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Divisione dei beni mobili tra ex coniugi e presunzione di accordo tacito: commento all’Ordinanza Cass. Civ., Sez. II, n. 27705 del 16 ottobre 2025

1. Premessa

L’ordinanza n. 27705/2025 della Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione affronta un tema di costante attualità nel diritto di famiglia e nelle controversie patrimoniali post-coniugali: la divisione dei beni mobili comuni e la possibilità di desumere l’avvenuto scioglimento della comunione da comportamenti concludenti delle parti, in particolare attraverso una presunta divisione di fatto.

La pronuncia chiarisce che l’esistenza di un accordo tacito non può essere affermata in via presuntiva o sulla base di semplici deduzioni logiche prive di puntuale riscontro probatorio. Il principio affermato si colloca nella scia della giurisprudenza più rigorosa in tema di prova del consenso negoziale, ribadendo l’esigenza di una motivazione specifica e non apparente per fondare una decisione su presunzioni semplici.


2. I fatti di causa

Il ricorrente, Alessandro Ottone, conveniva in giudizio l’ex coniuge Giovina De Palma per ottenere:

  • lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni mobili comuni;

  • la restituzione dei beni di proprietà esclusiva o, in subordine, il risarcimento del loro valore;

  • un equo ristoro per i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’indebita sottrazione dei beni.

L’uomo lamentava che, dopo la revoca dell’assegnazione della casa coniugale all’ex moglie, quest’ultima avesse trasferito l’intero arredo presso una diversa abitazione di sua proprietà, omettendo di restituire i beni personali e comuni.

Il Tribunale di Perugia rigettava la domanda ritenendo non assolto l’onere probatorio relativo all’individuazione e consistenza dei beni da dividere. La Corte d’Appello confermava la decisione, sostenendo che l’attore, avendo già prelevato parte del mobilio, avesse di fatto realizzato una divisione tacita dei beni residui, i quali si sarebbero dovuti considerare assegnati all’altro coniuge.


3. Il ricorso per Cassazione

Il ricorrente deduceva cinque motivi di censura, centrati essenzialmente su:

  • nullità della sentenza per motivazione apparente e contraddittoria;

  • violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in materia di valutazione delle prove;

  • travisamento del principio del contraddittorio e del diritto di difesa;

  • erronea applicazione delle presunzioni semplici (artt. 2727 e 2729 c.c.);

  • omesso esame di fatti decisivi e di documenti rilevanti.

La Cassazione, accogliendo il primo motivo e assorbendo gli altri, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio, censurando in modo netto la motivazione della Corte territoriale.


4. La motivazione della Suprema Corte

La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello di Perugia avesse fondato la propria decisione su una presunzione priva di base logica e fattuale, ritenendo sussistente una divisione di fatto dei beni mobili in assenza di elementi concreti idonei a dimostrarla.

Secondo la Suprema Corte:

  • il solo fatto che l’attore avesse asportato alcuni beni non legittimava l’inferenza che tale condotta avesse riguardato anche beni comuni;

  • non era stato compiuto alcun accertamento sull’identità e sul valore dei beni prelevati e di quelli residui;

  • mancava qualsiasi argomentazione che consentisse di ritenere che l’iniziativa del ricorrente fosse stata condivisa dall’ex coniuge o implicasse un accordo tacito di divisione.

Pertanto, la Cassazione ha rilevato un vizio di motivazione in senso tecnico: la decisione d’appello era fondata su un ragionamento presuntivo non sorretto da indizi gravi, precisi e concordanti, come richiesto dall’art. 2729 c.c.


5. I principi di diritto emergenti

5.1. Sul valore delle presunzioni

La Corte riafferma che la presunzione semplice può costituire fonte di prova solo quando gli elementi indiziari siano dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e siano specificamente illustrati nella motivazione. In assenza di un percorso logico verificabile, la motivazione è da considerarsi apparente e quindi nulla.

5.2. Sulla divisione di fatto

La divisione per facta concludentia può essere ammessa solo se i comportamenti delle parti risultano univoci e concordi nel manifestare la volontà di sciogliere la comunione.
Non può essere presunta dalla mera asportazione di alcuni beni da parte di un coniuge, se non si accerta che tale condotta sia stata:

  • condivisa o almeno tollerata dall’altro coniuge;

  • riferibile a beni effettivamente comuni e non personali;

  • accompagnata da elementi che dimostrino una ripartizione equilibrata del patrimonio.

5.3. Sull’onere della prova

Il principio di cui all’art. 2697 c.c. resta centrale: chi invoca la divisione o la restituzione di beni deve dimostrare con precisione la titolarità e l’esistenza materiale di tali beni. Tuttavia, il giudice non può compensare l’insufficienza probatoria con congetture arbitrarie o presunzioni prive di adeguato fondamento.


6. Implicazioni pratiche

L’ordinanza n. 27705/2025 offre spunti di rilievo operativo:

  • nei giudizi tra ex coniugi aventi ad oggetto beni mobili, la documentazione probatoria (fotografie, ricevute, inventari, testimonianze puntuali) assume valore determinante;

  • la motivazione giudiziale deve spiegare il nesso logico tra i fatti accertati e la conclusione raggiunta, non potendo limitarsi a formule stereotipate o apodittiche;

  • l’asserita divisione di fatto va provata in modo rigoroso, escludendo che il semplice possesso materiale di parte dei beni possa equivalere a consenso divisorio.

Per i professionisti del diritto, la pronuncia richiama la necessità di impostare una strategia processuale fondata su atti chiari, deduzioni esplicite e prove circostanziate, evitando di lasciare alla discrezionalità del giudice la ricostruzione di comportamenti complessi e ambigui.


7. Conclusioni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27705/2025, ribadisce il principio di tassatività e concretezza delle presunzioni e delimita con rigore il perimetro applicativo della divisione tacita dei beni comuni.

La decisione costituisce un monito verso le corti di merito affinché non trasformino le presunzioni in mere supposizioni, e riafferma che la certezza del diritto non può fondarsi su inferenze logiche prive di riscontri probatori.

In materia di rapporti patrimoniali tra ex coniugi, la Cassazione riafferma una linea di chiarezza: la divisione di fatto non può essere ipotizzata ma deve essere provata e argomentata; in caso contrario, la sentenza risulta affetta da vizio di motivazione e deve essere cassata.

In sintesi, la pronuncia riafferma che nel processo civile la verità processuale è sempre verità dimostrata, non congetturata.


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