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I contrasti interpretativi emersi dalla novella sull’affido condiviso e l’intervento chiarificatore della giurisprudenza di legittimità

Il dettato normativo, stabilisce che quando cessa la convivenza della coppia genitoriale, sia l’affidamento, il mantenimento e l’assegnazione della casa familiare per i figli dei coniugati sono statuiti in un unico processo dinanzi al Tribunale ordinario. Per quanto attiene invece ai figli naturali – antecedentemente all’emanazione della legge 54/2006[1] – la competenza ad emettere i provvedimenti contemplati dall’articolo 317 bis Cc apparteneva al Tribunale per i minorenni mentre i provvedimenti di natura economica, rimanevano di competenza del Tribunale ordinario.

Poste queste premesse, se prendiamo però in esame il tenore letterale della norma di cui all’articolo 4 della su citata legge secondo cui le regole dettate in materia di affido, di mantenimento e di casa familiare si applicano anche ai procedimenti dei figli non coniugati si è ipotizzato un’abrogazione implicita del comma 2, dell’articolo 317 bis Cc in quanto incompatibile con la nuova lettura dell’articolo 155 del Cc.

Orbene, si osserva però che se l’articolo 4 della legge 54/2006 estende l’applicazione del dettato normativo anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, è vero anche che la riforma non contiene alcuna disposizione espressa in tema di competenza giurisdizionale e dunque è parso non condivisibile l’orientamento che afferma che la nuova normativa abbia unificato la competenza attribuendola al giudice ordinario[2].
Pertanto nell’ampio ed analitico esame della quaestio iuris, a fronte di talune decisioni in favore della competenza, la stessa viene successivamente esclusa in altrettante pronunce che rimangono orientate nel senso di una lettura conservatrice delle regole sull’affido condiviso dei figli naturali.

La questione centrale da risolvere oggetto di un acceso dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale è dunque, in primo luogo se l’articolo 317 bis Cc in combinato disposto con l’articolo 38 disp att. Cc[3]. si consideri abrogato dall’articolo 4 della legge 54/2006, che estende anche alle controversie sui figli naturali, la normativa sull’affidamento condiviso. E più in dettaglio ci si è posti l’interrogativo su quale sia a seguito dell’entrata in vigore della legge 54/2006, l’organo giudiziario competente a conoscere dei procedimenti di affidamento dei figli naturali e ad emanare i provvedimenti di carattere economico relativi al loro mantenimento.

Il tribunale di Milano è stato il primo ad inaugurare l’orientamento che prefigurava l’intera materia affidata interamente al Tribunale ordinario. In proposito in una prospettiva volta a valorizzare l’interesse del figlio è stato affermato che affidare la competenza sulle questioni patrimoniali al Tribunale per i minorenni significa mettere in secondo piano la figura del minore, e pertanto si è indirizzati ad escludere la competenza dell’organo medesimo su tutte le questioni che riguardano la sfera economica[4]. Ma si è anche consolidato un orientamento di segno opposto[5]. A favore della tesi in ordine alla competenza del Tribunale per i minorenni anche per le questioni economiche si pone l’argomentazione, che il provvedimento in tema di affidamento condiviso non può scindersi, trattandosi di provvedimenti di carattere unitario che non possono essere scissi in separati segmenti di natura personale e di natura economica[6].

Su un piano generale va rilevato che una pluralità di procedimenti comporta in sé una lesione del diritto alla giurisdizione effettiva. Invero, duplicazione di procedimenti significa raddoppiamento sia dei costi che dei tempi con evidente violazione dell’articolo 24 Costituzione.

Al contrario, i provvedimenti che viceversa negano la competenza del Tribunale per i minorenni, in materia di regolamentazione dei diritti dei figli naturali, partono dal presupposto che finalità della legge sull’affido condiviso sia uniformare le norme sostanziali in materia rapporti dei figli con i genitori, quando viene meno la convivenza tra questi ultimi. Di guisa che l’articolo 317bis Cc in combinato disposto con l’articolo 38 disp att. Cc si intenderebbe abrogato[7] e sarebbe applicabile solo la disciplina prevista dall’articolo 155 Cc.

Di talché si verificherebbe un’unificazione di competenza davanti al Tribunale ordinario e il procedimento di cui all’articolo 706 Cpc sarebbe applicabile anche ai figli naturali[8].

Coloro invece che sostengono il permanere della competenza in materia di figli del Tribunale per i minorenni affermano che il legislatore ha con ogni evidenza modificato il comma 2 dell’articolo 317 bis Cc sotto il profilo sostanziale, ma la citata norma rimane valida trattandosi di norma sulla competenza di stretta interpretazione[9].

Si è dunque argomentato che non sussistendo incompatibilità tra il nuovo sistema e il precedente, non può dirsi che la riforma abbia apportato alcuna modifica alle competenze giurisdizionali preesistenti[10].

A fronte di queste incertezze ed a seguito dei regolamenti d’ufficio sollevati dai tribunali di Milano, Monza e dal Tribunale per i minorenni di Milano con la sentenza in commento la Cassazione interviene per chiarire a chi spetti la competenza sui figli naturali, dopo l’entrata in vigore della legge 54/2006.

La pronuncia in epigrafe risolve il contrasto se la competenza per materia del Tribunale per i minorenni in ordine ai procedimenti di affidamento dei figli naturali in caso di rottura della convivenza dei genitori sia venuta meno per incompatibilità con la nuova disciplina dell’affidamento condiviso.

Da una prima ricostruzione sembra che si possa sostenere che malgrado le norme sulla competenza siano di stretta interpretazione, non è da escludersi che l’interprete possa ricavare una modifica della relativa disciplina.

Dalle linee appena tratteggiate si può affermare che la nuova legge, prevedendo l’applicazione ai figli naturali delle disposizioni della presente legge, si riferisce anche alle norme processuali, che presuppongono l’applicazione delle norme di cui agli articoli 706 ss. Cpc incompatibili con il procedimento in camera di consiglio dettato dall’art. 38 disp. Att. Cc per il Tribunale per i minorenni.

Finalità del legislatore sarebbe stata dunque di regolamentare in maniera unitaria i procedimenti in materia di filiazione naturale instaurati da uno dei genitori nei confronti dell’altro.
Contingente è parsa dunque l’esigenza di parificazione dell’intervento giudiziario sotto il profilo sostanziale, processuale e di competenza a quello previsto per i figli di genitori coniugati.
Ma la pronuncia in commento ha chiarito che l’articolo 4, comma 2, della legge 54 del 2006 non ha abrogato la parte dell’articolo 317bis Cc che dispone che il giudice, nell’interesse esclusivo del figlio, può provvedere sull’affidamento in modo diverso rispetto ai criteri stabiliti dalla stessa norma. La medesima disposizione ha l’obiettivo di estendere i nuovi principi e criteri sulla potestà genitoriale e sull’affidamento anche ai figli di genitori non coniugati, senza incidere sui presupposti processuali dei relativi procedimenti. È di tutta evidenza quindi come l’articolo 317bis Cc rimane il referente normativo della potestà e dell’affidamento nella filiazione naturale.

L’articolo 155 Cc giova ribadire non si è del tutto sovrapposto all’articolo 317bis Cc ma al contrario si può parlare di riempimento del contenuto precettivo di tale disposizione.

Non si può peraltro sostenere che la competenza del Tribunale ordinario sia imposta dall’applicazione, anche ai procedimenti relativi ai figli naturali, delle norme processuali contenute nella legge 54 del 2006. Tale presupposto enunciato dalla più recente giurisprudenza di merito e ritenuto non condivisibile dalla sentenza in commento muove dal presupposto che il legislatore nel dettare le norme in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli, abbia inteso disciplinare anche l’emanazione dei provvedimenti da pronunciarsi nei confronti dei figli naturali con il rito tipico del procedimento di separazione, estendendo ai procedimenti che li riguardano le norme concernenti la crisi della coppia coniugale e la sua gestione gestionale. Ma come affermato dalla dottrina e dalla sentenza in commento la legge 54 del 2006 è priva di una valenza unificante sulla scansione dei procedimenti relativi alla coppia in crisi, e di conseguenza si ritengono salve le regole processuali che governano i procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati. La sentenza in commento ha chiarito dunque che il Tribunale per i minorenni è senz’altro competente a provvedere contestualmente sul contributo al mantenimento del figlio. Ciò in virtù anche del principio che una tutela frazionata comporterebbe un trattamento deteriore per il figlio e un evidente sacrificio del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo.

Conclusivamente si può osservare che la Corte supera la problematica circa l’organo giudiziario competente a conoscere dei provvedimenti dei figli naturali. Ne discende che la legge sull’affidamento condiviso ha “riplasmato” l’articolo 317bis Cc il quale continua a rappresentare il disposto normativo inerente la potestà del genitore naturale, di guisa che i provvedimenti nell’interesse del figlio naturale, spettano al Tribunale per i minorenni. Per quanto la decisione della Cassazione non costituisca un’interpretazione obbligata si pone tuttavia la questione della sua incidenza sui processi in corso. A mio modo di vedere la previsione normativa unitaria in relazione ai genitori non coniugati, oggi non sembra più consentire la scissione delle competenze, superando definitivamente le difficoltà create dalla precedente normativa che costringeva i genitori naturali ad adire più autorità con dilazione di costi e tempi.


[1] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1 Marzo 2006.

[2] A scrupolo argomentativo si osserva che l’emendamento 2.0350 all’approvazione sull’affido condiviso proposto dall’On Lussana, e volto a modificare l’articolo 38 disp. att. Cc inteso nel senso di attribuire la competenza al Tribunale ordinario, anche in ordine all’affidamento dei figli naturali, è stato ritirato su invito dell’On. Paniz, nella seduta tenutasi alla Camera dei deputati in data 7 luglio 2005.

[3] L’articolo 38 disp. att. Cc prevede la competenza del Tribunale ordinario per tutti i procedimenti per i quali non è espressamente prevista la competenza di una diversa autorità giudiziaria, escludendo pertanto la possibilità del ricorso ad interpretazioni estensive o analogiche.

[4] M. Maciochi – G. Parente, In attesa della Cassazione orientamenti diversi nei tribunali per i minori, in Il Sole24ore Famiglia e minori, 1 dicembre 2006, n. 2 p. 26 ss..

[5] Secondo taluno la legge di riforma prevede l’applicabilità di questo nuovo impianto normativo alle controversie tra genitori naturali, ovvero a quelle controversie che sono  – e dovrebbero restate, non essendo stato modificato l’articolo 38 disp. att. Cc – di competenza del Tribunale minorile. Cfr. G. Servetti, Affido condiviso, Prime osservazioni e nodi problematici, in www.unicostmilano.it Ex multis anche il direttivo dell’Aimmf (documento redatto dal Consiglio Direttivo relativo alla Legge 54/2006 in www.minoriefamiglia.it) si è espresso ufficialmente per la permanenza della competenza al Tribunale per i minorenni.

[6] Il provvedimento costituisce un unicum inscindibile correlato a una valutazione necessariamente unitaria della vicenda personale e familiare all’attenzione del giudice. Questa tesi è stata ritenuta da taluno non condivisibile in quanto non coincide con le regole del processo camerale minorile incapace di funzionare come contenitore processuale plausibile per le azioni di natura economica oggi previste. Cfr G. Dosi, Necessario unificare le competenze all’interno dei conflitti familiari, in IlSole24ore- Guida al diritto, 12 agosto 2006, n. 32, p. 77 ss.

[7] Osservano i tribunali per i minorenni di Roma e Milano che il ricorso all’articolo 317bis Cc in materia di regolamentazione di esercizio della potestà genitoriale in sede giurisdizionale fu storicamente una forzatura operata dai giudici minorili sin dal 1975 per venire incontro alle esigenze dei genitori naturali: non vi erano norme che prevedessero un procedimento ad hoc in caso di cessazione della convivenza e i tribunali per i minorenni in via interpretativa e applicativa, ritennero in qualche modo di forzare quanto previsto nell’articolo 317bis Cc, disciplinando affidamento e relazione dei figli con i genitori. Tale forzatura non avrebbe più ragione di essere, venendosi peraltro ad attuare per suo tramite, una incostituzionale disparità di trattamento tra i figli naturali e i figli legittimi. Cfr. Il Sole24ore Famiglia e minori, 1 dicembre 2006, n. 2.

[8] Conclusione smentita in quanto, ove si ritenesse applicabile il rito speciale ex articolo 706 e ss. Cpc ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, dovrebbe parimenti considerarsi applicabile il rito della separazione anche ai giudizi di nullità del matrimonio pure richiamati dal comma 2 dell’articolo 4 legge 54/2006, i quali invece, secondo l’interpretazione corrente, sono soggetti al rito ordinario di cognizione civile. Cfr. Cass. 3 aprile 2007, n. 8362 in Famiglia, persone e successioni, 2007, 6, pg. 509, annotata da F. Danovi.

[9] Tribunale di Monza, ordinanza dell’11 ottobre 2006.

[10] G. Dosi, Necessario unificare le competenze all’interno dei conflitti familiari, in IlSole24ore – Guida al diritto, 12 agosto 2006, n. 32, p. 77 ss.

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