] Cass., 12 agosto 2000, n. 10810; Cass., 16 febbraio 1998, n. 1627

[36] Mandrioli, op.cit., 474. Vedi anche Cass. 29 maggio 1965, n. 1109, 14 aprile 1970, n. 1014, 8 luglio 1971, n. 2182, 7 dicembre 1973, n. 3336.

[37] Si veda Cass. n. 280/1970, 251/1974

[38] Oriani, op. cit., 644

[39] Cass. 24 aprile 1998, n. 4222

[40] Cass., 18 gennaio 2002, n.539

[41] in questo senso Trib. Roma, 10 febbraio 2000, in Riv. esec. forzata , 2000, 666

[42] Vedi da ultimo Corte Costituzionale, ordinanza 2 aprile 2009, n. 95

[43]  Trabucco, rivista internet Filodiritto del 7.1.2009, www.filodiritto.it

[44] Vedi legge n. 80/2005, legge n. 263/2005 e legge n. 52/2006.

[45] Arieta, Diritto processuale civile, III, Torino 1995, 278

[46] Oriani,  op. cit. 235 e Cass. n. 6235/1986, n. 8214/2000.

[47] Si veda Oriani, op. cit., 605

[48] si veda Cass. n. 24045/2004

[49] Si veda Cass. n. 2848/1998

[50] Si veda Cass. n. 19487/2005, MGI, 2005. In tal senso si veda Tribunale di Biella n. 767/06 ove si afferma che “(…) la natura cautelare di tutti i provvedimenti di sospensione dell’esecuzione è da tempo sostenuta dalla dottrina più avvertita, sicchè d’accordo con essa è agevole il rilievo che, per lo meno quando il giudice dell’esecuzione pervenga alla sospensione – non del singolo atto, bensì – dell’intera procedura esecutiva, gli effetti sono del tutto coincidenti con quelli del provvedimento di sospensione adottato ai sensi dell’art. 624 c.p.c.; pertanto l’interpretazione di carattere sistematico conduce a ritenere la reclamabilità di tali provvedimenti (…)”; al riguardo si veda Enrico Astuni, in riv. Internet http://appinter.csm.it/incontri/relaz/14467.pdf, il quale sostiene che “(…) Appare da ammettersi, in via interpretativa, il reclamo contro l’ordinanza che revoca (o modifica) l’ordinanza di sospensione o di rigetto, poiché tale provvedimento costituisce pur esso esercizio di un potere di natura cautelare e si risolve, in effetti, in un rigetto (se revoca l’ordinanza di accoglimento) o in un accoglimento (nell’ipotesi speculare) dell’istanza di sospensione (…); Si veda anche, Tribunale di Monza sezione distaccata di Desio, sent. n. 326/2005, ove si afferma che “Il provvedimento ex art. 624 c.p.c. è impugnabile con lo strumento di cui all’art. 617 c.p.c. e tale impugnazione non può limitarsi alla verifica della sussistenza di eventuali vizi di carattere formale e processuale e/o di vizi logici o giuridici della motivazione, con esclusione della verifica della sussistenza o meno dei gravi motivi previsti dal cit. art. 624 c.p.c., ma può estendersi al merito del provvedimento (e non dell’opposizione giacché tale delibazione è riservata, appunto, al giudice dell’opposizione all’esecuzione)”.

[51] Si veda CORTE DI APPELLO DI BARI; ordinanza 11 settembre 2006, ove si afferma che “l’ordinanza ex art. 624 può supporre invece – sempre nel giudizio di delibazione del fumus – una valutazione sull’esistenza stessa del diritto di credito ( si pensi alle opposizioni in cui si alleghi il difetto originario o sopravvenuto di un titolo esecutivo di natura stragiudiziale, oppure la inidoneità soggettiva del titolo a fondare l’esecuzione contro quel debitore o a favore del creditore procedente), con un’ampiezza dei motivi di opposizione non paragonabile al novero delle ragioni deducibili in sede di inibitoria ex art. 283, ma piuttosto parificabile a tutto lo strumentario difensivo offerto dall’ordinamento nei confronti di una domanda di condanna o di accertamento del debito. Sicché il conseguente più elevato “tasso di discrezionalità” (id est, di “pericolosità”) insito nell’ordinanza di sospensione ex art. 624 rispetto all’inibitoria, rende razionale e non arbitraria la differente disciplina del regime di impugnatorio”.

[52] Si veda Cass. n. 707/2006, ove si afferma che il provvedimento di sospensione è revocabile.

[53] Si veda Cass. n. 405/2006

[54] ORIANI, op. cit., 513.

[55] Contra si veda: ORIANI,  op. cit., 605.

[56] Vedi Oriani, op. cit., 110; Cordopoatri, Le nuove norme sull’esecuzione forzata, RDPr, 2005, 779; ASTUNI, Possibile sospendere l’esecutività del titolo, GDir, 2005, 22, 79

[57] Si veda Oriani, Relazione svolta nel corso del Convegno su “La riforma del processo

esecutivo”, tenutosi a Napoli il 19-20 dicembre 2005, pag. 14

[58] Astuni, Possibile sospendere l’esecutività del titolo, GDir, 2005, 22, 76, Di Benedetto, Brevi note sull’ammissibilità del reclamo contro i provvedimenti sulla sospensione dell’esecuzione emessi ai sensi dell’art. 624, primo comma, c.p.c., GM, 1996, 217 ss., Luiso, La riforma dei procedimenti cautelari, DocG, 1990, n. 7-8, 50.

[59] Per una disamina delle disposizioni camerali applicabili al reclamo proposto avverso l’ordinanza di sospensione agli atti esecutivi si rinvia a Oriani, Relazione svolta nel corso del Convegno su “La riforma del processo esecutivo, op. cit. 12. In senso critico a tali affermazioni si veda Proto Pisani, Novità in tema di opposizioni in sede esecutiva, FI, 2006, V, 214, 213

[60] Onniboni, Le sospensione del processo esecutivo, nota a Trib. Roma del 19.4.2005, in CorgG, 2005,1718, che indica quale autori che aderiscono all’applicazione del solo art. 669-terdecies. Escludono, del pari, la natura cautelare del detto provvedimento; Merlin, Procedimenti cautelari e urgenti, in Digesto civile, XIV, Torino 1996, 431; Montesano-Arieta, Diritto processuale civile, III, Torino 1995, 125; Luiso, Diritto processuale civile, III, Milano 2007, 252; Frus, Le riforme del processo civile, a cura di Chiarloni, Roma-Bologna 1992, 800; Costantino, in Provvedimenti urgenti per il processo civile Commentario a cura di Tarzia e Cipriani, NLCC, 1992, 420 ss.

[61] Mandrioli, op. cit., 441

[62] Mandrioli, op. cit. pag. 440

[63] Mandrioli, op. cit. pag. 440

[64] Mandrioli, op.cit. pag. 448

[65] Mandrioli, op.cit. pag. 448

[66]  Oriani rel. Convegno, op. cit., 16

[67] Oriani, rel. Convegno, op. cit., 14 ove rileva che “ai fini che interessano, qui può solo ribadirsi la conclusione già attinta, e cioè che il creditore, contro il quale sia stata pronunciata, in sede di opposizione a precetto, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, può iniziare il processo esecutivo sia dopo la sentenza di rigetto di primo grado sia, a più forte ragione, dopo la sentenza di rigetto in unico grado. Del pari il creditore può continuare il processo di esecuzione sospeso dopo la sentenza di rigetto, inimpugnabile, dell’opposizione all’esecuzione. pag. 53

[68] Si veda IANNICELLI, Le ricadute della riforma del processo civile Le ricadute delle riforme del processo civile sui giudizi cognitivi funzionalmente collegati al processo esecutivo, in Convegno organizzato da Sinergia Formazione su “Il nuovo processo civile e la riforma delle procedure esecutive”, Milano-Roma 1-2 e 8-9 marzo 2006, par.1.3; PROTO PISANI, op. cit., 214

[69] Oriani, Rel Convegno, cit., 52

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.