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Il rimborso delle accise sul consumo di energia elettrica: ultime della giurisprudenza

Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. n. 511 del 1988, conv. dalla I. n. 20 del 1989, alla medesima stregua delle accise, sono dovute, al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale, dal fornitore, il quale, pertanto, in caso di pagamento indebito, è l’unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria, mentre il consumatore finale, al quale il fornitore abbia addebitato le suddette imposte, può esercitare nei confronti di quest’ultimo l’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito e, soltanto nel caso in cui dimostri l’eccessiva onerosità di tale azione, può chiedere direttamente il rimborso all’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività della tutela (Cass. nn. 14200/2019, 2018/2019, 27099/2019).

Come già rilevato nelle citate sentenze, dal complesso delle disposizioni che regolano il versamento e il rimborso delle accise (art. 2, commi 1 e 4 , art. 14 d. Igs. n. 504 del 95 – TUA, art. 29 comma della I. n. 428 del 1990) emerge chiaramente che il titolare, dal lato passivo, dell’obbligazione tributaria di corrispondere l’accisa è, sempre e comunque, il fabbricante ovvero l’intermediario che immette i beni al consumo nel territorio dello Stato.

È dunque costui a dover pagare l’imposta; e, in esito al pagamento, egli può riversarne l’onere mediante rivalsa sul cessionario/consumatore finale (art.16 comma 3 TUA). E non potrebbe essere diversamente, giacché la caratterizzazione tipologica delle accise postula, per poter risultare efficace e garantire un gettito costante all’erario, la concentrazione del controllo su pochi soggetti, ossia i produttori o gli importatori dei prodotti (così, in motivazione, Cass. n. 17627 del 06/08/2014; si veda, altresì, Cass. 19 giugno 2008, n. 16612).

Per costoro, in sostanza, l’accisa è un costo sostenuto prima della cessione del bene, tale da farlo rientrare, ad esempio, nella base imponibile dell’IVA (Cass. n. 24015 del 03/10/2018) che può, e non deve, come per VIVA, essere traslato sul consumatore finale quale componente del prezzo del bene ceduto.

Per altro verso, «la configurabilità della rivalsa come oggetto di un diritto e non come elemento connaturale ed ineludibile della fisionomia del tributo esclude la configurabilità del rapporto di sostituzione d’imposta e, per conseguenza, l’autonoma rilevanza del sostituito, ossia del consumatore finale» (così Cass. n. 9567 del 19/04/2013 con riferimento alla energia elettrica; l’affermazione è ripetuta da Cass. 17627 del 2014, cit., anche con riferimento al gas naturale).

Il rapporto di imposta, pertanto, rimane in capo al fornitore quale unico obbligato al versamento della stessa, e ad esso si affianca il diverso rapporto tra fornitore e consumatore, che non ha rilievo tributario, bensì rilievo civilistico (cfr. Cass. n 9567/013 cit.).


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