Pubblicazioni

Il patteggiamento e i margini di discrezionalità sui presupposti per la sospensione condizionale

La sentenza in parola (Cass. sez. IV 29 ottobre 2007 n. 39852) pubblicata su Diritto&Giustizia del 30 ottobre 2007 affronta la vexata quaestio della concedibilità della sospensione condizionale subordinata all’applicazione della pena su richiesta che a tutt’oggi non ha ancora ricevuto un inquadramento costante sistematico. Il Tribunale di Modena applicava la pena concordata ex art. 444 c.p.p. all’imputata al quale era stato ascritto in concorso il delitto tentato di cui all’art. 624bis aggravato dalla circostanza di violenza sulle cose commesso in data 20 maggio 2004. All’imputata veniva altresì concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena cui era stata subordinata l’efficacia della richiesta. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bologna proponeva appello deducendo la mancanza e l’illogicità della motivazione non ritenendo meritevoli i motivi in ordine alla concessione del beneficio stabiliti sulla giovane età dell’imputata e l’esistenza di precedenti penali non ostativi.

LA NEGOZIAZIONE SUL RITO
L’applicazione della pena su richiesta delle parti costituisce una volontaria sottomissione dell’imputato alla sanzione penale. Fulcro di questo rito speciale è l’accordo tra le parti principali del processo.
L’esperibilità del patteggiamento impone quindi l’indefettibile ed esclusiva volontà concorde di entrambe le parti. Caratteristica peculiare del patteggiamento è la premialità che lo connota in ossequio all’economia processuale e alla snellezza del procedimento. Ed invero allo scopo di indurre l’imputato a richiederlo o ad accettarne la proposta da parte del Pm il codice dispone taluni rilevanti incentivi come la riduzione fino ad un terzo della pena e la possibilità di subordinare la richiesta alla concessione della sospensione condizionale
La finalità del patteggiamento appare con tutta evidenza bastata sulla prevenzione speciale rieducatrice, da un lato, e proporzione tra fatto e sanzione, dall’altro: nel senso cioè che la proporzionatezza fra trattamento punitivo e gravità dell’offesa, costituisce un presupposto essenziale della potenziale accettazione di una punizione.
Ci si interroga però se la sentenza di patteggiamento sia di condanna. Taluno la esclude dal detto novero sul presupposto che la pronuncia pur disponendo l’applicazione di una pena non contiene una espressa affermazione di responsabilità dell’imputato in relazione al reato contestatogli. In senso contrario vi è chi sulla scorta dell’art. 25 Cost. ritiene invece che spetta al giudice dichiarare la non punibilità dell’imputato anche se questi ha accettato o richiesto la pena patteggiata.
Il patteggiamento in quanto negozio giuridico processuale fondato su atti dispositivi personalissimi postula che il pubblico ministero si affida agli stessi criteri che la legge espressamente impone al giudice per stabilire se la richiesta di patteggiamento vada ammessa o rigettata.
Ed infatti occorre precisare che il pubblico ministero esprime il consenso solo dopo essersi accertato che il materiale d’indagine è adeguato per applicare la pena richiesta; cionondimeno deve verificare la corretta qualificazione giuridica del fatto ed ancora deve sincerarsi che all’esperibilità del rito alternativo non ostino i motivi di esclusione soggettiva ed oggettiva disposti dall’art. 444 comma 1bis nonché deve interrogarsi sulla congruità della pena rispetto alla gravità del fatto e alla personalità dell’autore.
Talché l’applicazione conforme di questi criteri non può in alcun modo essere sindacato quando viene raggiunto un accordo con l’imputato.
A questo punto il giudice deve condurre una verifica sull’ammissibilità della richiesta di patteggiamento, appurando l’esistenza dell’accordo tra le parti e l’effettiva volontà delle stesse di definire in anticipo il processo.
Il giudice pertanto esaminata l’esattezza della qualificazione giuridica del fatto-reato operata dalle parti, la correttezza e la congruità della pena decide se accogliere o rigettare la richiesta di patteggiamento; tuttavia non può ne modificarla ne integrarla ne basarsi su atti diversi da quelli già acquisiti nel fascicolo del Pm.
Deve quindi decidere allo stato degli atti rebus sic stantibus.
Spetta anche al giudice non solo la verifica ma anche il giudizio sulla concedibilità della sospensione condizionale della pena.
Tuttavia i poteri di ufficio del giudice nel concedere la sospensione condizionale della pena subordinata alla richiesta di patteggiamento hanno costituiscono a tutt’oggi oggetto di un acceso dibattito giurisprudenziale.
Posto che l’iniziativa del giudice non è incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento incentrato sull’accordo della arti limitatamente alla specie e alla misura della pena da proporre al giudice non appare condivisibile chi ritiene che al giudice spetti un mero controllo di legalità.
Una tale valutazione precluderebbe all’organo giurisdizionale valutazione proprie rispetto a quelle consacrate nell’accordo. Sembra dunque plausibile ammettere un intervento diretto ad integrare il negozio in parola con contenuti obbligatori.
L’organo decidente è deputato pertanto alla valutazione dei presupposti cui l’ordinamento penale sostanziale ricollega l’attribuzione del beneficio.
Il giudice decide sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero senza possibilità di ulteriori acquisizioni.
Dalle considerazioni suesposte a mio avviso sembra pacifico che nell’esercizio del potere discrezionale l’organo giurisdizionale nell’accoglimento della richiesta avanzata dall’imputato con il consenso del pubblico ministero abbia dimostrato di aver formulato il necessario giudizio prognostico positivo, sulla base dei criteri previsti dalla legge.
Ed invero come si desume dal citato art. 164 c.p. il giudicante ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena sulla presunzione che l’imputata si asterrà dal commettere ulteriori reati desunta dai criteri prescritti dall’art. 133 c.p.
Ed infatti la valutazione della personalità dell’imputata che va desunta non solo dalle modalità del reato commesso, costituisce un presupposto necessario per la pronuncia in ordine al beneficio della sospensione condizionale della pena.
Una valutazione di questo tipo, giova comunque sottolinearlo, non ha requisiti di certezza ma è destinata a rimanere meramente probabilistica, non essendo fondata su dati matematici né statistici, ed è dunque fallibile se non guidata dal buon intuito e dall’esperienza del giudice.
Ed ancora la circostanza per cui all’imputata sia stata già condannata o denunciata con diverse generalità in tanto può contribuire alla valutazione della pericolosità in quanto sia dato dedurre da esso e da ogni altro concorrente elemento che l’imputata non offra alcuna presuntiva garanzia di astensione dal commettere ulteriori reati.
Pertanto il semplice carico pendente per quanto non fornisce come affermato indiscutibilmente dalla giurisprudenza, nella sua precarietà, alcun elemento significativo della personalità in senso negativo del soggetto.
Concludendo è di tutto rilievo la volontà del legislatore di recuperare una certa sistematicità tra la disciplina del patteggiamento e quella della sospensione condizionale della pena anche se contestualmente si ravvisa un rimarcato spazio di discrezionalità lasciata al giudice, nel determinare la sussistenza dei presupposti della sospensione condizionale della pena.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.