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I confini del diritto di satira si tracciano valutando il parametro della continenza

La materia del diritto di satira è ambito assai delicato. La casistica offre infatti all’osservatore quotidianamente aspetti e sfumature nuovi e sorprendenti e ciò ci ricorda come sia difficile conciliare il diritto alla libera manifestazione del pensiero e quello alla dignità personale.
La Cassazione, con la sentenza 8 novembre 2007 n. 23314 pubblicata su Diritto&Giustizia del 10 novembre 2007, puntualizza con particolare chiarezza l’ambito di applicazione della satira e offre l’occasione di valutare il limite entro cui questa può operare.
La vicenda processuale portata all’attenzione della Suprema corte è assai semplice. Gian Carlo Caselli, all’epoca dei fatti procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, conveniva in giudizio Giorgio Forattini, Roberto Biglia, la Spa Arnoldo Mondatdri editore innanzi al Tribunale di Milano per sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e morali in seguito alla pubblicazione nel settimanale Panorama del 27 agosto 1998 di una vignetta raffigurante uno scheletro con ciuffo di capelli bianchi a forma di falce ed una sciarpa rossa che teneva in una mano la pistola e nell’altra la bilancia simbolo della giustizia. Lamentava per l’appunto che la vignetta era riferibile a lui e gli attribuiva la responsabilità per il suicidio del dr. Bombardini avvenuto in occasione del suo interrogatorio da parte di un pool della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo da lui guidato.
I convenuti contestavano quanto dedotto da parte avversa ed invocavano l’esimente del diritto di satira e più in generale di manifestazione artistica.
Il Tribunale accoglieva la domanda proposta dall’attore e condannava i convenuti in solido.
La Corte di appello di Milano con sentenza resa in data 23 ottobre 2002 rigettava i gravami del Briglia, della Mondadori e del Forattini.
Avverso tale sentenza la Arnoldo Mondadori proponeva ricorso per cassazione sostenuto da due motivi; il Forattini ed il Briglia proponevano ricorso incidentale denunciando come la sentenza impugnata non avesse erroneamente ricondotto all’esercizio della satira i riferimenti contenuti nelle vignette.
Sul punto si pronunciava la Corte che rigettava i motivi di legittimità contestasti argomentando altresì che se il giornalista avesse voluto informare la pubblica opinione sulle vicende che vedevano oggettivamente coinvolto il Procuratore simili notazioni erano del tutto superflue e nella loro sgradevolezza inutile assumono tale carattere.

DIRITTO DI SATIRA
La satira è quel genere di composizione poetica a carattere moralistico o comico, che mette in risalto costumi o atteggiamenti comuni alla generalità degli uomini, o tipici di una categoria o di un solo individuo e connaturata dall’inverosimiglianza e dall’iperbole per destare ilarità.
A tal proposito la dottrina più pungente afferma che la satira descrive, con forzatura di toni caricaturali e fustigatori, errori e vizi umani, con intenti moralizzatori allo scopo di pubblica denuncia di comportamenti, modi di vita riprovevoli e può essere di sue tipi tipologica o individuale nel senso di descrivere errori e vizi di una determinata categoria sociale senza riferimenti individuali oppure al contrario di incentrarsi su un personaggio ben specificato di modo da esaltare in modo caricaturale vizi, tic e difetti.
La satira1 è configurabile come diritto soggettivo di rilevanza costituzionale, e pertanto rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21 Cost. che tutela la libertà di manifestazione di pensiero.
Il problema del diritto dell’esercizio del diritto di satira è quello di conciliare due diritti costituzionalmente garantiti ovvero il diritto del destinatario della satira alla tutela dei suoi diritti inviolabili, sia come singoli sia nelle formazioni sociali ove si svolga la sua personalità e dall’altra la garanzia offerta dall’autore di satira dal diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La criticità quindi non può che essere fondata come peraltro dedotto dalla difesa nella sentenza in commento2 su un’interpretazione necessariamente soggettiva di fatti e comportamenti.
Occorre conseguentemente un bilanciamento tra l’interesse alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero costituzionalmente garantito e dunque non appaiono ammissibili apprezzamenti negativi che degenerino in gratuita aggressione distruttiva della reputazione, discreditando la via altrui in qualcuna delle sue manifestazioni essenziali. Orbene, sicuramente posto che la satira si esplica mediante la metafora surreale e il paradosso tali presupposti la rendono refrattaria a essere giudicata con il parametro della verità e la designano come eterogenea rispetto alla cronaca.
Mentre infatti il diritto di cronaca consiste nel dare informazioni su fatti e persone il diritto di satira assume i connotati dell’inverosimiglianza e dell’iperbole per suscitare l’ilarità. La satira è pertanto incompatibile con la misura della verità a meno che non si renda essa stessa veicolo di informazioni e perciò stesso dovrà rispettare i parametri della cronaca.
Va rilevato altresì che la satira per essere legittima non si può mai sottrarre al rispetto del limite della continenza. Così anche la satira come tutte le espressioni del pensiero non può mai essere utilizzata quale strumento per un attacco gratuito alla persona tanto da esporre la persona al disprezzo del pubblico ed in tale ottica si attaglia la sentenza di cui in parola3.
Ed invero se si ritiene applicabile anche al diritto di satira il limite della continenza, si appalesa difetto di chiarezza quando si ricorre ad espedienti come il sottinteso sapiente, accostamenti suggestionanti, toni sproporzionatamente sdegnati e scandalizzati4.
Tuttavia occorre chiedersi qual è il limite della continenza oltre il quale si configura un’offesa gratuita e inaccettabile e non invece una legittima manifestazione del pensiero anche se in forma satirica.
In primo luogo sembra opportuno adottare un metro oggettivo, che tenga sicuramente conto della particolare personalità dell’interessato e della particolare natura del mezzo di espressione utilizzato.
In secondo luogo, ai fini della valutazione del parametro della continenza è doveroso tener conto del mezzo di espressione utilizzato e della credibilità che gli viene riconosciuta dal pubblico. A tal proposito la dottrina è concorde nel ritenere che il discrimen tra satira lecita e quella lesiva dell’altrui reputazione consista nella notorietà dei personaggi che si vedono costretti come controaltare della popolarità acquisita a subire intrusioni nelle loro vicende istituzionali e private. Ed infatti la satira sin dai tempi più antiche ha sempre mirato ad attaccare e criticare i diversi aspetti della società, di un ambiente al fine se vogliamo di correggerli.
Il problema è dunque individuare i limiti, superati i quali l’esercizio del diritto diventa abuso, immeritevole di riconoscimento.
Va osservato preliminarmente che per satireggiare efficacemente su un evento è necessario rappresentarlo per iperboli, che possono senz’altro risultare talvolta offensive in modo da prospettare un diverso significato, esagerato ma in ogni caso alternativo a quello dato al medesimo accadimento.
Poste tali considerazioni occorre però rilevare che la satira non è soggetta agli schemi razionali, per cui il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira è svincolato da forme convenzionali e perciò non si può applicare il metro consueto della correttezza di esposizione.
Ma a questo punto sorge spontaneamente il quesito come si colloca il quotidiano disegno del vignettista che più o meno riesce nel suo intento di far sorridere o di far travisare umori?
Innanzitutto va osservato che non può essere considerato satirico un gratuito insulto sol perché espresso in una parafrasi o in una similitudine più o meno fantasiosa e se è vero che la deformazione grottesca della realtà è propria della satira è pur vero che non può ricondursi a banale mendacio.
La satira quindi appare fuor di dubbio che non può superare il limite del rispetto dei valori fondamentali della persona, esponendola al disprezzo e al ludibrio della sua immagine pubblica.
Si configura quindi abuso del diritto ogni volta vi è gratuità delle espressioni, che risultano non pertinenti ai temi apparentemente in discussione, anche nell’ambito particolare del diritto di satira.

LA SATIRA E LA SCRIMINATE DI CUI ALL’ART. 51 C.P.
Venendo ora agli spunti offerti dalla sentenza che qui si annota5 è necessario esaminare se le modalità espressive proprie della satira abbiano offeso l’interesse costituzionalmente protetto dalla disposizioni di cui all’art. 2 Cost. posto che i contenuti abbiano travalicato i pur elastici limiti di cui si è ragionato in precedenza.
Detto ciò appare evidente che le caratteristiche della satira delineano un certo conflitto con la reputazione e la riservatezza delle persone prese di mira; stante la tendenza della satira a mettere l’accento su elementi negativi e peggiorativi.
Ora non vi è dubbio che l’accertamento tra la correlazione tra il pezzo giornalistico e la vignetta satirica sembra avvicinarsi ad un bilanciamento ad hoc rimesso alla discrezionalità del giudice.
Ma come si può argutamente leggere nella sentenza della Suprema corte non rientra nella competenza del giudice di legittimità stabilire l’alterazione dell’opinione sociale sull’onore di una determinata persona, ma esclusivamente giudicare in merito alle regole metodologiche del giudizio di fatto.
Vero è che la satira al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, per cui non va riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio.
E nel caso di specie la Corte ha osservato che la vignetta è priva di qualsiasi connotazione paradossale “tale da rendere percepibile al lettore che l’autore non fa sul serio”. Ha dunque espresso un giudizio di fatto basato su un’interpretazione dei contenuti e dei significati della vignetta al quale inutilmente si è tentato di contrapporre un’interpretazione diversa.

DIRITTO DI CRITICA
La critica può costituire un elemento di comunicazione e di giudizio additivo rispetto alla diffusione di una notizia. Essa spesso dà per presupposto un fatto o una condotta e la sua liceità.
Esistono diversi tipi di critica, i quali si differenziano per l’argomento che viene trattato. Per ciascuno di essi sono stati individuati, in giurisprudenza, limiti più o meno marcati.
Il diritto di critica soggiace agli stessi limiti del diritto di cronaca ovvero della verità dei fatti e la condizione che i giudizi espressi siano basati su presupposti di fatto veri, almeno in via putativa ovvero ritenuti veri per colpa scusabile.
I limiti all’esercizio legittimo della critica vengono determinati quindi negli attacchi gratuiti ed immotivati, che evidenziano profili della personalità morale del soggetto criticato slegati dal fatto di cui si tratta e dall’interesse pubblico ad apprendere il fatto stesso ed il commento critico.
Quindi il diritto di critica si ritiene, esercitato in modo legittimo, anche quando si ricorre a parole aspre e pungenti, di per sé insultanti, purché siano razionalmente correlate ai fatti ed ai giudizi espressi, nonché congruenti al livello della contrapposizione polemica raggiunta6.
Ma anche in ordine al diritto di critica la Corte osserva che per essere legittima e prevalere sul diritto alla reputazione dei singoli deve sostanziarsi in un interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza del fatto oggetto di critiche, che è presupposto da essa ed è perciò fuori di essa.
Ordunque nell’esercizio del diritto di critica si possono adoperare espressioni di qualsiasi tipo che si sostanzino in lesione dell’altrui reputazione, purché siano funzionale alla manifestazione di dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui; non sono invece ammessi apprezzamenti negativi che degradino in gratuita aggressione distruttiva della reputazione, discreditando la vita altrui in qualcuna delle sue manifestazioni essenziali.

RIELABORAZIONE ARTISTICA?
Si è così giunti a distinguere tra l’ipotesi della lesione derivante da un’opera dichiaratamente ed interamente di fantasia da quella causata da un’opera che abbia un taglio documentaristico ovvero realistico o di denuncia. Nella prima ipotesi la giurisprudenza ha ritenuto la libertà dell’artista assolutamente sovrana7.
Diversamente nella seconda ipotesi si è invece affermato che tali genere di creazione artistica può sicuramente tradursi in alterazione della verità personale dei soggetti coinvolti nonché in violazione del loro diritto all’immagine, alla riservatezza, o all’onore8.
Vi è addirittura chi9, considerata la commistione di verità e verosimiglianza ha ipotizzato l’assimilabilità di tale forma artistica alla cronaca.
Ed invero è evidente che il racconto per immagini ha effetti evocativi e suggestivi di gran lunga maggiori ponendosi come una sorta di presunzione di verità, che rende difficile per lo spettatore distinguere tra la cronaca e la critica.
Il messaggio provocherebbe quindi una sovrapposizione nella percezione del pubblico tra l’identità reale dell’individuo e quella tratteggiata ad esempio in una vignetta.
Sulla scorta di tali considerazioni la giurisprudenza tende quindi ad effettuare il bilanciamento tra il diritto all’identità personale e la libertà di creazione artistica utilizzando cumulativamente il principio di verità e la presenza o meno di un effetto denigratorio. In altre parole, la rappresentazione può anche trasmettere un messaggio politico, o sociale, ma ciò non può risolversi in una manipolazione delle vicende di persone reali mediante l’attribuzione di fatti non rispondenti al vero.
Ed in tal senso si è espressa la sentenza che qui si annota 10 disponendo la non applicabilità al caso di specie gli estremi costitutivi delle esimenti del diritto di satira e di quello di critica.
Ed invero la vignetta oggetto del presente giudizio è risultata priva di qualsiasi connotazione paradossale tale da rendere percepibile al lettore che l’autore non fa sul serio e pertanto l’effetto che ne promana è a parere del giudicante “macabro orripilante” nella violenza accusatoria del Caselli presentato come “apportatore di morte”e a nulla vale l’affermazione che il titolo della rubrica (mascalzonate) valga ad escludere la verosimiglianza del messaggio trasmesso.
Ed ancora prosegue la Corte nelle sue argomentazioni ribadendo che il messaggio della vignetta è strettamente connesso con l’attribuzione di un fatto determinato e tale fatto ha una gravissima efficacia lesiva del patrimonio morale del Caselli.
A ben leggere dunque la pronuncia 23314/07, sembra evidente che la Cassazione rimane del solco della propria giurisprudenza in materia, che pone un’attenzione primaria ai requisiti dell’interesse sociale e della continenza.


1 Ed infatti come si legge in Corasaniti, Libertà di sorriso, in Dir. inf. 1990, p. 544, la satira risponde ad un bisogno collettivo di irridere e sbeffeggiare i personaggi potenti o comunque noti, bisogno talmente radicato nella storia della civiltà da esserne non casualmente diventata testimone nei suoi momenti più alti, ed al contempo di essere rimasta una delle poche zone franche consentite alla civiltà umana, anche da regimi oppressivi
2 Cass. Sez. III civ. 8 novembre 2007 n. 23314.
3 Cass. Sez. III civ. 8 novembre 2007 n. 23314.
4 Cfr. Iaciviello, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina diretta da Lattanza- Lupo, vol. X Milano 2000 p. 448.
5 Cass. Sez. III civ. 8 novembre 2007 n. 23314.
6 Trib. Roma, 24 maggio 1985, in Foro It., 1987, II, 253; Id. Roma, 24 febbraio 1989, in Dir. informazione e informatica, 1988, 936; Id. Milano, 12 novembre 1996, ivi, 1997, 755; con riguardo ai magistrati Trib. Roma, 23 febbraio 1985, in Foro It., 1985, II, 563; Id. Perugia, 26 marzo 1990, in Rep. Foro It., 1991, voce “Ingiuria e diffamazione”, n. 20.
7 Così Pretura Roma 7 febbraio 1992, in Dir. Inf. 1992, p. 887-895; cfr. Pretura Roma 18 dicembre 1987 in Foro It., I, 1989, p. 569 ss.
8 Pino, Teoria e pratica del bilanciamento: tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela dell’identità personale, in Danno e Responsabilità, n. 6, 2003, p. 585.
9 La passività dello spettatore televisivo è approfondita dagli studi di sociologia della comunicazione Sartori, Homo videns, Televisione e post-pensiero, Roma 1997.
10 Cass. Sez. III civ. 8 novembre 2007 n. 23314.

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