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L’articolo 360 Cpc: rigore dei motivi di ammissibilità nel ricorso di legittimità

La sentenza 9955/07 della seconda sezione civile della Suprema Corte, emessa in data 26 aprile 2007, qui pubblicata, trae origine dalla vicenda per cui la comproprietaria di un fondo in agro di Mattinata, asseriva di dover esercitare una servitù di passaggio. Ed invero, parte attrice proponeva actio negatoria servitutis ed il convenuto proprietario di un fondo finitimo si opponeva chiedendo in riconvenzionale “actio confessoria”.
Il tribunale adito accoglieva le richieste di parte di attrice, rigettando per difetto di prova, in ordine alla costituzione della controversa servitù, la domanda riconvenzionale proposta da parte convenuta. A conclusioni opposte, giungeva invece la Corte di appello di Bari in virtù della produzione dell’atto di divisione tra coeredi e del testamento olografo redatto dal comune dante causa. Avverso questo provvedimento proponeva ricorso la parte soccombente, la quale chiedeva l’integrale riforma della sentenza impugnata.

CONSIDERAZIONE IN ORDINE AI TERMINI PERENTORI PREVISTI DALL’ARTICOLO 325 CPC 
I termini per le impugnazioni delle sentenze sono perentori e decorrono per il solo fatto oggettivo del trascorrere del tempo. Come sostenuto da autorevole dottrina (Picardi) l’ordinata sequenza di atti processuali richiede anche il rispetto di taluni requisiti di tempo. Il fattore temporale è dunque uno dei criteri di collegamento fra i diversi atti. Il ritmo del processo si assume pertanto sia cadenzato da una serie di termini processuali.
Ciò premesso la dottrina classica, ricostruisce ogni tipo di termine come requisito o elemento temporale dell’atto.
La proposizione dell’impugnazione nel termine di cui all’articolo 325 Cpc si perfeziona stante la sua natura recettizia nel momento in cui l’atto impugnato è portato a conoscenza dell’altra parte nella forma legale della notificazione.
Il primo punto affrontato dalla Corte nella sentenza in commento1, attiene all’eventuale inammissibilità della notifica tardiva del ricorso, qualora effettuata oltre i termini previsti dall’articolo 325 Cpc in virtù di un precedente tentativo non andato a buon fine per accertato trasferimento del domiciliatario della controparte ad altro indirizzo.
Ed invero, mentre per le decadenze che si verificano all’interno del processo il problema viene risolto attraverso le varie disposizioni di rimessione in termini, (articolo 184bis e 294 Cpc) nessuna regola permette di rimediare alle decadenze che si verificano fuori del processo, come quelle relative al potere di impugnazione.
L’interpretazione sistematica condotta in questi termini ha portato al consolidato orientamento per cui non soggiace alla sanzione dell’inammissibilità il ricorso rinotificato oltre i termini, non potendosi imputare alla parte l’esito negativo della notificazione tempestivamente richiesta .
Segnatamente le Sezioni unite2, hanno affermato che una corretta interpretazione della normativa in tema di notificazioni sulla base degli articoli 3 e 24 Costituzione impone di escludere che al mancato completamento dell’attività di notificazione per fatto non riconducibile ad errore o negligenza del disponente, possa derivare un effetto di decadenza, in quanto le garanzie di conoscibilità dell’atto da parte del destinatario della notificazione debbano coordinarsi con l’imprescindibile interesse del notificante a non vedersi addebitare l’esito intempestivo del procedimento notificatorio.
Orbene, tale principio è ripreso tout court dalla sentenza in commento3, la quale afferma che gli effetti della notificazione per il notificante, vanno ricollegate al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalle legge, perfezionamento che ha luogo con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. Ne consegue perciò de plano che il notificante dopo la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario non è in grado di controllare gli eventi successivi.
Traducendo tali concetti nell’ambito del congegno processuale, si afferma così l’operatività del principio della possibile scissione soggettiva fra il momento perfezionativo per la parte istante e quello di efficacia per il destinatario della notificazione Principio questo che, per la sua portata generale, diversamente interpretato sarebbe palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante che porterebbe alla maturazione di una decadenza per il compimento di un’attività riferibile non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi (l’ufficiale giudiziario e l’agente postale) e che, perciò, resta del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo.
Orbene, è solo con la rinnovazione della notificazione che si realizza il contemperamento degli interessi in gioco presidiati entrambi dalla garanzia di difesa.
Cioè del notificante di non vedersi attribuito il mancato esito della procedura notificatoria, e quello del destinatario di essere posto in condizioni di ricevere l’atto ed approntare le proprie difese nel congruo termine decorrente dalla ricezione.
Vengono superati in tal modo gli inconvenienti di un sistema nel quale, i rischi della notifica ricadevano sul richiedente.

IL RICORSO PER CASSAZIONE AI SENSI DELL’ARTICOLO 360 CPC N. 3 E LA SPECIFICITÀ DELLA FORMULAZIONE DEI MOTIVI 
La sentenza che qui si analizza, esamina un’altra questione procedurale di non poco conto.
Tanto premesso va chiarito che l’impugnazione per cassazione è a critica vincolata, ed i motivi sono inquadrabili nell’ottica del paradigma degli errores in procedendo o in iudicando, a seconda che attengano alla violazione di norme di rito o di diritto sostanziale.
Nello specifico l'”error in procedendo” riferibile ai n. 1, 2, 4 e 5 dell’articolo 360 Cpc si sostanzia nella violazione delle norme sul riparto della giurisdizione, sulle norme sulla competenza, sulla nullità della sentenza o del procedimento ed infine per vizio di motivazione consistente in omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Con la riforma è stato poi precisato che, il fatto oltre che decisivo deve essere controverso.
L’error in iudicando sancito dall’articolo 360 n. 3, si sostanzia nella violazione o falsa applicazione di norme del diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.
L’espressione violazione o falsa applicazione di legge ricomprende ogni possibile errore nell’individuazione, interpretazione ed applicazione della norma, ovvero nell’attività compiuta dal giudice ai fini della ricerca e dell’applicazione della regula iuris.
Il vizio della sentenza ex articolo 360 Cpc n. 3 non può essere fatto valere limitandosi ad un astratto riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante la semplice indicazione delle norme violate o ad esempio con il richiamo dei principi in esse contenute.
È dovere del ricorrente invero precisare in quale modo e con quali specifiche considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni violati.
Ne consegue dunque che non può parlarsi di violazione o falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360 Cpc n. 3 se non quando vi sia stato errore nel giudizio di diritto.
Il vizio di motivazione pertanto, nello specifico, presume una connessione tra ciò che è scritto in sentenza e ciò che deriva dagli atti e dalle prove acquisite o dall’inefficace istruzione su aspetti di merito dedotti dalle parti.
I motivi a sostegno del ricorso per cassazione devono possedere dunque i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata.
Al contrario nella sentenza qui pubblicata, si può leggere che il ricorso presentato da parte attrice, avverso la decisione della Corte d’appello di Bari, non è stata motivatamente assoggettato a censure specifiche in relazione a vizi ipotizzati dall’articolo 360 Cpc n. 3 ma anzi è risultato prospettare le stesse questioni sulle quali si era già pronunciato il giudice a quo.
Ebbene il ricorso, stabilisce l’odierno giudicante si limita ad una generica postulazione di erroneità della sentenza impugnata.
Orbene, in virtù del principio di autosufficienza si ricorda che il ricorso presentato a norma dell’articolo 360 Cpc deve includere in sé, tutti gli elementi necessari a tratteggiare le ragioni per le quali si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed in special modo l’indicazione precipua dei motivi del ricorso deve consentire di per sé in modo del tutto autonomo, l’immediata e compiuta identificazioni delle questioni da risolvere.
Ora in ordine alla motivazione, invero, si afferma pacificamente che in sede di legittimità non sono proponibili censure dirette a provocare una nuova valutazione delle risultanze processuali, diverse da quelle espresse dal giudice di merito, che ha l’onere esclusivamente di esaminarle nel loro complesso, di indicare gli elementi in base ai quali fonda il proprio convincimento, ed infine l’iter osservato nella valutazione degli stessi, disattendendo come afferma l’odierna corte quegli elementi logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Risulta pertanto inammissibile il ricorso nel quale il motivo venga solo apoditticamente enunciato senza precisare in quale modo abbia avuto luogo la violazione nella quale si dichiara essere incorsa la pronuncia di merito.
Anche per quanto attiene poi alle modalità di deduzione delle ragioni esposte dalla ricorrente in tema di prove non risultano conformi alla finalità peculiare del giudizio di cassazione.
A tal proposito è d’uopo ai fini di una corretta ricostruzione richiamare l’articolo 116 Cpc che sancisce il principio della libera valutazione delle prove. Ed invero fermi i fatti allegati dalle parti, e ferma la regola per le quali, le prove sulle quali fondare il convincimento sono solo quelle presentate dalle parti, nella formazione del suo convincimento il giudice è libero di fare apprezzamento di questi elemento secondo canoni non fissati aprioristicamente dalle legge.
Dunque il giudice nel quadro del principio espresso dall’articolo 116 Cpc ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti.
Ed allora tornando ai motivi di ricorso per cassazione ex articolo 360 Cpc in particolare il n. 5, va osservato che la sentenza in commento4, sottolinea come la ricorrente invece si sia limitata a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito, al diverso convincimento soggettivo della parte .
Di guisa che assume la Corte che l’odierna proposizione dell’impugnativa appare invero piuttosto una pretesa di un migliore e più soddisfacente coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento.
Valga il vero che in alcun modo può essere pertanto accolto un ricorso che si limiti meramente a criticare il convincimento cui il giudice sia pervenuto, dal momento che ci si riferirebbe esclusivamente al merito della controversia il cui riesame non è consentito in sede di legittimità.
In tema di interpretazione degli atti poi giova ricordare che la parte che denunzi in cassazione l’erronea determinazione della volontà negoziale compiuta dal giudice di merito ha l’obbligo di indicare quali canoni o criteri interpretativi in violazione degli articolo 1362 e seguenti cod. civ. siano stati violati, in mancanza l’individuazione della volontà negoziale è censurabile solo quando la motivazione addotta è insufficiente o inficiata da contraddittorietà logica o giuridica
Ed invero nella fattispecie de quo, la ricorrente non indica quali canoni ermeneutici siano stati violati, e in alcun modo può considerarsi affetta da insufficienza o da contraddittorietà la motivazione della sentenza impugnata.
È dunque insufficiente e non meritevole di accoglimento una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante.
Dopo quanto abbiamo sin qui osservato è dunque agevole cogliere che qualora si eccepisca il vizio di motivazione in ordine all’incongruità o insufficienza delle argomentazioni svoltevi in ordine alle prove, per omessa o erronea valutazione delle risultanze processuali, è necessario e doveroso che il ricorrente indichi ciascuna delle risultanza istruttorie a cui fa riferimento e ne specifichi il contenuto mediante la loro esauriente esposizione, non essendo sufficiente il semplice richiamo ai documenti prodotti o alle consulenze espletate nella fase di merito e la prospettazione di valore probatorio di essi quale inteso soggettivamente dalla parte.

CONCLUSIONI
I principi affermati dalla Cassazione riproducono senza alcuna possibilità di eccezione la rigorosità propria dei motivi di ammissibilità del ricorso in cassazione previsti ex art. 360 Cpc che dopo quanto abbiamo sin qui osservato non permettono anomalie che lederebbero la certezza del diritto che è caratteristica fondamentale e irrinunciabile di ogni ordinamento giuridico.


1 Cass. sez. II civ. 26 aprile 2007, n. 9955.
2 SS.UU.Cass.4 maggio 2006 n. 10216, come già evidenziato da Cass. 21 novembre 2006 n. 24702 e da Corte Cost. 26 novembre 2002 n. 477, 23 gennaio 2004 n. 28, e 12 aprile 2005 n. 154.
3 Cass. sez. II civ. 26 aprile 2007, n. 9955.
4 Cass. sez. II civ. 26 aprile 2007, n. 9955.

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