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L’istituto dell’intervento dei creditori nel procedimento esecutivo

INTRODUZIONE   

L’istituto dell’intervento dei creditori nel procedimento esecutivo è sicuramente tra quelli che nel corso delle ultime legislature è stato oggetto di diverse modifiche che hanno portato dal 1° marzo 2006 all’attuale assetto normativo, con cui l’interprete deve confrontarsi.

Le novità, sono state originariamente introdotte dal D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito con modificazioni in L. 14 maggio 2005 n. 80; prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, però, s’è sentita l’esigenza di apportare loro un correttivo, con L. 28 dicembre 2005 n. 263.

Questo lavoro ha lo scopo per l’appunto di ripercorrere il panorama legislativo in materia, ponendo attenzione sia al passato che al presente e cercando di porre in evidenza le questioni aperte che a tutt’oggi non hanno ancora trovato una puntuale risoluzione. 

CAPITOLO 1

IL PROCESSO ESECUTIVO E L’ISTITUTO DELL’INTERVENTO 

  1. Il procedimento di esecuzione: nozione e finalità

Il processo esecutivo costituisce oggetto della disciplina contenuta sia nel terzo libro del codice di procedura civile “del processo d’esecuzione”, sia nel codice civile, specificamente nel libro VI, titolo IV[1]. Così come il processo di cognizione anche la disciplina del processo esecutivo è di tipo descrittivo. Essa consiste, cioè, in un insieme di norme che prescrivono e contestualmente descrivono lo svolgimento del processo nel suo estrinsecarsi mediante atti interconnessi logicamente e giuridicamente[2].

Il processo esecutivo è rivolto alla soddisfazione dell’interesse del creditore, che deve ottenere ciò che gli è dovuto nel quadro e con le garanzie dell’ordinamento giuridico, nei limiti di quanto la legge o il giudice stabilisce

Tra i processi esecutivi occorre primariamente distinguere l’espropriazione forzata[3], mediante la quale viene soddisfatta una pretesa del creditore avente ad oggetto una somma di danaro, dall’assegnazione forzata, in cui il bene o il credito è trasferito al creditore istante, attraverso l’intervento giudiziale, dall’esecuzione in forma specifica, avente ad oggetto la consegna o il rilascio di beni mobili o immobili determinati oppure un obbligo di fare o disfare. L’espropriazione forzata, a sua volta, può avere ad oggetto beni mobili, beni immobili o crediti del debitore. Il primo atto dell’espropriazione forzata è il pignoramento, ossia un atto mediante il quale il creditore, anche per tramite dell’ufficiale giudiziario, imprime un vincolo di indisponibilità sui beni del debitore. Dopodiché si procede alla vendita forzata o all’assegnazione dei beni pignorati ed, infine, alla distribuzione della somma ricavata[4] in favore del creditore procedente e dei creditori intervenuti. L’esecuzione forzata in forma specifica segue, invece, le specifiche forme procedimentali disciplinate dagli artt. da 608 a 611 c.p.c. nonché 2930 c.c. (per l’esecuzione forzata per consegna o rilascio) e dagli artt. da 2931 a 2933 c.c. e da 612 a 614 c.p.c. (per l’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare). Infine, il processo di esecuzione, quale procedura esecutiva individuale, va distinta dalle procedure concorsuali[5].

Dal punto di vista strutturale, ciò che connota l’esecuzione è il possibile uso della forza per superare eventuali resistenze soggettive di chi subisce l’intervento. Proprio tale possibilità, il più delle volte ne rende inutile l’impiego[6]. Poiché il processo esecutivo ha la finalità di dare esecuzione materiale ad un diritto sostanziale e che ciò presuppone un previo accertamento di tale diritto, si ricava che l’elemento fondamentale che legittima l’esecuzione è l’accertamento del diritto. Ciò rappresenta la condizione essenziale per l’azione esecutiva[7]  Deve trattarsi di un accertamento idoneo a rappresentare il diritto in tutti i suoi elementi, soggettivi ed oggettivi ed a documentarlo all’organo esecutivo.

Questo accertamento, che quindi permetterà all’organo esecutivo di operare, è il titolo esecutivo, contenente il diritto cui dare materiale esecuzione.

Con il termine titolo esecutivo ci si riferisce contestualmente al documento che contiene l’accertamento ( es. copia della sentenza spedita in forma esecutiva, cambiale,assegno,ecc) e all’atto di accertamento in esso contenuto ( es. sentenza come provvedimento). Il titolo esecutivo è la condizione essenziale per procedere all’esecuzione forzata, in quanto in esso troviamo rappresentato l’interesse ad agire, la legittimazione ad agire e la possibilità giuridica.

L’interesse ad agire, così come la possibilità giuridica, è implicito nel fatto che il diritto è accertato come eseguibile. La legittimazione ad agire è implicita nella coincidenza tra i soggetti dell’azione esecutiva e del titolo esecutivo, in quanto l’azione esecutiva spetta a colui che nel titolo risulta creditore.

Dall’art 474 cpc si deduce che il titolo esecutivo è condizione necessaria e sufficiente per procedere; in tale norma, infatti, è espresso il principio per cui non è concepibile l’esecuzione forzata senza titolo. Principio rafforzato dalla legge 80/2005, per cui possono intervenire nell’esecuzione solo i creditori muniti di titolo esecutivo, ad eccezione dei sequestranti[8] e privilegiati. Rispetto a questo impianto originario particolarmente rigido è intervenuta la legge 263/2005, la quale ha individuato una ulteriore categoria di creditori legittimati all’intervento, ossia i titolari di diritti di credito derivanti dalle scritture contabili ex. art. 2214 c.c.

L’art 474 cpc detta la disciplina del titolo esecutivo a cui è necessario fare un breve rinvio per comprendere quello che è la condicio sine qua non dell’espropriazione forzata e quindi anche dell’intervento 

  1. Il progetto di legge Tarzia

Il d.d.l. delega predisposto dalla c.d. Commissione Tarzia[9], approvato dal C.d.M il 22 giugno 1996[10], si muove in un indirizzo opposto a quello che si era affermato antecedentemente in giurisprudenza.

Detto progetto, nel regolare la pluralità di creditori nel processo di espropriazione, prevedeva:

  1. la “limitazione del potere d’intervento, anche ai fini della partecipazione alla distribuzione, ai creditori muniti di titolo esecutivo, ai creditori pignoratizi e a quelli muniti di un diritto di prelazione sui beni pignorati risultante da pubblici registri” nonché al creditore sequestrante, con conseguente accantonamento della quota eventualmente a lui spettante nella distribuzione;
  2. la “fissazione di un termine perentorio per l’intervento, decorrente per i creditori iscritti e per il sequestrante dalla notificazione dell’avviso, e individuato per gli altri nella data del provvedimento che dispone l’assegnazione o la vendita” [11].

Il testo della Commissione Tarzia limitava le ipotesi di legittimazione attiva all’intervento (creditori titolati, creditori con diritto di prelazione speciale sul bene pignorato e creditori sequestranti) e prevedeva un dies ad quem oltre il quale decadeva la legittimazione all’intervento nella procedura esecutiva, che decorreva dal provvedimento che dispone la vendita o dall’avviso ai creditori esciti e sequestrante.

Queste regime restrittivo in materia di intervento, era però controbilanciato dall’altra modificazione prevista nel d.d.l. delega redatto dalla Commissione Tarzia (art. 2 lett. mm, n.2) che tendeva ad ampliare il novero dei titoli esecutivi stragiudiziali, cioè il riconoscimento come titolo esecutivo alla scrittura privata autenticata, lasciando fuori dal procedimento espropriativo i crediti risultante dalle scritture private non autenticate.

  1. Il disegno di legge Castelli

Il Consiglio dei Ministri approvava in data 21.12.2001, su proposta del Ministro della Giustizia Roberto Castelli, un disegno di legge recante “Modifiche urgenti al processo civile”, che mirava a snellire alcune fasi dei procedimenti.

Sinteticamente, la proposta di riforma era diretta all’esigenza di razionalizzare e velocizzare un processo che necessitava di urgenti misure[12].

I punti salienti della proposta prevedevano

  1. a) la riserva dell’intervento ai soli creditori muniti di titolo, come da tempo auspicato dalla migliore dottrina (articolo 499 e, conseguentemente, articoli 526, 528, 564, 566, 629);
  2. b) la generalizzazione ad ogni tipo di esecuzione (articolo 499, 3° comma) dell’istituto, oggi riservato all’espropriazione mobiliare (articolo 527), dell’estensione del pignoramento e la previsione (articolo 546) che il pignoramento presso terzi produce nel patrimonio del debitore, effetti commisurati all’entità del credito del pignorante e non anche, come oggi, effetti spropositati;
  3. c) il potenziamento dell’efficienza, quanto a tempi e risultato economico, della vendita forzata che il giudice, preferendo non servirsi del notaio ex lege n 302 del 1988, voglia condurre in prima persona, e ciò facendo leva sull’istituto della custodia per vendere il bene libero (articolo 560) e sulla vendita senza incanto (articoli 571 e 572), riscrivendo l’istituto delle offerte dopo l’incanto per stroncare fenomeni estorsivi ai quali si prestava (articoli 584), rendendo meno rigida ed automatica la disciplina della produzione della documentazione ipocatastale (articolo 567);
  4. d) l’elevazione a dieci giorni del termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi (articolo 617), istituto non più utilizzabile soltanto per opposizioni meramente formali, ma anche per complesse forme di contestazione di una serie atti e provvedimenti esecutivi, che è ulteriormente valorizzato in quanto elevato a rimedio esperibile avverso l’ordinanza risolutiva di controversie insorte in sede di distribuzione del ricavato (articolo 512);
  5. e) l’individuazione nella notifica dell’avviso del momento iniziale dell’esecuzione per il rilascio (articolo 608);
  6. f) l’attribuzione al giudice dell’opposizione al precetto del potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo o l’esecuzione, con previsione del reclamo ex articolo 669 terdecies come agile strumento in luogo dell’opposizione agli atti – per contestare la legittimità di tale significativo provvedimento (articolo 624).
  1. Il progetto della Commissione Vaccarella

Il progetto Vaccarella di legge delega per la riforma del codice di rito, recepito dal disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri il 24 ottobre 2003 si ispirava ad una logica del tutto diversa dal passato.

Il “progetto Vaccarella” si proponeva, in materia esecutiva (artt. 33-46 del DDL), una radicale trasformazione di istituti del processo esecutivo, tra cui la materia delle opposizioni (art. 43), l’ampliamento della categoria dei titoli esecutivi, estesa per la prima volta alle scritture private eventualmente anche non autenticate (art. 34), l’introduzione, per la prima volta, di forme di coazione volte a tutelare i crediti correlati ad obblighi infungibili, (art. 42), la revisione della stessa categoria dei beni pignorabili, comprendendovi anche l’azienda (art. 37).

I principi direttivi del progetto Vaccarella sull’esecuzione immobiliare sembravano essenzialmente rivolti a migliorare, nei tempi e nei risultati economici, gli esiti delle vendite immobiliari:

Nella materia delle opposizioni, peraltro il “progetto Vaccarella” introduceva una più netta distinzione tra le opposizioni di merito e quelle di rito, riconducendo nell’ambito di queste ultime le contestazioni attinenti al titolo esecutivo e alla pignorabilità dei beni e qualificando come opposizioni di merito le sole contestazioni relative al diritto sostanziale tutelato dal processo esecutivo (art. 43 lett. a e b del DDL).

Inoltre introduceva un limite temporale alla proponibilità delle opposizioni di merito, che restavano precluse dall’espletamento della vendita forzata, limitazione

Ebbene si può affermare che la quasi totalità degli interventi sul processo esecutivo contemplati dalla legge di riforma riprendono il progetto Vaccarella e sono stati oggetto negli anni di un dibattito consistente, segnato da manifestazioni di consenso esplicito da parte di alcuni e da parte di altri, invece, da forti perplessità e voci critiche. 

  1. L’istituto dell’intervento nel processo esecutivo

L’istituto dell’intervento nella fase anteriore alla riforma era disciplinato in linea generale dagli artt. 499 e 500 c.p.c., ed è uno dei mezzi attraverso cui si attua la concorsualità tra i creditori[13]. E’ infatti lo strumento con cui i creditori diversi dal pignorante (o lo stesso creditore pignorante, per crediti diversi da quello originariamente azionato) possono chiedere di partecipare al procedimento esecutivo, di provocarne singoli atti (se muniti di titolo esecutivo) e di potersi soddisfare sul ricavato[14].

E’ stato osservato[15] che ciò che caratterizza l’atto d’intervento, in sé e per sé, è proprio la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata (attraverso cui si attua la c.d. azione satisfattiva), e non tanto quella diretta alla partecipazione all’espropriazione e alla provocazione dei singoli atti (attività funzionale alla liquidazione dei beni pignorati, ciò che costituisce estrinsecazione della c.d. azione espropriativa).

Il vecchio art. 499 c.p.c. attribuiva il potere d’intervento, oltre ai creditori privilegiati di cui all’art. 498 c.p.c., a tutti gli altri creditori, titolati e non titolati. I poteri spettanti agli intervenienti erano disciplinati dall’art. 500 c.p.c., che attribuiva a tutti i creditori il diritto di partecipare alla distribuzione della somma ricavata, nonché, alle condizioni dettate dalle singole norme previste specificamente per il pignoramento mobiliare, per quello presso terzi e per quello immobiliare, di partecipare all’espropriazione (ossia, di comparire dinanzi al giudice dell’esecuzione, di svolgere osservazioni, ecc.) e di provocarne i singoli atti (id est, chiedere la vendita o l’assegnazione).

Inoltre, non era previsto alcun obbligo di notificare al debitore l’atto d’intervento, al cui deposito in cancelleria veniva comunemente riconosciuta anche efficacia interruttiva della prescrizione[16], in quanto costituente domanda proposta nel corso di giudizio, ai sensi dell’art. 2943 co. 2° c.c.. Tale assetto[17] è anche passato indenne al vaglio del giudice delle leggi; la Corte Costituzionale, infatti, con sentenza n. 407 del 31.7.2000, ha dichiarato non fondata la questione dell’art. 525 c.p.c. nella parte in cui non prevede, in assenza del debitore esecutato all’udienza fissata per stabilire le modalità della vendita o dell’assegnazione, l’obbligo di notificare al debitore medesimo il ricorso per intervento del creditore munito di scrittura privata, e ciò in quanto la diversità del processo esecutivo rispetto a quello di cognizione non rende assimilabile la posizione del debitore esecutato e quella del convenuto contumace, ai fini di quanto previsto dall’art. 292 c.p.c., come preteso dal giudice a quo[18].

Significativa era la differenza di disciplina tra pignoramento mobiliare e presso terzi da un lato e pignoramento immobiliare dall’altro quanto ai requisiti di ammissibilità dell’intervento: certezza, liquidità, ed esigibilità del credito per i primi, laddove era invece stabilita per il pignoramento immobiliare la possibilità di intervenire anche per crediti sottoposti a termine o condizione, ex art. 563 c.p.c.. Tale differenza veniva solitamente giustificata considerando che pretendere anche per le esecuzioni immobiliari il requisito dell’esigibilità avrebbe comportato in  molti casi l’esclusione dei creditori ipotecari, tenuto conto che la vendita forzata ha come effetto anche quello di purgare il bene dai diritti reali di garanzia, a prescindere dall’esigibilità del credito[19] .

Quanto alla tempestività dell’intervento, l’art. 525 co. 2° c.p.c. per l’esecuzione mobiliare poneva quale limite temporale discretivo la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione; il 3° comma, poi, per la c.d. piccola espropriazione mobiliare, stabiliva che l’intervento dovesse essere spiegato entro la data di presentazione dell’istanza di vendita. Quanto all’espropriazione presso terzi, il limite veniva individuato dall’art. 551 co. 2° nell’udienza di comparizione delle parti prevista dall’art. 543 c.p.c.. Infine, riguardo all’espropriazione immobiliare, detto termine veniva fissato dall’art. 563 co. 2° c.p.c. nella prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita.

Discernere se un intervento dovesse considerarsi tempestivo o tardivo aveva una notevole rilevanza, essendo ricollegato alla possibile postergazione dell’intervento tardivamente spiegato nella fase distributiva, secondo quanto disciplinato per le singole forme di espropriazione dagli artt. 528, 551, 565 e 566 c.p.c..

La questione interpretativa maggiormente dibattuta, sia in dottrina[20] che in giurisprudenza[21], era quella su che cosa dovesse intendersi per “prima udienza”, e cioè se occorresse riferirsi alla prima udienza comunque fissata per la vendita o la comparizione delle parti, ovvero – a seguito di rinvii – a quella in cui fosse effettivamente stata disposta la vendita o l’assegnazione o, ancora, il terzo avesse reso la dichiarazione. Nella prassi concretamente seguita dalla maggior parte dei Tribunali, era oramai maggiormente seguita tale ultima soluzione. 

  1. La nuova formulazione dell’art. 499 c.p.c. alla luce della riforma 80/2005

L’art. 499 c.p.c. così come novellato prevede che “possono intervenire nell’esecuzione i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo, nonché i creditori che, al momento del pignoramento avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri ovvero erano titolari di un diritto di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.”[22].

Ebbene, nell’ambito del c.d. decreto competitività[23], è stata introdotta una significativa riforma del processo esecutivo individuale, restringendo per quanto attiene all’intervento dei creditori la legittimazione ai soli creditori muniti di titolo esecutivo[24], nonché a quelli che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, ovvero avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. E’ stato poi generalizzato l’istituto dell’estensione del pignoramento, dapprima previsto per il solo pignoramento mobiliare dall’art. 527 c.p.c.[25], eliminando la differenza circa l’esigibilità del credito, oramai requisito indispensabile in ogni tipo di pignoramento. Altre modifiche hanno riguardato il tempo dell’intervento, attraverso una ridefinizione della disciplina concernente la tempestività. Ancora, è stato ridisegnato l’art. 500 c.p.c., con modificazioni di carattere meramente formale, resesi necessarie a seguito delle novità apportate all’istituto[26].

Poco prima dell’entrata in vigore della superiori modifiche, peraltro, l’art. 499 c.p.c. ha subito un’ulteriore rimodulazione per effetto dell’art. 1 co. 3° L. 28.12.2005 n. 263[27], che ha da un lato esteso la legitimatio ad interveniendum in favore di altra categoria di creditori non titolati, ossia gli imprenditori commerciali, dall’altro ha forgiato ex novo uno strumento endoprocedimentale offerto al debitore onde anticipare la possibilità di disconoscere  la sussistenza o l’ammontare del credito non assistito da titolo esecutivo: l’udienza di verifica.

Si era infatti da più parti osservato[28] che l’impostazione adottata dal legislatore a maggior tutela del debitore avrebbe finito con il comportare un trasferimento del contenzioso da un settore all’altro della giurisdizione, per la necessità di munirsi di un titolo esecutivo, con conseguente esponenziale aggravio di costi che, in definitiva, sarebbe andato pur sempre a carico del debitore, con minore possibilità di sua totale esdebitazione. 

CAPITOLO II

L’INTERVENTO DEI CREDITORI

1 La provocazione dell’intervento

I creditori abilitati ad intervenire ex art. 499 c.p.c. nuovo conio sono quindi i seguenti:

  1. creditori muniti di titolo esecutivo;
  2. quelli, non titolati, il cui diritto nasce dall’espropriazione in corso ex art. 2812 c.c.;
  3. i creditori non titolati che, al momento del pignoramento, hanno già stabilito un legame diretto con il bene pignorato (per la realizzazione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.), per essere sequestranti, pignoratizi o aventi diritto di prelazione risultante da pubblici registri;
  4. i creditori non titolati il cui credito, al momento del pignoramento, risulta dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c..

Quanto ai creditori titolati, occorre ovviamente far riferimento al nuovo testo dell’art. 474 c.p.c., che prevede un più ampio spettro di titoli esecutivi, ricomprendendovi tra l’altro le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute. Si pone il problema se ancorare o meno la legittimazione al tempo della formazione del titolo esecutivo. In altre parole, poiché il nuovo art. 474 c.p.c. è entrato in vigore il 1° marzo 2006, ci si chiede se un intervento spiegato dopo tale data in forza di un atto oggi costituente titolo esecutivo, ma formatosi nel vigore del vecchio art. 474 c.p.c., allorquando esso atto non poteva avere tale veste (si pensi ad una scrittura privata autenticata in epoca precedente), debba qualificarsi titolato o non titolato, con conseguente inammissibilità in tale ultimo caso. La risposta accolta dalla dottrina[29] porta a ritenere che, ai fini dell’efficacia esecutiva dell’atto, occorra far riferimento alla legge esistente al momento della sua formazione. Pertanto, deve escludersi che in tal caso l’intervento possa considerarsi titolato, tra l’altro considerando[30] che il debitore, all’epoca della sottoscrizione e dell’autenticazione, non era per nulla avvertito di questa possibile (ed ulteriore) conseguenza.

Riguardo ai creditori di cui all’art. 2812 c.c., occorre solo dire che, com’è stato osservato in dottrina[31], anche a prescindere dalla “riemersione” della categoria dei creditori non muniti di titolo esecutivo, già nella stesura intermedia prevista dalla L. n. 80 la mancata inclusione della categoria in esame nel co. 1° dell’art. 499 c.p.c. non avrebbe comunque potuto escluderne la legittimazione, dal momento che è la stessa norma sostanziale a stabilire la surroga dei diritti parziari inopponibili al creditore ipotecario col diritto a partecipare alla distribuzione, con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte in epoca successiva alla trascrizione dei diritti stessi.

L’ulteriore riforma, quindi, ha esteso la legittimazione ai creditori che esercitano attività d’impresa, così consentendo loro di intervenire nel procedimento esecutivo purché alleghino, a pena d’inammissibilità, estratto autentico notarile delle scritture contabili da cui si evinca l’esistenza del credito.

Va osservato però che la tecnica normativa adottata, a stretto rigore, sembrerebbe escludere dalla legittimazione all’intervento la categoria dei piccoli imprenditori, giacché essi non sono obbligati a tenere le scritture di cui all’art. 2214 c.c.. Tuttavia, se la ratio legis va individuata nell’esigenza di evitare alla categoria imprenditoriale la necessità di far ricorso in prima battuta, in alternativa all’intervento, al procedimento monitorio[32], deve ritenersi che anche il piccolo imprenditore possa intervenire nel processo esecutivo, nella misura in cui lo si riteneva legittimato ad agire in monitorio avvalendosi del disposto dell’art. 634 co. 2° c.p.c.: ossia, in forza di estratto autentico delle scritture contabili obbligatorie che egli abbia regolarmente tenuto pur non essendovi obbligato.

  1. I poteri processuali dei creditori intervenuti tempestivamente

Il nuovo art. 499 co. 2° c.p.c. stabilisce che “Il ricorso deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione ai sensi degli articoli 530, 552 e 569, deve contenere l’indicazione del credito e quella del titolo di esso, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o la elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione”. Inoltre, se l’interveniente ha credito risultante dalle scritture contabili, come s’è già detto, egli deve depositare col ricorso, a pena d’inammissibilità, l’estratto autentico notarile delle scritture medesime.

Al riguardo, occorre anzitutto osservare che l’innovazione alla prima parte del comma apportata dalla L. n. 263 si presta a molteplici letture.

Premesso infatti che la locuzione “prima che sia tenuta l’udienza” comporta che il termine per il deposito dell’intervento vada individuato fino ad un momento prima che essa abbia inizio[33] dal tenore letterale della norma (“il ricorso deve …”) sembrerebbe esclusa la possibilità stessa di intervenire (sia con titolo che senza) dopo l’inizio dell’udienza ex artt. 530, 552 e 569 c.p.c.[34], e quindi tardivamente.

Altro problema concerne il termine finale per il deposito dell’atto d’intervento ai fini della valutazione delle conseguenze della tardività.

Infatti, nel vigore dei vecchi artt. 528 co. 1° e 563 co. 2° c.p.c. era oramai invalsa l’interpretazione per cui occorresse far riferimento non già alla prima udienza[35] fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione, sibbene a quella in cui effettivamente tali provvedimenti fossero adottati[36].  Fermo restando che la nuova formulazione dell’art. 499 co. 2° c.p.c. (“… prima che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione …”), attenendo al piano dell’ammissibilità, non incide sulla questione in esame, giacché l’obbligo di deposito del ricorso prima della detta udienza sembra riferito ai soli creditori non titolati, è da ritenere che ai fini della valutazione della tempestività dell’intervento riguardo all’eventuale postergazione in sede distributiva occorra ancora far riferimento alle norme speciali per ciascuna forma di espropriazione. E così, per l’espropriazione mobiliare e presso terzi[37], l’art. 528 c.p.c. novellato continua a riferirsi alla prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione, così come, per l’immobiliare, l’art. 565 c.p.c. novellato[38]. 

  1. La tardività dell’intervento e creditori privilegiati.

La questione  sul termine entro il quale l’intervento deve essere depositato va esaminato partitamene per ciascuna categoria di interventi.

Per quanto riguarda gli interventi dotati di titolo, per le esecuzioni immobiliari (art. 564 c.p.c.), l’intervento tempestivo si produce se il deposito avviene non oltre la celebrazione della prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita, sarà quindi tardivo se si produce dopo tale data (art. 565 c.p.c). Per le esecuzioni mobiliari viene elevato ad Euro 20.000,00 la soglia entro la quale l’intervento si considera tempestivo se si produce il deposito non oltre l’istanza di vendita ex art. 529 c.p.c. (art. 525, comma 2, c.p.c.). Questo elevamento del limite quantitativo rende di fatto tardivi tutti gli interventi che hanno luogo nelle esecuzioni mobiliari, salvo il pignoramento di beni che abbiano un presumibile valore di rialzo superiore ad Euro 20.000,00.

Rimane salva la possibilità per il creditore chirografario munito di titolo di intervenire oltre la prima udienza di autorizzazione della vendita sino all’udienza di discussione del progetto di distribuzione (art. 596 c.p.c.) ovvero fino all’udienza di assegnazione delle somme nell’espropriazione presso terzi (art. 551 c.p.c.), ovvero sino al provvedimento di distribuzione delle somme (art. 528, comma 1, c.p.c.).

Resta, senza modificazioni la previsione che i creditori tempestivi conservano il diritto di prelazione di natura processuale della postergazione, in confronto dei creditori tardivi titolati, diritto che non può essere esercitato in danno dei creditori che siano muniti di un diritto di prelazione sostanziale sui beni staggiti (artt. 528, 565, 566 c.p.c.)

Per gli interventi di creditori non muniti di titolo opera appieno il meccanismo preclusivo del art. 499, comma 2, c.p.c. l’intervento sarebbe precluso dopo la pronuncia dell’ordinanza di vendita. In particolare:

  • se il creditore non titolato interviene non oltre la prima udienza di autorizzazione della vendita, il suo credito deve considerarsi tempestivo;
  • se il creditore non titolato interviene oltre la prima udienza di autorizzazione della vendita ma prima che la vendita sia stata disposta l’intervento è ammissibile anche se tardivo;
  • se l’intervento non titolato avviene dopo l’autorizzazione alla vendita, l’intervento sarebbe inammissibile e il G.E. dovrebbe rilevare di ufficio l’inammissibilità.

Tuttavia la dottrina ha osservato che la preclusione dell’intervento tardivo successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di vendita, purché precedente alla discussione del progetto di distribuzione, pregiudicherebbe tutti quei creditori che, pur non essendo muniti di un titolo esecutivo, non potrebbero realizzare la garanzia del loro credito nonostante l’effetto purgativo della vendita forzata. Per quanto riguarda l’espropriazione immobiliare e l’espropriazione mobiliare, si considera che l’art. 499 c.p.c. si deve interpretare in maniera estensiva. In questo modo, la dottrina ritiene di consentire l’intervento a tali creditori, ma non potendo più essere fissata una udienza per il riconoscimento del credito la posizione di tali creditori si parifica a quella del creditore disconosciuto[39].

Questa soluzione impone la conseguenza che il creditore senza titolo intervenuto dopo l’udienza ex art. 569 c.p.c., deve munirsi del titolo entro i trenta giorni dalla data di intervento, al fine di partecipare all’accantonamento in fase distributiva ex art. 499, comma 6, c.p.c. 

  1. L’importanza attribuita dal legislatore al titolo esecutivo ai fini dell’assegnazione di somme in favore di creditori

L’aspetto più innovativo della riforma del 2005, è costituito dalla disciplina dei poteri cognitori del giudice dell’esecuzione in occasione degli interventi dei creditori, là dove l’attività di tale organo viene espressamente limitata alla verifica della sussistenza di meri presupposti formali.

In altre parole, considerata  la necessità di stabilire un filtro, volto a impedire che l’intervento dei creditori determini un eccessivo rallentamento della procedura liquidativa, il legislatore si riporta alla previsione del requisito (formale) del possesso di un titolo esecutivo, al quale già è affidata ai sensi dell’art. 474 c.p.c. la funzione di identificazione del soggetto legittimato al compimento degli atti esecutivi da parte degli organi a ciò deputati[40], al fine di snellire l’attività di accertamento svolta da tali organi, ma nello stesso tempo di mediare questa esigenza con quella di far permanere l’attività esecutiva, per quanto più è possibile, entro l’ambito del sostanzialmente lecito. Con l’attuale formulazione dell’art. 499 c.p.c. viene, quindi, attribuita al titolo esecutivo una diversa funzione rispetto a quella già assegnata dall’art. 474, comma 1°, c.p.c.: quella cioè di consentire una accelerata e semplificata identificazione dei soggetti legittimati ad intervenire nell’espropriazione, nonché a stabilire l’entità del loro credito, ove ciò possa rilevare per il compimento degli atti della fase liquidativa (conversione, riduzione, estensione del pignoramento ai sensi dell’art. 499, comma 4°, c.p.c., vendita a lotti ecc.)[41]. Mentre ogni accertamento nel merito circa l’esistenza o l’entità del credito, ulteriore rispetto alla verifica del possesso di un titolo esecutivo sembra a priori esclusa, in quanto tale verifica formale è funzionalmente diretta a determinare l’an e il quantum dei crediti fatti valere in sede d’intervento, in modo da stabilire la sussistenza dei presupposti formali di quegli specifici atti della fase liquidativa dell’espropriazione che abbiamo appena richiamato.

È evidente peraltro che il titolo esecutivo, non ha alcun rilievo in ordine al compimento degli atti esecutivi, se non si accompagna all’esercizio di un’attività d’impulso del creditore che ne è possessore: in ossequio al principio dell’impulso di parte, che informa l’intero processo civile (art. 99 c.p.c.).Dunque, la potestà attribuita agli organi esecutivi nella fase liquidativa si caratterizza per il fatto che la legge ne subordina l’espressione unicamente alla presentazione del titolo esecutivo da parte del creditore procedente.

  1. Diritti dei creditori intervenuti non titolati in sede di riparto

Riguardo agli accertamenti effettuati in occasione degli interventi dei creditori privi di titolo esecutivo si rendono necessarie due diverse verifiche sul piano formale. La prima è relativa alla sussistenza di un diritto di prelazione risultante dai pubblici registri, di un sequestro anteriore al pignoramento, ovvero la sussistenza di una risultanza contabile, sulla base dei libri di cui all’art. 2214 c.c., del credito fatto valere, la seconda riguarda il riconoscimento o, comunque, il mancato disconoscimento del credito. Il che sembra innanzitutto confermato dal riferimento contenuto all’art. 499, ult. comma, c.p.c., secondo cui il riconoscimento (espresso o tacito) del credito “rileva … ai soli effetti dell’esecuzione”[42]. Gli accertamenti formali compiuti nel procedimento di riconoscimento di cui all’art. 499, commi 4° e 5°, c.p.c. più precisamente devono essere considerati “sostitutivi” dei rilievi effettuati sulla base del titolo esecutivo e, in quanto tali, limitati alla verifica formale circa la legittimazione e l’ammissibilità all’intervento in ordine alla piena partecipazione alla distribuzione delle somme ricavate nella fase satisfattiva.

Il carattere esclusivamente formale dell’attività compiuta dal giudice dell’esecuzione in questa fase si collega alle conseguenze della contestazione del credito non risultante da titolo esecutivo. Con il disconoscimento del credito non si assiste, in ogni caso, all’apertura di una parentesi di cognizione, bensì ha luogo l’esclusione temporanea del creditore contestato dalla partecipazione alla distribuzione (delimitata nel tempo per un periodo di tre anni) nell’attesa che lo stesso acquisisca un titolo esecutivo, da intendersi l’unica possibile modalità d’intervento nell’espropriazione, salvo il riconoscimento di un’aspettativa giuridicamente tutelata, tramite l’accantonamento delle somme spettanti ai creditori contestati[43].

Rispetto ai crediti che non risultino da un titolo esecutivo si ripropone, quindi, il problema di interpretare il significato del termine “titolo”, indicato dall’art. 499, comma 2°, c.p.c. quale requisito della domanda d’intervento: se cioè il credito fatto valere dal creditore in sede d’intervento debba essere fondato su prova documentale, ovvero se sia sufficiente l’affermazione del fatto costitutivo del diritto di credito esercitato in sede esecutiva, o ancora se sia richiesta la deduzione di una prova costituenda, analogamente a quanto dovrebbe avvenire ai fini dell’accoglimento della domanda in una sede cognitiva ordinaria.

In ogni caso, il nuovo contesto normativo, in cui tale disposizione si trova inserita, permette di attribuire un più preciso significato tecnico al riferimento in discorso. 

  1. Il diritto alla distribuzione della somma ricavata e il diritto all’accantonamento

Rispetto al nuovo art. 510, co. 2°, 3° e 4°, c.p.c.,occorre in primo luogo osservare che  i creditori possono essere distinti in due categorie[44]:

  1. a)      coloro che hanno diritto alla collocazione nel piano di riparto e al pagamento immediato,
  2. b)      coloro che hanno diritto alla collocazione nel piano di riparto ed all’accantonamento,

Ebbene, per questi ultimi, la collocazione nel piano di riparto e lo stesso accantonamento sono subordinati, dall’ultimo comma dell’art. 499 c.p.c., alla presentazione di apposita istanza ed all’esercizio dell’azione necessaria per munirsi di titolo esecutivo nel termine di giorni trenta, decorrente dall’udienza di verifica ovvero, se si ammette l’intervento non titolato tardivo, dalla data dell’intervento stesso.

Considerato che, a norma dell’art. 596 c.p.c., il giudice dell’esecuzione deve formare il progetto di distribuzione, contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, “non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo”, si è affermati che, entro lo stesso termine, il creditore interessato all’accantonamento, che abbia presentato la relativa istanza, dia la prova dell’inizio e della pendenza del processo per ottenere il titolo esecutivo mediante il deposito in cancelleria di atti idonei allo scopo.

L’accantonamento è disposto dal giudice “per il tempo ritenuto necessario affinchè i predetti creditori possano munirsi di titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo di tempo non superiore a tre anni”, secondo quanto dispone l’art. 510, co.3°, c.p.c., nel testo modificato dalla legge n. 263/2005. Va osservati però che non si è stabilito il dies a quo di tale termine, sicche l’alternativa potrebbe essere tra la data del deposito del progetto di distribuzione ai sensi dell’art. 596 c.p.c. e la data dell’approvazione del progetto ai sensi dell’art. 598 c.p.c

Sarà quindi l’udienza fissata per l’audizione dei creditori sul piano di riparto depositato in cancelleria la sede più adatta per la presa d’atto dell’accantonamento contemplato nel progetto di distribuzione, al quale, come quest’ultimo nel suo insieme, va dato corso previa attuazione del contraddittorio.

Il meccanismo dell’accantonamento comporta che il progetto di distribuzione debba essere redatto in un unico contesto e tenendo conto dei crediti di tutti i creditori intervenuti legittimamente, compresi quelli non muniti di titolo e non riconosciuti, come se avessero attualmente diritto al riparto, quindi secondo il grado che spetta loro[45].

Quanto alle modalità per addivenire alla distribuzione, dopo l’approvazione, il progetto di distribuzione che prevede accantonamenti può  dare, luogo ad una distribuzione parziale, in modo che, dedotte le somme da accantonare, si proceda alla distribuzione sia nei confronti dei creditori in prededuzione e di quei creditori i cui diritti prevalgano su quelli dei creditori beneficiari dell’accantonamento sia nei confronti dei creditori in pari grado o successivi  a questi. 

  1. La contestazione da parte del debitore esecutato

L’esclusione dei crediti risultanti da un titolo esecutivo dalla procedura di riconoscimento fa sì che tali crediti possano essere oggetto di contestazione nel merito solo in sede di distribuzione e mai in quella di liquidazione. Il titolo esecutivo, del resto, è condizione necessaria e sufficiente ad intervenire, costituendo quel grado di certezza richiesto dal legislatore ai fini dell’intervento e solo in mancanza di questo si dovrà ricorrere alla procedura di riconoscimento, onde stabilire una verifica (formale) in sostituzione.

Un’eventuale contestazione potrà semmai essere svolta in ordine alla sussistenza del possesso di un titolo esecutivo, quale presupposto formale d’ammissione del creditore ad intervenire: contestazione che, quindi, dovrebbe essere svolta a norma dell’art. 617 c.p.c., e non con il rimedio di cui all’art. 615 c.p.c., il quale deve essere esperito solo nel caso in cui il creditore intervenuto partecipi al compimento degli atti esecutivi.

La medesima contestazione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. potrà essere effettuata anche in ordine all’intervento effettuato dai creditori privi di titolo esecutivo, quando emerga ex actis la mancanza dei requisiti formali all’intervento. Tale contestazione avrà una conseguenza affatto diversa rispetto a quella svolta nell’ambito della procedura di riconoscimento, poiché l’eventuale accertamento della mancanza dei requisiti formali dell’intervento esclude anche il riconoscimento del diritto all’accantonamento delle somme.

A questo proposito bisogna aggiungere che in base agli artt. 530, comma 2°, e 569, comma 2°, c.p.c. le eventuali opposizioni tese a far valere la carenza dei requisiti formali richiesti per la legittimità formale dell’intervento dei creditori devono essere proposte, se non sono già decadute in precedenza, in limine all’udienza fissata per l’autorizzazione della vendita. Il che significa che l’eventuale intervento effettuato alla stessa udienza, allo scadere del termine fissato dagli artt. 499, comma 2°, 525, comma 1°, 564 c.p.c., dovrà essere contestato immediatamente, salvo l’eventuale rinvio concesso in via pretoria dal g.e. per consentire alle parti l’esame degli atti.

Prima dell’apertura della fase satisfattiva, non si potrà, invece, contestare nel merito, né procedere al relativo accertamento, riguardo alla sussistenza di diritti di prelazione vantati con la proposizione del ricorso di cui all’art. 499 c.p.c., all’esistenza o all’entità di un credito sommariamente accertato con un provvedimento di sequestro conservativo o risultante da una scrittura contabile contenuta in uno dei libri di cui all’art. 2214 c.c. Ciò emerge, ancora una volta, dalla puntuale disciplina della modalità e degli effetti della contestazione dei crediti degli interventori, che si accompagna al procedimento di riconoscimento di cui all’art. 499 c.p.c.

In alcuni casi, tuttavia, potrà essere proposta una contestazione nel merito riguardo all’esistenza e all’ammontare di un credito anche prima della vendita forzata ai sensi dell’art. 615 c.p.c., quando il creditore intervenuto munito di titolo esecutivo proceda al compimento di un atto esecutivo, assumendo la qualità di creditore procedente, ovvero quando il creditore pignorante proceda ai sensi dell’art. 499, comma 4°, c.p.c. all’estensione del pignoramento a favore di un creditore chirografario intervenuto senza un titolo esecutivo, in previsione dell’esiguità del ricavato per la soddisfazione di tutti i creditori[46]. La parentesi di cognizione che si apre con l’opposizione all’esecuzione non rappresenta una mera anticipazione delle controversie di cui all’art. 512 c.p.c., neppure quando è proposta nei confronti dei creditori intervenuti a norma dell’art. 499 c.p.c. La presentazione del titolo esecutivo per il compimento di un atto esecutivo o l’estensione del pignoramento per la soddisfazione di un credito fatto valere in sede d’intervento giustificano la contestazione del “diritto a procedere a esecuzione forzata” ai sensi dell’art. 615 c.p.c., ossia della legittimazione a tale aggressione esecutiva, che in tale giudizio di merito coincide con una domanda di accertamento negativo del credito per cui si procede all’espropriazione. Nel giudizio in discorso saranno parti necessarie, oltre il creditore procedente e il debitore, i creditori intervenuti non muniti di titolo esecutivo, per la cui soddisfazione si sia agito, identificabili sulla base del versamento delle spese necessarie per l’estensione.

Occorre, però, riconoscere che l’attuale disciplina non sembra offrire adeguate garanzie per la tutela del debitore esecutato nell’eventualità in cui l’iniziativa al compimento di atti esecutivi sia intrapresa da parte di un creditore diverso da quello pignorante, sulla base del titolo esecutivo in forza del quale sia intervenuto, e nell’ipotesi dell’estensione del pignoramento per il soddisfacimento di creditori non muniti di titolo esecutivo. Infatti, in questo caso non è previsto l’obbligo di notifica del titolo per cui si agisce e del credito per cui si procede all’estensione. Il debitore non è posto così in grado di stabilire in forza di quali crediti subisca l’aggressione esecutiva al proprio patrimonio: in questi casi, perciò, quest’ultimo non è messo in condizione di esperire utilmente i rimedi a cognizione piena preposti per la tutela della propria integrità patrimoniale. Questo incide sulla posizione del debitore e sull’esplicazione della stessa garanzia del contraddittorio, a cui si ricollega l’obbligo di notifica di cui all’art. 479 c.p.c., e pertanto pone dei problemi di legittimità costituzionale per violazione dei precetti di cui agli artt. 3, 24, 111, comma 2°, Cost.[47] 

8.. La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo

L’art. 512, comma secondo, c.p.c. nel testo originario prevedeva che, in caso di contestazioni ai sensi del primo comma, il giudice dell’esecuzione fosse obbligato a sospendere “il procedimento”, eventualmente solo in parte, provvedendo in tale ultimo caso “alla distribuzione della parte della somma ricavata non controversa”.

Il testo attuale si esprime in termini diversi, riferendo la sospensione, totale o parziale, alla “distribuzione della somma ricavata”.

Poiché è da escludere che al momento della proposizione delle contestazioni il progetto di distribuzione possa già essere stato dichiarato esecutivo, in tutto od in parte, è da ritenere che il legislatore, pur avendo interamente modificato la precedente lettera della legge, in realtà volesse soltanto rendere facoltativa la sospensione[48].

Ciò sembra ragionevole con il fatto che la fase endoprocessuale destinata alla soluzione delle contestazioni potrebbe protrarsi per più di un’udienza, comunque per un lasso di tempo non insignificante, ed in tale caso la norma consente al giudice dell’esecuzione di delibare la fondatezza delle contestazioni anticipatamente, “sospendendo” la distribuzione, in tutto o in parte, per il tempo destinato agli approfondimenti istruttori. Sembra perciò potersi concludere che il provvedimento di sospensione, totale o, più spesso, parziale, possa essere preso dal giudice dell’esecuzione all’udienza di discussione e nelle more del sub-procedimento destinato a chiudersi con l’ordinanza ex art. 512 c.p.c.

A differenza delle altre norme che disciplinano la sospensione, quest’ultima non richiede la sussistenza di “gravi motivi”: è da ritenere che la previsione sia coerente poiché, nel caso di specie, assume preminenza la valutazione del fumus boni iuris della contestazione, non essendovi spazio per una valutazione in termini di periculum in mora, comunque di pericolo di pregiudizio nascente dalla distribuzione.

Ciò che invece a parte della dottrina non è sembrato chiaro del secondo comma dell’art. 512 c.p.c. è la facoltà data allo stesso giudice di sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione della somma ricavata “anche” con quella stessa ordinanza che chiude il processo esecutivo e che definisce le contestazioni, confermando o modificando definitivamente il progetto di distribuzione per il quale era stata originariamente fissata la discussione.

Si sono così prospettate delle letture che consentirebbero di restituire al dettato legislativo una certa qual coerenza.

Secondo una prima tesi, la norma sarebbe riferita anche alla fase, successiva ed eventuale, dell’opposizione agli atti esecutivi e la previsione apposita (quindi, in aggiunta o in alternativa, a quella dell’art. 618 c.p.c.) si spiegherebbe con la volontà del legislatore di consentire il reclamo avverso l’ordinanza di sospensione del piano di riparto, senza dover distinguere se adottata ai sensi dell’una o dell’altra norma[49].

Altra possibile lettura è quella secondo cui il giudice dell’esecuzione potrebbe sospendere la fase della distribuzione non solo quando debba egli decidere controversie ai sensi dell’art. 512 c.p.c., ma anche quando vi sia già pendente un giudizio sul diritto contestato[50] dinanzi al giudice del merito o dinanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c..

Seguendo l’interpretazione da ultimo esposta, non si avrebbe soltanto la sospensione della “distribuzione”, ma la sospensione della decisione sulla contestazione da parte del giudice dell’esecuzione, che attenderebbe la decisione di altro giudice.

Dato che lo strumento finirebbe per funzionare come quello previsto dall’art. 295 c.p.c., ci si potrebbe chiedere se, con più aderenza al dettato normativo, non potrebbe il giudice dell’esecuzione decidere comunque con ordinanza la controversia distributiva, rimettendo al giudice dell’opposizione la decisione sulla sospensione del giudizio ai sensi di quest’ultima norma. 

  1. Gli accantonamenti e le controversie in sede distributiva.

La novità della riforma è quella di avere fatto delle c.d. opposizioni distributive degli incidenti endoprocessuali destinati a concludersi con ordinanza del giudice dell’esecuzione impugnabile ai sensi dell’art. 617 c.p.c. Si tratta quindi di una parentesi a cognizione sommaria, rispetto alla quale la cognizione ordinaria, realizzata nelle forme dell’opposizione agli atti esecutivi, è soltanto eventuale, a differenza di quanto invece accadeva nel vigore dell’originaria previsione dell’art. 512 c.p.c., per la quale le contestazioni tra creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione davano necessariamente luogo ad un giudizio di cognizione, destinato a svolgersi nelle forme del rito ordinario ed a concludersi con sentenza appellabile[51].

Il nuovo testo del primo comma dell’art. 512 c.p.c. delinea l’incidente dinanzi al giudice dell’esecuzione con i tratti tipici del sub-procedimento a cognizione sommaria.

Vengono meno pertanto i poteri istruttori tipici del giudice della cognizione ordinaria, riconosciuti al giudice dell’esecuzione dal testo previgente dell’art. 512 c.p.c., ma egli, restando nel contesto del processo esecutivo, compie tutti gli accertamenti che reputa necessari per dirimere le controversie in discorso. In realtà, più che di maggiore ampiezza dei poteri del giudice ovvero di minore complessità dell’attività istruttoria, si tratta di radicale diversità delle forme del procedimento.

Si può ritenere così che la riforma ha certamente mutato il quadro di riferimento[52], ma sembra da condividere l’opinione per la quale non ha affatto mutato l’oggetto dell’opposizione distributiva, anche nei suoi rapporti con le altre opposizioni[53] .

In conclusione, già alla prima udienza della fase distributiva, fissata ai sensi dell’art. 596 c.p.c., il progetto di distribuzione predisposto dal giudice potrà essere contestato sia da parte del debitore esecutato (che, non avendo riconosciuto il credito privo di titolo, non soffre preclusioni di sorta) sia da parte degli altri creditori nei confronti del creditore a favore del quale è stato previsto l’accantonamento; ma è da ritenere[54] che, a sua volta, anche quest’ultimo possa contestare esistenza e grado del diritto dei creditori che, se beneficiassero anticipatamente della distribuzione, verrebbero a compromettere il soddisfacimento del suo credito.

CAPITOLO III

ASPETTI CRITICI  DELLA RIFORMA

  1. Le linee guida del processo esecutivo riformato aspetti di disorganicità

Dopo aver tracciato a livello sistematico le linee fondamentali della riforma di cui all’art. 499 c.p.c sembra ora interessante porre l’attenzione sugli aspetti problematici della nuova disciplina.

In primo luogo si osservi che come detto nei precedenti paragrafi il creditore deve notificare al debitore copia del ricorso. Tuttavia ci si chiede cosa succede nel caso in cui questi ometta tale adempimento o lo effettui in ritardo?

In proposito vi è chi ha osservato che la norma non impone un onere in senso tecnico[55] poiché la fase di verifica è stata prevista quale rimedio in favore del creditore non titolato.

Ne consegue che, ove il creditore non abbia adempiuto all’onere di notificare non potrà essere ammesso alla verifica[56] ma potrà soltanto chiedere l’accantonamento[57] e dovrà munirsi di titolo esecutivo.

Una volta che il creditore abbia adempiuto all’onere della prova della notifica del ricorso per intervento, il giudice potrà quindi fissare la vendita e, contestualmente, l’udienza di comparizione del debitore e dei creditori non titolati che quella prova abbiano dato.

Ma dal momento che l’intervento può essere spiegato fino a che l’udienza ex artt. 530, 552 o 569 non sia iniziata, ci si chiede se il giudice può ugualmente fissare la vendita anche nel caso di intervento depositato in limine, con contestuale fissazione dell’udienza di verifica oppure dovrà rinviare ad altra udienza, onde verificare l’avvenuta notifica tempestiva del ricorso ed emettere in un unico contesto, sia l’ordine di vendita che quello di fissazione dell’udienza di verifica.  In proposito la dottrina maggioritaria è orientata nel propendere per la prima soluzione, giacchè non necessariamente il giudice, all’udienza ex artt. 530, 552 o 569, dovrà verificare la sussistenza del requisito di ammissibilità in parola, ben potendo rinviarsi l’esame della tempestività della notifica all’udienza di cui al co. 5[58].

Sempre in tema di ricorso, si pone poi il problema del perfezionamento della fattispecie dell’intervento. Nel vigore della precedente disciplina trattandosi di domanda posta in corso di giudizio, veniva di solito riconosciuta al mero deposito del ricorso efficacia interruttiva.

Alla luce della normativa attuale occorre invece verificare se l’intervento dei creditori non titolati[59] debba ritenersi perfezionato solo con la notifica del ricorso. Sul punto la dottrina[60] si  espressa nel senso che la fattispecie non muta a seconda che il creditore intervenuto sia munito o meno di titolo esecutivo, poiché l’ulteriore adempimento richiesto è soltanto funzionale e prodromico alla fase delle richiesta dei crediti.

Ne consegue, quindi, che l’intervento si perfeziona con il deposito in cancelleria.

Un ulteriore problema interpretativo della novella introdotta nasce dalla locuzione “con l’ordinanza con cui è disposta la vendita ai sensi degli artt. 530,552 e 569”

Invero da quanto detto se ne ricava palesemente che è omesso ogni riferimento all’ordinanza di assegnazione. Ci si chiede pertanto se ciò debba interpretarsi nel senso che l’udienza di verifica sia preclusa nel caso in cui il giudice ordini l’assegnazione stessa.

Sul punto si è arrivati alla conclusione che è da escludere che il legislatore abbia consapevolmente inteso diversificare la tutela dei creditori non titolati a seconda che il creditore pignorante o gli altri creditori muniti di titolo abbiano chiesto la vendita o l’assegnazione.

Peraltro qualora si seguisse una tesi più restrittiva si finirebbe con l’escludere nella sostanza la fase di verifica nell’espropriazione presso terzi, essendo noto che l’esito normale della stessa è non già la vendita del credito, bensì l’assegnazione.

È evidente quindi che la comparizione delle parti dovrà essere disposta dal giudice sia che si ordini la vendita, sia che si ordini l’assegnazione dei beni pignorati.  Ed ancora una questione che pare ancora interessante affrontare attiene alla consistenza del titolo endoprocedimentale.

Nel progetto di riforma del codice di procedura civile del 1981, una volta intervenuta la verifica in senso positivo, il creditore andava considerato come se fosse munito di titolo esecutivo formatosi nel corso dello stesso procedimento[61] .

Questa previsione non è stata reintrodotta con la riforma del 2005; infatti l’attuale art. 629 c.p.c distingue nettamente la posizione dei rinuncianti, prima della vendita, a seconda che essi siano o meno muniti di titolo esecutivo.

Una visione in senso difforme a quella descritta postulerebbe che, i creditori verificati siano comunque abilitati a compiere atti di espropriazione, surrogandosi al procedente, ma ciò in chiaro contrasto con gli artt. 526 e 564 c.p.c. Ne deriva che, ai fini dell’art. 629 c.p.c. nulla deve ritenersi cambiato.

Un altro problema concerne la posizione dei creditori non titolati nella fase anteriore all’udienza di verifica, soprattutto per quello che riguarda la conversione e la riduzione del pignoramento.

Sul punto va osservato che la riduzione ex art. 496 c.p.c. può essere effettuata dal giudice anche d’ufficio, mentre la conversione può essere chiesta dal debitore, in base al novellato art. 495 co. 1° c.p.c.

Ora se si afferma che, in fase anteriore alla verifica dei crediti non titolati la posizione soggettiva degli intervenienti legittimati sia da qualificare come diritto al concorso, non c’è dubbio che questi potranno considerarsi tamquam non esset[62], sicchè dovrà necessariamente fissarsi un’apposita udienza di verifica al fine di consentire al debitore di esercitare i poteri attribuitigli. La questione però che resta aperta, è però se il giudice, nel pronunciare la riduzione o la conversione, debba tener conto anche dei crediti disconosciuti[63] o meno. 

  1. I problemi a tutt’oggi irrisolti

La nuova disciplina dell’intervento dei creditori non risponde assolutamente ad alcuna esigenza di speditezza del processo esecutivo[64].

Ed invero se nelle intenzioni del legislatore vi era la finalità di offrire al debitore un’arma difensiva nei confronti dei creditori non muniti di titolo esecutivo, sicuramente si sarebbero potute adottare altre e più agili misure rispetto alla asistematica e faticosa attuale fase di verifica.

È stato paventato infatti da molti commentatori che l’attuale normativa provocherà un allungamento dei tempi di ogni singolo processo, quale conseguenza dell’accantonamento nonché una diversa e più diluita organizzazione del calendario delle udienze del giudice, per la necessità di verificare l’udienza di verifica.

Per quel che concerne invece la par condicio si osservi questa ha subito un notevole ridimensionamento rispetto all’assetto precedente, proprio per aver limitato la legittimazione ai soli creditori in possesso di titolo esecutivo[65] e a quelle altre categorie di creditori non titolati.

Questa scelta non è censurabile sul piano della legittimità costituzionale  tranne che per l’attribuzione della legittimazione ad intervenire ai soli imprenditori commerciali, il cui credito risulti dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. e non ad altre categorie di creditori con diritti magari fondati su prova scritta si rango superiore alle stesse scritture contabili.

Peraltro si osservi che la disciplina dell’accantonamento finisce concretamente con il ledere la posizione dei creditori chirografari titolati; infatti questi sebbene il proprio diritto sia consacrato in un titolo esecutivo, dovranno comunque attendere il termine fissato dal giudice e sperare che questi ultimi non siano riusciti a procurarsi il titolo esecutivo.

Altro aspetto di non poco rilievo è l’esigenza per i creditori chirografari non titolati , che il credito stesso sia preesistente al pignoramento. Ora tale circostanza costituisce deroga alla previsione dell’art. 2740 co. 1 c.c. secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Ebbene, probabilmente il Legislatore ha introdotto una forma di limitazione (relativa[66]) della garanzia patrimoniale del debitore.

Quindi per i crediti successivi al pignoramento la garanzia patrimoniale generica non opera con riferimento ai beni in atto appartenenti al debitore.

Si tratta, di una netta inversione di tendenza del legislatore, che si discosta dal tradizionale principio della par condicio creditorum per avvicinarsi al criterio della priorità temporale nel sorgere del credito (prior tempore, potior jure).


[1] Sul punto si veda Satta S., L’esecuzione forzata, Torino, 1937; Satta S., L’esecuzione forzata, in Trattato di dir. civ. a cura di Vassalli, Torino, 1952; Mandrioli C., L’azione esecutiva, Milano, 1955; Mazzarella F. Esecuzione forzata (dir. vig.), in Enciclopedia del diritto, XV, Milano, 1966, p. 448 e ss.; Mandrioli C., Sui caratteri dell’attività giurisdizionale desunti dalle norme positive, in Jus, 1962, p. 161 e ss.; I. Fazzalari E., Istituzioni di diritto processuale, 5ª ed., Padova, 1989, p. 186 e ss.;  Vaccarella R., Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1983; La china S., Esecuzione forzata (profili generali), in Enciclopedia giuridica Treccani, XIII, Roma, 1989; Capponi B., Il processo esecutivo: Nuovi studi, Bologna 2008.

[2] Arieta G., Corso base di diritto processuale civile, Padova 2008.

[3] Barreca G., Principali novità della riforma dell’espropriazione forzata in generale n Giurisprudenza di merito, 2007, fasc. 3, 603-615.

[4] Astuni E., La distribuzione della somma ricavata, in AA. VV. la riforma del processo esecutivo, Quaderni Semestrali del Consiglio Nazionale del Notariato, suppl. al n. 1/2006, 89 ss..

[5] Cordopatri F., Le nuove norme sull’esecuzione forzata, in Riv. dir. proc., n.3, 2005, 751 ss.; Corsaro V., Le esecuzioni forzate nel codice di procedura civile, Milano 2006; Crivelli A., Fonti, autotutela, titolo esecutivo, pignoramento, intervento, vendita e assegnazione, distribuzione, vendita mobiliare, Torino 2006.

[6] Mandrioli C., Diritto processuale civile, Torino 2007.

[7] Castoro P., Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano 2006.

[8] Capponi B., L’intervento del creditore sequestrante nel processo di espropriazione del bene successivamente pignorato, in Riv. dir. proc. 1987, 848 ss.

[9] Vaccarella R., Le linee essenziali de processo esecutivo secondo il progetto della Comissione Tarzia, in Riv. dir. proc., 1998, 367 ss., 368.

[10] Il testo del d.d.l. fu approvato dal Consiglio dei Ministri in data 22 giugno 1996 ma il testo non fu mai portato all’attenzione delle Camere. Successivamente il testo precedentemente elaborato fu oggetto di un Proposta di legge delega di iniziativa dell’On. Pisapia n. 7353 presentata verso lo scadere della XIII Legislatura in data 6 ottobre 2000, il cui testo è disponibile su http://www.camera.it/_dti/leg13/lavori/stampati/sk7500/frontesp/7353.htm. Le conclusioni del d.d.l. della Commissione Tarzia sono, inoltre, state implicitamente richiamate dal Programma di Governo dell’Unione, disponibile su www.ulivo.it.

[11] Il d.d.l. delega prevedeva, ulteriormente, l’estensione a tutte le forme di espropriazione del potere del creditore pignorante di indicare agli intervenuti altro bene utilmente pignorabile (n.4), la concertazione di ogni questione concernente la verifica dei crediti e dei diritti di prelazione nella fase di distribuzione del ricavato, salva l’opposizione all’esecuzione e salve le verifiche necessarie per la conversione e la riduzione del pignoramento (n.5) e l’applicazione del rito ordinario davanti al giudice monocratico alle controversie sulla distribuzione del ricavato (n.6)

[12] Conte R. Progetti di riforma al codice di rito e tutela sommaria: pro memoria per il legislatore, in Corr. Giur. 2002, 546.

[13] Garbagnati E., voce Concorso dei creditori, in Enc. Dir., VIII, 1972, p. 535. Si fa riferimento, in alternativa all’intervento quale mezzo di attuazione del concorso, al pignoramento cumulativo, ai pignoramenti contemporanei e a quelli successivi.

[14] Luiso P., Appunti sulla riforma, Relazione tenuta al convegno organizzato dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Catanzaro il 24 marzo 2006; Punzi C., 4: Il processo di esecuzione, Torino 2008; Ricci G., Il processo di esecuzione, i procedimenti speciali, Torino 2008; Sassani B., Diritto processuale civile: manuale breve, Milano 2007.

[15] Andrioli V., voce Intervento dei creditori, in Enc. Dir., XXII, 1972, p. 486.

[16] Per tutte, Cass. 3.10.1997 n. 9679.

[17] Che in effetti esponeva l’esecutato a non poche sorprese, noto essendo che, per comune esperienza, il debitore “tipo” aveva notizia dell’esistenza di uno o più interventi spiegati soltanto quando, avendo concluso le trattative di bonario componimento con il solo creditore pignorante, si avventurava a chiedere l’agognata estinzione.

[18] La questione era stata sollevata da Pret. Milano, 30 dicembre 1998, in Arch. Civ. 1999, p.1243.

[19] Castoro P.,  oo. cit., pp. 229 e 230.

[20] Nel senso che occorresse riferirsi all’udienza concretamente tenutasi, v. Castoro P., op. cit., p. 231, Contra Andrioli V., op., cit., p. 497.

[21] In senso favorevole all’interpretazione letterale, v. App. Roma 15.1.1959, in Giust. Civ. Rep. 1959, voce Esecuzione forzata in genere, n. 19, Trib. Napoli 28.1.1960, in Giust. Civ. Rep. 1960, voce cit., n. 5 nonché App. Firenze 2.9.1963, in Giust. Civ. Rep. 1964, voce cit, n. 3. In senso contrario, Trib. Brescia 27.2.1962, in Giust. Civ. 1962, I, 1806 e Trib. Monza 25.5.1966, in Temi Nap., 1967, I, 386.

[22] Conte R., Osservazioni a prima lettura sull’art. 499 c.p.c. novellato e profili di costituzionalità dei limiti all’interno del creditore sequestrante, in Judicium.it del 8 luglio 2005; Storto A., Commento al nuovo art. 499 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio e Capponi, Volume II, Processo di esecuzione, Padova, 2007; Storto A., La riforma del processo espropriativo e l’accertamento anticipato dei crediti: nuove coordinate per un vecchio problema, in REF, 2007, 221 ss.

[23] D.L. 14.3.2005, conv. con modifiche in L. 14.5.05 n. 80. Sulla consecuzione temporale degli interventi legislativi, v. par. 1

[24] Al contempo ampliando il novero dei titoli esecutivi ex art. 474 c.p.c. novellato.

[25] Contestualmente abrogato, stante la previsione di carattere generale dettata dal nuovo art. 499 c.p.c..

[26] Capponi B., Note a prima lettura del c.d. decreto competitività in relazione a taluni aspetti concernenti l’esecuzione forzata, in Judicium.it del 2 maggio 2005; Capponi B., Par condicio e intervento dei creditori, in Rivista dell’esecuzione forzata, n. 2, 2005, 254 ss.

[27] Legge che, molto singolarmente (come osservato da Fabiani E., in AA.VV., Le nuove modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 263/2005: note a prima lettura, del 10.2.2006, p. 2, a cura della Commissione Esecuzioni Immobiliari e attività delegate del Consiglio Nazionale del Notariato), reca “Interventi correttivi alle modifiche in materia processuale civile introdotte con il decreto-legge 14 marzo 2005 n. 35, convertito, con modificazioni,, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

[28] V. sulle ragioni del correttivo, e più in generale sulla nuova disciplina dell’intervento, De stefano F., in AA.VV., Le nuove modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 263/2005: note a prima lettura del 10.2.2006, p. 23 ss., a cura della Commissione Esecuzioni Immobiliari e attività delegate del Consiglio Nazionale del Notariato.

[29] Astuni E., in AA.VV., Le nuove modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 263/2005: note a prima lettura, del 10.2.2006, cit., p. 15.

[30] Fimiani P., Brevi note sull’avvio della riforma del processo esecutivo e sul regime transitorio (aggiornato alla L. n. 51 del 2006), sul sito Internet www.ilcaso.it.

[31] Capp Carleo G., Commentario sistematico al codice di procedura civile, Piacenza 2008.

oni B., L’intervento dei creditori dopo le tre riforme della XIV Legislatura, nel sito Internet www.judicium.it.

[32] Nel senso che le scritture in esame si identifichino con la documentazione idonea a costituire prova scritta del credito ex art. 634 c.p.c. v. De stefano F., op. cit., p. 25.

[33] De steano F., op. cit., p. 27. Quid juris nel caso in cui il fascicolo dell’interveniente venga inserito nel fascicolo d’ufficio durante l’udienza unitariamente intesa, ma prima che il fascicolo sia “chiamato” dal giudice? Non pare dubbio che l’inizio dell’udienza debba intendersi con esclusivo riferimento alla singola procedura, sicché l’intervento “rinvenuto” dal giudice nel fascicolo d’ufficio, ancorché privo del depositato, dovrebbe ritenersi tempestivo.

[34] Ossia quella in cui, effettivamente (stante il chiaro riferimento all’ordinanza giudiziale) viene disposta la vendita o l’assegnazione. Da ciò deriva che, in caso di rinvio dell’udienza, il termine per intervenire non potrà considerarsi spirato.

[35] Come pure testualmente previsto dallo stesso art. 563 c.p.c..

[36] Carpi F,  Commentario breve al Codice di procedura civile. Complemento giurisprudenziale,  Padova 2007.

[37] In forza del rinvio operato dall’art. 551 c.p.c..

[38] Con la sostituzione del rinvio all’art. 563 co. 2°, abrogato, all’art. 564 c.p.c.

[39] Capponi B., op. cit., 34.

[40] Sulla funzione legittimante del titolo esecutivo cfr. Carnelutti F., Lezioni di diritto processuale civile, Processo di esecuzione, I, Milano 1931, 222; Furno C., Disegno sistematico delle opposizioni all’esecuzione, Firenze 1942, 136 ss.; 35; Satta S., L’esecuzione forzata, Torino 1954, 27 ss., il quale sul punto argomenta in modo interessante e profondo: “come indica la stessa origine della parola (titulus significa iscrizione) c’è nel titolo la idea di un documento dal quale risulta una determinata qualificazione e legittimazione di una persona. In realtà questa identificazione del titolo col documento sembra essere una trasposizione: ché titolo è piuttosto la qualificazione o la legittimazione risultante da un documento… Il titolo, la legittimazione, agisce sempre all’esterno del rapporto, e appunto per questo il documento non è prova del rapporto, ma dell’atto in esso consacrato: e di questa azione esterna, cioè dello svolgimento della legittimazione risultante dal documento, il titolo è condizione necessaria e sufficiente. Necessaria perché senza titolo non si ha legittimazione (anche se si ha il diritto), sufficiente perché la legittimazione è tutta nel titolo, e finché si ha il titolo e non lo si impugna, si ha la legittimazione, sussista o non sussista il diritto”. Nello stesso senso cfr., Mandrioli C., L’azione esecutiva, Contributo alla teoria dell’azione e del processo, Milano, 1956, 336 ss.

[41] Il concetto della legittimazione ad intervenire, da accertare solo sul piano formale, non è, del resto, nuovo. Per un’applicazione di tale nozione ai requisiti originariamente stabiliti dal codice di rito per l’intervento dei creditori cfr. Cass., 10 gennaio 1964, n. 65, cit.).

[42] I poteri di accertamento del giudice dell’esecuzione in relazione alla verifica della legittimazione a intervenire compiuta nella fase di liquidazione sono estremamente limitati, più di quanto si possa dire con riferimento alla determinazione del quantum richiesto per la sostituzione dei beni pignorati ai sensi dell’art. 499 c.p.c.: in tale ambito è consentita almeno una “valutazione sommaria», secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costante sul punto, sia pure entro i limiti probatori sanciti dallo stesso art. 495 c.p.c, giacché il giudice dell’esecuzione è richiesto di tenere conto delle eccezioni di pagamento del debitore delle quali venga data «prova documentale” all’atto del deposito dell’istanza, unitamente al versamento del quinto (arg. dall’art. 495, comma 2°, c.p.c.). Del resto anche il progetto Tarzia, non ostante prevedesse la “concentrazione di ogni questione concernente la verifica dei crediti e dei diritti di prelazione nella fase di distribuzione del ricavato”, faceva “salve le verifiche necessarie per la conversione e la riduzione del pignoramento” .

[43] L’accantonamento delle somme spettanti ai creditori non muniti di titolo esecutivo ha, quindi, un carattere solo residuale, destinato ad applicarsi in caso di “disconoscimento” del credito fatto valere in sede d’intervento ai sensi dell’art. 499, ult. comma, c.p.c. Invece, a tenore dell’originaria formulazione dell’art. 510, comma 2°, c.p.c. previsto dalla novella di cui alla l. n. 80 del 2005, successivamente modificata dalla l. n. 263/2005, era sancito tout court l’ “accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori sequestratari, pignoratizi e ipotecari privi di titolo esecutivo”, implicitamente richiedendo sempre a questi ultimi di munirsi di titolo esecutivo ai fini dell’attribuzione delle somme accantonate. Nel qual caso il possesso del titolo esecutivo assurgeva a unico requisito formale legittimante alla distribuzione delle somme nella fase satisfattiva.

[44] La distinzione si deve ad Astuni E. , La distribuzione della somma ricavata, in AA.VV. La riforma del processo esecutivo, Quaderni Semestrali del Consiglio Nazionale del Notariato, suppl. al n. 1/2006, 189 e seg., commento all’art. 510 c.p.c. (dopo le modifiche della legge n. 263/05) che peraltro aggiunge la categoria di coloro che, privi di titolo, pur legittimati all’intervento, siano esclusi dall’accantonamento per non averne fatto istanza e/o per non avere iniziato il giudizio per ottenere il titolo.

[45] Per la liquidazione dovrà farsi riferimento all’importo indicato nel ricorso per capitale ed interessi.

[46] La disposizione richiamata nel testo è stata introdotta già con la l. n. 80 del 2005 e amplia a tutte le tipologie di espropriazione l’istituto in precedenza applicabile solo in relazione al pignoramento mobiliare ai sensi dell’art. 527 c.p.c. (ora abrogato) .

[47] Sulla possibilità di ricondurre l’obbligo di notifica del titolo esecutivo all’attuazione del contraddittorio, costituzionalmente garantito, cfr.Tarzia G., Il contraddittorio nel processo esecutivo, in Riv. dir. proc. 1978, 210. Con particolare riferimento alla questione di legittimità costituzionale enunciata nel testo, poi, non sembrano estensibili le argomentazioni su cui si fonda la pronuncia di rigetto in tema d’illegittimità della disciplina dell’intervento dei creditori nella parte in cui non prevede l’obbligo di notifica dell’istanza d’intervento (Corte Cost., 31 luglio 2000, n. 407, in www.cortecostituzionale.it), stante la diversità di oggetto del rimedio di cui all’art. 512 c.p.c. rispetto a quello dell’opposizione all’esecuzione, peraltro costantemente affermata dalla giurisprudenza.

[48] La modifica risponde alla necessità avvertita nella pratica di impedire che alla proposizione di contestazioni palesemente infondate consegua obbligatoriamente il differimento della fase distributiva.

[49] Così Soldi E., Le nuove riforme del processo civile, Padova 2006 387, che conclude nel senso che il giudice dell’esecuzione potrebbe adottare l’ordinanza di sospensione sia prima che dopo l’emissione dell’ordinanza che risolve le contestazioni, mai contestualmente e, nel secondo caso, soltanto se proposta opposizione agli atti esecutivi.

[50] Capponi B., op.cit., che fa l’esempio, di un giudizio di cognizione iniziato ai sensi degli artt. 499 e 510 c.p.c., nonché l’esempio di un’opposizione all’esecuzione proposta in fase espropriativa cui non abbia fatto seguito un provvedimento di sospensione.

[51] A rendere ancora più rigido l’intero meccanismo, vi era inoltre la previsione del secondo comma dell’art. 512 c.p.c. che imponeva al giudice di sospendere in tutto od in parte la distribuzione, a seconda della parte del ricavato oggetto di contestazione: la previsione di una sospensione soltanto facoltativa nel testo modificato dello stesso secondo comma è da salutare con favore, sebbene il nuovo testo di legge offra il fianco a più di una critica.

[52] Così Soldi E., op.cit, 213.

[53] Così Capponi B., op.ult. cit

[54] Così Astuni E., op.cit. Nel senso che le contestazioni richiamate dall’art. 512 c.p.c. potranno essere svolte prima ed a prescindere dall’acquisizione del titolo esecutivo.

[55] De Stefano F. , in AA.VV., Le nuove modifiche al processo esecutivo di cui alla legge n. 263/2005: note a prima lettura del 10.2.2006, p. 23 ss., a cura della Commissione Esecuzioni Immobiliari e attività delegate del Consiglio Nazionale del Notariato.

[56] Secondo De stefano, op. cit., p. 28, potrebbe farsi ricorso al concetto di decadenza da superamento della fase.

[57]  Capponi B., L’intervento dei creditori dopo le tre riforme della XIV Legislatura, nel sito Internet www.judicium.it.

[58] Nel senso che l’intervento possa essere notificato anche in epoca successiva all’udienza di determinazione delle modalità di vendita, v. De stefano F., op. cit., p. 29.

[59] Riguardo ai creditori titolati il problema non si pone, giacché non è previsto alcun onere di notifica a loro carico.

[60] Capponi B., op. cit.

[61] Così Oriani R., La determinazione dei crediti ai fini del concorso, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, 146 ss.

[62] In questo senso, ma solo riguardo alla riduzione del pignoramento d’ufficio, Capponi B., op. cit..

[63]Ma come conciliare in tal caso la fase di acquisizione del titolo esecutivo con la durata del subprocedimento di conversione o, peggio ancora, con l’effetto immediato di una pronuncia di riduzione?

[64] Ciò, tutt’al più, avrebbe potuto sostenersi riguardo all’originaria formulazione normativa, giacché la limitazione della legittimazione ai soli creditori muniti di titolo avrebbe in radice eliminato le problematiche attinenti ai creditori non titolati (col relativo contenzioso).

[65] La considerazione, però, dev’essere bilanciata con il fatto obiettivo che il novero dei titoli esecutivi ex art. 474 c.p.c. è stato senz’altro ampliato.

[66] Essendo detta limitazione superabile mediante l’acquisizione di un titolo esecutivo.

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