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Diritto di associazione e libertà di associazione

  1. L’area di applicazione dell’art. 18

La libertà di associazione[1], ovvero di creare stabili aggregazioni di cittadini per varie finalità e di aderirvi, partecipando alla loro attività, corrisponde ad una delle esigenze fondamentali di uno Stato democratico, sia per garantire il pluralismo sociale sia per consentire la più ampia partecipazione dei cittadini alla vita della comunità e alle iniziative che si moltiplicano a vari livelli e con le più svariate finalità[2].

L’art. 18 Cost. garantisce pertanto il diritto di associazione in termini assai ampi, escludendo ogni forma di autorizzazione e ponendo come unico limite il perseguimento di fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale[3]. La varietà di fini prospettata in forza della normativa in parola, implica la massima varietà dei modelli organizzativi (anche all’interno della medesima categoria di associazioni), posto che il perseguimento di un certo fine è sempre condizionato dai mezzi di cui si dispone e, quindi, dalla struttura organizzativa utilizzata[4]. Tuttavia la Costituzione non fornisce all’interprete una definizione del concetto di associazione, rimandando perciò alla tradizione pubblicistica[5]. L’elemento distintivo delle associazioni è dato pertanto dalla circostanza che più persone[6] decidano di svolgere insieme una data attività cioè decidano di istituire fra loro una più o meno stabile cooperazione per raggiungere i fini più vari[7].

Quanto alla struttura interna dell’associazione, vale il principio che in essa, come in ogni altra formazione sociale, devono essere garantiti, i diritti inviolabili dell’uomo[8].

Caratteristiche dell’associazione sono dunque un vincolo permanente tra più persone, in vista di uno scopo durevole[9].

La collettività inoltre deve avere  un carattere stabile. In merito a tale requisito mentre in giurisprudenza non vi sono numerose pronunce, in dottrina invece vi è un vivace dibattito.

Parte della dottrina ritiene infatti che tale elemento sia essenziale al fine di parlare di associazione. Solo il vincolo permanente fra i soci si ritiene infatti dia il carattere di continuità e organicità.

Al contrario vi è chi sostiene che sia invece necessaria più un unione duratura fra più persone. Tuttavia è stato ritenuto, che la dottrina da ultimo richiamata sia la più coerente dal momento che ne la legge ne la Costituzione consentono di eliminare dal novero delle associazioni, le collettività aventi un’organizzazione ed uno scopo destinati ad esaurirsi in breve tempo, o addirittura occasionale[10].

Altra caratteristica dell’associazione è che gli associati intendano perseguire uno scopo comune[11] ,anche mutevole ed occasionale, che si presta ad essere conseguito attraverso l’organizzazione di una collettività di individui.

Vi è cioè associazione nella misura in cui e fin dove vi siano finalità in comune.

E dunque la condivisione dello scopo che segna i confini ideali dell’associazione, tanto che il fine è effettivamente costitutivo del fenomeno è cioè, quanto rende intellegibile l’associarsi come fenomeno ideale e sociale[12].

Anche lo scopo dev’essere stabile, ovvero per il raggiungimento di esso non deve bastare un solo atto di esecuzione, ma occorrono una serie di atti nel tempo[13].

E sempre per quanto attiene lo scopo la dottrina è intervenuta per specificare che mentre le riunione avrebbero per scopo manifestazioni di volontà, le associazioni avrebbero per scopo la realizzazione della volontà[14].

Per quanto attiene all’elemento materiale si può affermare che la collettività per essere qualificata come associazione, deve possedere una organizzazione che nasce dal rapporto giuridico che lega tutti i soci fra loro. Per definire un’associazione organizzata occorre che essa si dia delle regole interne, in modo da assicurare l’espressione della volontà collettiva e l’attuazione di essa mediante organi di governo[15]. Libertà di organizzazione sia sotto l’aspetto normativo (atto costitutivo, statuto, regolamenti) che sotto l’aspetto organico (assemblea dei soci, amministratori[16]: libertà pertanto in tutti quegli aspetti che, sono specificatamente rilevanti per il più idoneo perseguimento dello scopo comune ovvero per determinare quando un’associazione possa dirsi segreta o rivolta a perseguire anche indirettamente, scopi politici mediante un’organizzazione di carattere militare[17].

Altro problema postosi in dottrina è poi se il vincolo associativo dev’essere volontario o può anche essere coattivo.

Chi propende per escludere dal novero delle associazioni quelle coattive, non tiene in considerazione il fatto che la necessità della costituzione non esclude affatto, istituzionalmente, la libertà nell’agire.

Dall’insieme delle caratteristiche enunciate si può dare perciò una definizione più rigorosa di associazione che è dunque ogni raggruppamento di due o più individui fungibili, organizzati anche contingentemente tra loro, e che intendono o sono obbligati a cooperare per raggiungere uno o più fini comuni mediante un’attività preventivamente concordata tra loro.

Pertanto come affermato da autorevole dottrina[18] l’associazione ha natura prevalentemente ideale, di raggruppamento non materiale ma spirituale di più persone[19]. Questo è l’elemento discretivo rispetto alla riunione, nella quale invece prevale l’elemento materiale del raggruppamento fisico fra i componenti medesimi[20].

E proprio perché unità spirituali, tese al perseguimento di uno scopo e dotate di organizzazione, le associazioni possono dirsi fornite di vita propria ed in grado di esplicare una propria attività, che il diritto prevede e regola, trasformando in giuridica la capacità naturale di questi enti sociali[21].

Peraltro, affermare che le associazioni costituiscono delle realtà spirituali fornite di vita propria non significa che ogni associazione per essere tale debba necessariamente essere fornita di soggettività[22] o di addirittura di personalità giuridica. Infatti che le associazioni di per se non abbiamo personalità giuridica lo dimostra, l’art. 39 4° comma Cost., in forza del quale l’attribuzione della personalità sembra essere il frutto di un procedimento che è ulteriore nei riguardi del fatto associativo in se per se[23]. Per quanto attiene alla soggettività, il convincimento che le associazioni ne siano necessariamente dotate, non è corretta ove la si deduca dall’art. 2 Cost[24].

Contro la tesi secondo cui l’art. 2 Cost. costituirebbe un’attribuzione di soggettività[25] può facilmente opporsi che la stessa struttura sintattica di quella disposizione indica chiaramente che destinatario ne è l’uomo e non la formazione sociale che è presa in considerazione solo come luogo di svolgimento di personalità umana[26]. Di contro ritenendosi che l’acquisto di soggettività in senso stretto presuppone l’esistenza di un fondo comune del gruppo, nonché una rappresentanza unitaria, ne conseguirebbe che tutte le associazioni prive di rilevanza esterna non solo non potrebbero dirsi soggetti, ma addirittura non potrebbero qualificarsi nemmeno come formazioni sociali, una volta assunta la soggettività come loro caratteristica.

Delineato il concetto di associazione vengono ora affrontati i problemi di regolamentazione positiva del relativo diritto costituzionalmente garantito[27].

  1. Profilo individuale e collettivo della libertà di associazione

La garanzia costituzionale dell’art. 18 si scinde in un profilo individuale, costituito dalle facoltà che sono riconosciute ai singoli[28], e in un profilo collettivo dal quale deriva la protezione di una sfera di autonomia normativa ed organizzativa del gruppo[29]. L’art. 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo[30] sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità[31].L’art. 18 Cost. appare del tutto improntato sul parallelismo tra situazioni individuali e situazioni collettive[32], sia nella disciplina dell’aspetto strutturale (diritto di associarsi liberamente, divieto di autorizzazione) che in quella dell’aspetto teologico (collegamento fra fini sociali e fini individuali).

Dal combinato disposto dell’art. 2 e 18 Cost. risultano costituzionalmente rilevanti e garantite sia la libertà del singolo di formare associazioni e di aderirvi, sia la libertà di azione delle associazioni medesime[33].

Ma contrasti si presentano per quanto attiene alla natura del profilo collettivo, parte della dottrina[34] ritiene infatti che la libertà di associazione sia configurabile come un mero svolgimento di posizioni individuali e un prolungamento della libertà individuale di associarsi[35].

Infatti si ritiene che la libertà di associazione, sembra costituire, una libertà che la Costituzione riconosce al soggetto privato per interessi e finalità sue proprie[36].

Non esistono cioè, diritti della formazione sociale volontaria, che abbiano un fondamento costituzionale diverso dal puntuale riconoscimento di specifiche situazioni giuridiche soggettive.

Sostenendo il contrario infatti non solo si affermerebbe a priori l’esistenza di diritti del gruppo come tale[37] ma si contraddirebbe altresì il dettato dell’art. 2 Cost. che garantisce le formazioni sociali non in se stesse, ma in quanto svolgimento di posizioni individuali[38].

La Costituzione ha riconosciuto specifici diritti individuali, non ha invece disciplinato istituti di libertà[39].

La logica in cui essa si è mossa è quella della fondazione della libertà collettiva sul concreto esercizio individuale, non viceversa[40].

Altra parte della dottrina ritiene invece che l’associazione sia configurabile fra le situazioni soggettive collettive aventi la loro base nel principio di solidarietà fra gli uomini e irriducibili allo Stato[41].

Ma si è anche sostenuto che il sistema costituzionale delle libertà associative non sembra indifferente all’opzione fra un modello associativo tendenzialmente chiuso, ed uno aperto all’azione di ricambio  dei singoli associati, fra il riconoscimento di un pluralismo già organizzato nel corpo sociale e la tutela di un pluralismo orientato in senso fortemente dinamico[42].

Di certo il rapporto di strumentalità fra la posizione delle formazioni sociali e lo sviluppo della personalità individuale e la decisa sottolineatura dell’origine individuale e volontaria del vincolo associativo indirizzano a risolvere il problema nel senso della priorità della tutela individuale[43].

Preso atto dunque che costituzionalmente, la libertà dell’associazione costituisce lo svolgimento della libertà individuale di associarsi, è scontato ritenere che, in linea di principio, ogni delibera dovrebbe essere presa all’unanimità. Questa regola che costituisce affermazione della libertà individuale, può essere convenzionalmente derogata e costituzionalmente costituisce l’unico valido criterio di interpretazione per i casi dubbi. Regola che si intende superabile nell’ipotesi in cui si intendesse dare all’organizzazione del gruppo una struttura di tipo aperto[44].

Ma se i soci possono sempre porre convenzionalmente  delle deroghe al principio di unanimità e, se la deroga rappresenta del resto la soluzione cui abitualmente si ricorre per assicurare una maggiore agilità delle decisioni, ciò non significa che la libertà individuale debba logicamente autorizzare il proprio annientamento.

Infatti la delibera concernente la modifica dello scopo sociale, in quanto incide sulla ragion d’essere del vincolo ideale su cui l’associazione si regge, nonché la delibera sullo scioglimento anticipato dell’associazione, in quanto pregiudicante singole posizioni soggettive, restano costituzionalmente riservate al principio dell’unanimità dei consensi. Alle argomentazioni svolta va poi aggiunto che accanto al diritto di associarsi esiste anche il diritto dell’associato di essere tutelato nei confronti dell’associazione.

Tuttavia non è una tutela assoluta poiché va considerato che alla base di ogni associazione vi è un comune vincolo ideale, il quale una volta venuto meno non può essere ricostituito sulla base di una pronuncia giurisprudenziale o di un atto amministrativo.

Inoltre riallanciandoci alla libertà negativa e positiva riconosciuta ad un soggetto, va detto che quest’ultimo ha  il diritto tanto di non essere costretto a far parte contro la propria volontà di una determinata associazione, quanto il diritto di poter liberamente recedere da un’associazione[45].

2.1 Il problema dell’esistenza di un fondamento Costituzionale dell’autonomia associativa direttamente riconducibile all’articolo 18 della Costituzione

La dottrina maggioritaria ha affermato che in generale, al riconoscimento di una libertà corrisponde, implicitamente e contestualmente il riconoscimento del relativo potere. Non è possibile infatti presupporre automaticamente l’una in presenza dell’altra e viceversa. Ne tanto meno è sostenibile che l’art. 18 Cost. consente di rilevare una disposizione mirante al riconoscimento di una specifica autonomia associativa[46].

Ponendo attenzione al disposto dell’art. 8 comma 2 Cost. e dall’art. 20 Cost. si nota che se si partisse dall’assunto di un generalizzato riconoscimento del potere di associazione secondo l’art. 18 Cost. le norme da essi ricavabili risulterebbero prive di qualsiasi autonoma ragion d’essere o, addirittura porterebbero alla paradossale conclusione di una completa vanificazione di ciò che mediante il riconoscimento del diritto di associazione, la Costituzione avrebbe contestualmente accordato[47].

Ritenere che l’art. 18 Cost con l’assunto per cui nel riconoscere il diritto di associarsi per fini che non siano vietati dalla legge penale contenga anche il relativo potere, implica necessariamente l’attazione di questo sotto la protezione della garanzia costituzionale, con la conseguenza che detto potere dovrebbe avere la medesima estensione, ed incontrare gli stessi limiti della libertà.

Se così fosse non si comprenderebbe la Costituzione debba ribadire che tale potere nella forma dell’autonomia statutaria, sia da riconoscere alle confessioni religiose[48] che costituiscono dei fenomeni associativi.

Ne sarebbe comprensibile per quale motivo di debba garantire con l’art. 20 Cost. i fini religiosi della associazioni considerato che questi sono già solennemente garantiti dall’art. 18 Cost. in combinato disposto con l’art. 19 Cost. che ne riconosce non solo la liceità, ma anche una specifica protezione.

Dalle considerazioni svolte si può concludere che gli artt. 8 comma 2 e 20 Cost. non assicurano qualcosa in più alle formazioni di carattere religioso, ma al contrario consentono l’assegnazione di limiti ulteriori.

A conferma di quanto detto proprio l’art. 20 Cost. mentre da un lato nega ogni forma di discriminazione nei confronti dei gruppi religiosi, dall’altro implicitamente, afferma che il legislatore quei limiti possa in generale porli[49].

 2.2 L’autonomia associativa come presupposto dell’articolo 20 della Costituzione:conseguenze

Occorre constatare che la Costituzione con l’art. 20 riconosce in qualche modo disciplinandolo un potere di associazione, ed anche un potere delle associazioni. Infatti tale disposizione escludendo che il carattere ecclesiastico e il fine religioso o di culto di un’associazione possano essere causa di limitazioni legislative, implicitamente afferma l’esistenza di associazioni che si costituiscono, hanno capacità giuridica e svolgono attività in varie forme.

Pensare che tale disposizione attenga in via esclusiva alla libertà associativa nell’ambito del lecito materiale, non solo potrebbe risultare una duplicazione delle norme di cui agli art. 18 e 19 Cost. ed inoltre difficilmente si attaglia all’identificazione dell’associazione e degli enti quali soggetti logici della disposizione stessa, nonché alle espressioni, quali costituzione, capacità giuridica, ed attività che sembrano riguardare la vita di tali enti nel mondo del diritto[50].

Ma è emerso che è possibile argomentare che dal tenore testuale dell’art. 20 Cost., proprio la legittimità di un intenso intervento normativo nella modulazione del fenomeno , sia riguardo alla strutturazione dei rapporti interni che in ordine alla protezione esterna del gruppo[51]. È sicuramente non agevole infatti negare che, alludendo alla Costituzione, alla capacità giuridica e ad ogni altra forma di attività, il legislatore abbia voluto dettare una disposizione tendenzialmente onnicomprensiva delle vicende che riguardano le associazioni nell’ambito del possibile giuridico[52].

Va inoltre rilevato che, la Costituzione, tra le forme per realizzare la tutela delle associazioni religiose[53], ha accolto quella che meno tutela i gruppi con finalità diversa. Infatti non ha imposto un obbligo di pari trattamento tra i tipi sociali, ma ha solamente precluso la possibilità di speciali limitazioni per quelli religiosi[54].

Tra l’altro il disposto di cui all’art. 20 Cost. non chiarisce se alla luce dell’ordinamento costituzionale, siano ammissibili discriminazioni tra associazioni appartenenti a tipi diversi o addirittura tra associazioni all’interno del medesimo tipo ed in particolare all’interno del tipo associazioni religiose.

A tal proposito va sottolineato che con riferimento a quelle religiose, è lo stesso art. 20 Cost. ad individuare un criterio di caratterizzazione tipologica, mentre in merito alle altre, è la stessa operazione di tipizzazione ad apparire problematica[55].

Infatti dal momento che l’art. 20 Cost. non prevede che un’applicazione concreta dell’articolazione per categorie cui l’ordinamento ricorre per disciplinare il pluralismo sociale, rimane “impregiudicata”  il problema attinente all’identificazione dei criteri per una distinzione per tipi. Da ciò si può ritenere che mentre per quanto riguarda il fenomeno religioso, sembra dimostrabile la scelta del legislatore per una differenziazione delle associazioni così selezionate rispetto alla generalità dei fenomeni associativi, per i gruppi non religiosi ancor prima del problema dell’ammissibilità all’interno di ciascun tipo si pone la questione delle stesse operazione di categorizzazione compiute dal legislatore nel regolare giuridicamente i fenomeni di questo genere[56]. Per quanto attiene all’autonomia associativa, la Costituzione in merito è piuttosto lacunosa, e deve farsi appello invece alle fonti subordinante per la regolazione di questa.

Per approfondire il problema possiamo partire da due ordini di idee.

La prima è quella che muove dal riconoscimento , nella stessa Costituzione di tipologie ben definite[57].

La seconda linea di pensiero è quella che attiene all’applicazione del principio di uguaglianza ai fenomeni associativi[58].

Tale questione si attaglia perfettamente all’interpretazione dell’art. 3 Cost., riproponendo da una parte la problematica della sua applicazione ai fenomeni collettivi dall’altra, quella delle ripercussioni sulla condizione dei singoli delle discriminazioni che abbiano ad oggetto i gruppi ai quali essi appartengono, dall’altra ancora quella della portata del più generale criterio di ragionevolezza, indipendentemente dai singoli divieti di discriminazione espressamente enunciati dalla disposizione costituzionale

  1. L’efficacia direttiva del riconoscimento delle libertà rispetto alla disciplina legislativa del potere di associazione. In particolare il caso dei fenomeni di autonomia associativa tutelati in funzione della libertà

La dottrina da sempre si è interrogata se esista un fondamento costituzionale dell’autonomia associativa, ed in che rapporto si collochi con il riconoscimento dell’omonima libertà.

L’art. 18 Cost. sembra escludere che il singolo possa venire ostacolato nell’utilizzo degli strumenti offerti dall’ordinamento all’autonomia privata, qualora mediante essi intenda perseguire fini leciti congiuntamente ad altri. Se infatti da un lato si nega che il riconoscimento della libertà implica contestualmente il diritto, e la pretesa a far uso di tutti i mezzi materiali e giuridici per la sua realizzazione (ovvero si accolga [59] l’affermazione secondo cui la garanzia della libertà sostantiva non reca con se la garanzia del mezzo[60]) ciò non significa che si possa precludere al titolare l’impiego di quelli che risultino nella sua materiale o giuridica disponibilità[61].

La dottrina ha pacificamente rilevato che la circostanza che, mediante lo strumento del vincolo negoziale, la responsabilità che ne deriva e la giustiziabilità dei relativi rapporti, possono rafforzarsi i legami ideali o sociali che nascono dall’associarsi[62]. Alla luce delle considerazioni svolte è da ritenere che in virtù della previsione della libertà di associazione, non si potrebbe negare l’utilizzo di un certo strumento negoziale, solo in quanto esso mira a realizzare un più forte godimento di tale libertà[63]. Dunque la circostanza che il terreno di godimento delle libertà sia quello del lecito materiale, è di ostacolo a considerare di per se lesive le eventuali rigidità imposte dal diritto nel campo del possibile giuridico, qualora queste siano sorrette dall’esigenza di tutelare altri interessi.

Se si accoglie tale assunto sorge però il quesito se essa non conduca ad esiti incongrui nei casi in cui l’ordinamento preveda particolari strumenti di autonomia privata espressamente finalizzati alla realizzazione di gruppi associativi[64]. Posto che un certo istituto sia finalizzato alla piena realizzazione di una libertà è difficile negare che la regolamentazione di questo debba commisurarsi e valutarsi alla stregua delle esigenze e della struttura del diritto di libertà medesimo[65].

Vi è inoltre chi analizzando la disciplina sulle associazioni, contesta la legittimità costituzionale delle soluzioni che finiscono per comprimere in maniera eccessiva la possibilità di libera determinazione degli associati sociali sia da parte degli aderenti, sia con riferimento alla formulazione dei tipi associativi sia riguardo all’organizzazione interna delle singole associazioni[66].

La questione prospettata è quindi di valutare se la disciplina legislativa ordinaria pretenda di imporre limitazioni alla libera determinazione dei privati.

Esempi vi sono in merito alla figura delle associazioni non riconosciute[67], all’opinione che afferma come imperativa la regola della porta aperta[68] o a quella che ritiene le eventuali clausole di adesione successiva inidonee  a fondare un diritto perfetto all’adesione, ma esclusivamente a legittimare gli altri associati ad pretendere l’ammissione dell’aspirante[69], o a quella che ritiene comunque imposto dall’ordinamento un modello organizzativo tipico[70] o una posizione necessariamente paritaria tra gli associati[71] o a quella che non ammette eccezioni al principio democratico all’interno dell’associazione[72] o alla tesi che vuole solo limitatamente condizionare il recesso ad nutum dell’aderente e del tutto inammissibile l’esclusione ad nutum, o a quella che considera inderogabili le norme sulla responsabilità personale o solidale di coloro i quali abbiano impegnato l’associazione nei confronti dei terzi[73] o infine a quella che ritiene inderogabile da parte dello statuto la legittimazione processuale, almeno dal lato passivo, del presidente o del direttore[74]. Ed ancora per dovere di completezza bisogna ancora menzionare i requisiti legalmente richiesti per esserci associazione sul piano del possibile giuridico[75] e le disposizioni del codice civile inerenti le associazioni dotate di personalità giuridica e ritenute applicabili anche alle altre[76], tra cui quelle che ammettono la sospensione da parte dell’autorità governativa dell’esecuzione delle delibere contrarie all’ordine pubblico o al buon costume o che giustificano l’espulsione dell’associato solo per gravi motivi negandola, pertanto, in assenza di tali presupposti.

Ma va evidenziato che non sembra che l’ampiezza data all’associarsi nell’ambito del lecito materiale si possa estendere all’associarsi sul piano del possibile giuridico.

Tuttavia a contrario si potrebbe argomentare che la Costituzione non sembra aver adottato una soluzione univoca. La formulazione dell’art. 20 Cost. sembra infatti confermare la scelta di una non immediata consequenzialità tra la qualità delle garanzie approntate per la libertà di associazione e quelle ricostruibili in relazione al relativo potere[77].

Il fatto di ammettere limiti legislativi per ciò che attiene alla costituzione, capacità giuridica ed ogni altra sorta di attività delle associazioni, sembra confermare che il costituente abbia voluto lasciare alle fonti subordinate un’ampia discrezionalità nel contemperare da un lato le esigenze funzionalmente connesse ad una migliore realizzazione della libertà e dall’altro, tutti gli interessi ugualmente sottesi alla regolazione dei rapporti interprivati[78].

Se si ammette tale ordine di pensiero la strumentalità del potere di associazione alla libertà può costituire solo uno dei criteri di riferimento del legislatore[79] il quale rimane ampiamente libero nel disciplinare tale settore.

Tuttavia ciò non impedisce che in sede di interpretazione degli istituti civilistici  il valore finale della libertà possa costituire un criterio di orientamento particolarmente rilevante per le singole soluzioni applicative[80].

Date queste premesse si può agevolmente constatare che quando la pretesa di realizzare un’unione  interpersonale teologicamente orientata ambisce all’obiettivo che le capacità naturali siano anche intrinsecamente potenziate dal diritto, essa dovrà anche accettare di non godere necessariamente di garanzie altrettanto ampie.

E ricollegandoci all’autonomia associativa sembra reale l’opinione di chi facendo uso della categoria dell’onere cerca di giustificare le particolari limitazioni  mediante i quali il legislatore ritiene di condizionare l’esercizio del potere dei privati di associarsi[81].

Si può concludere dunque che una volta distinti i piani della libertà e del potere, queste due modalità di rilevanza non siano esenti da reciproche interferenze, le quali però rilevano dal punto di vista dell’art. 18 Cost. non tanto nei casi in cui l’ordinamento rifiuti di assicurare alla capacità naturale degli uomini di associarsi quel riconoscimento più completo consistente nella tutela di essi anche nell’ambito del possibile giuridico, quanto nelle occasioni nelle quali, attraverso la regolazione dell’autonomia associativa si determino delle ripercussioni illegittime sulla corrispondente libertà.

Le considerazioni sin qui svolte non inficiano però la conclusione che con riferimento ad alcuni fenomeni associativi previsti in Costituzione, il potere di associarsi sia garantito e disciplinato contestualmente al relativo diritto di libertà. Si possono a tal proposito menzionare ad esempio i casi della famiglia, delle confessioni religiose, dei partiti politici e dei sindacati.

Per quanto attiene alla famiglia è da rilevare che per l’istituto familiare è la libertà ad essere il presupposto della regolazione del potere[82]. Analogamente si afferma che stabilendo che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale soprattutto nel caso si accogliesse la tesi per cui il riferimento è alla democrazia interna ai partiti[83], la conseguenza interpretativa dovrebbe probabilmente essere che la Costituzione abbia voluto riconoscere e disciplinare l’esercizio del potere di associarsi in partiti e non solo la relativa libertà.

Ed ancora più manifesta è tale conclusione con riferimento ai sindacati, la cui attività, se il legislatore avesse voluto avvalersi del potere di imporre la registrazione, con le relative conseguenze previste dall’art. 39 Cost., avrebbero dovuto necessariamente svolgersi anche sul piano dell’autonomia e non solo della libertà.

4. La tutela dell’individuo nell’associazione e dell’associazione all’interno dello Stato

Per quanto attiene alla tutela del privato contro lesioni del suo diritto da parte di privati o dello Stato va detto che anche su tale tema sono sorti dibattiti in merito.

Sia la tutela del diritto a far parte o a non far parte di una associazione sia la tutela contro eventuali abusi basati sui limiti costituzionali spettano all’autorità giudiziaria ordinaria vertendosi in tema di diritti soggettivi. Anche la tutela contro illegittimi scioglimenti spetta all’autorità giudiziaria[84].

Il giudice ordinario competente allo scioglimento è per definizione il giudice penale perché è solo questo che da un lato garantisce le situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente protette, dall’altro ha i mezzi per determinare se l’illeicità attenga alla sfera meramente individuale dei comportamenti oppure si configuri nelle stesse finalità associative[85].

Nel primo caso lo scioglimento rappresenta una conseguenza di fatto della condanna dei singoli soci (ove non ce ne siano altri che potrebbero continuare a mantenere in vita l’associazione), nel secondo lo scioglimento dev’essere giudizialmente pronunciato in quanto è l’associazione in se che si pone come strumento di reato.

Va rilevato poi che l’assunto che l’associazione possa stare in giudizio a tutela dei diritto soggettivi e degli interessi legittimi di cui sia titolare è affermazione assolutamente pacifica e che discende dal riconoscimento di una sia pur ridotta soggettività giuridica[86].

In questi termini, e pur essendo noto che le associazioni sono il più efficace strumento per la tutela degli interessi diffusi  si tende a differenziare la tutela di questi, [87] dalla tutela degli interessi propri dell’associazione che come tali, rappresenterebbero, relativamente al perseguimento dei fini istituzionali del gruppo, un diritto di azione individuale degli enti collettivi[88].

Ad una tale impostazione potrebbe obiettarsi che gli interessi propri di un’associazione coincidono con le finalità perseguite dal gruppo, da cui non appare così improbabile prospettare che, purché non rientrante nel vietato ai singoli dalla legge penale, anche il perseguimento di un interesse diffuso potrebbe diventare la ragion d’essere dell’associazione e quindi il suo fine istituzionale da difendere anche in giudizio.

La bipartizione interessi propri e interessi diffusi andrebbe perciò sostituita con interessi appropriabili e interessi inappropriabili, questi ultimi identificandosi con quelli esclusivamente perseguibili da particolari soggetti privati ovvero da pubblici poteri[89] .

Il problema della tutela di interessi diffusi sarebbe perciò per l’associazione più che altro di ordine probatorio (spettando ad essa di provare l’esistenza di una certa finalità sociale e l’effettivo suo perseguimento) in questo senso, per il fatto di possedere un atto costitutivo ed uno statuto da cui ciò risulti, l’associazione riconosciuta sarebbe parzialmente avvantaggiata rispetto all’associazione di fatto, e questa sarebbe a sua volta parazialemente avvantaggiata nei confronti dell’individuo che, ovviamente non opera secondo schemi prefissati[90].Ulteriore rilievo va dato al problema secondo cui la tutela dell’associato all’interno dei gruppi ed in particolare delle formazioni sociali, dovrebbe in via generale subire un’attenuazione per motivi riconducibili non tanto alla natura delle pretese vantate o dei rapporti interni al gruppo, quanto al nocumento che ne potrebbe derivare alla realizzazione del principio pluralistico[91].

Sarebbe dunque in tale prospettiva proprio l’esigenza di salvaguardare quest’ultimo a far consigliare l’esclusione dell’ingresso del sindacato giurisdizionale all’interno dell’associazione.

Tale soluzione si baserebbe sul presupposto secondo cui l’affidamento alla sola giustizia interna delle controversie tra soci ed associazioni rappresenterebbe il miglior contemperamento possibile tra l’interesse alla tutela del singolo e quello della garanzia della libertà e l’autonomia del gruppo.

La soluzione contraria per salvaguardare la posizione individuale finirebbe per esporre pericolosamente il gruppo alle ingerenze dei pubblici poteri seppure nella forma dell’intervento dell’autorità giudiziaria[92].

Per completezza di esposizione va rilevato che il Costituente quando ha voluto sottrarre determinati rapporti o determinate situazioni soggettive al sindacato dei giudici lo ha fatto in modo espresso[93].

Ed anche la dove una considerevole tradizione storica sostiene l’insindacabilità degli interna corporis acta, non sono mancate interpretazioni volte a mettere in luce la difficile conciliabilità di tali interpretazioni rispetto all’evoluzione dello Stato costituzionale di diritto ed al riconoscimento tra quelli inviolabili del diritto alla tutela giurisdizionale[94].

In merito ad una categoria come quella delle formazioni sociali[95] sembra piuttosto complicato negare che sussistano argomenti in senso opposto.

Appare fondata invece l’opinione secondo cui la creazione di ordinamenti speciali non necessariamente favorisce la garanzia del pluralismo ma spesso invece concorre a generare una degenerazione che si riflette anche sui terzi ad essi estranei[96].

A considerazioni simili perviene parte della dottrina che all’interno di una ricostruzione che vuole le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., quali soggetti costituzionalmente investiti delle funzioni della realizzazione della personalità umana[97] ritiene che (almeno per le formazioni la cui struttura interna è aperta alla libera iniziativa dei gruppi) una sufficiente garanzia delle posizioni dei singoli consisterebbe nel riconoscimento di una piena libertà di recesso dal gruppo, corredata dalla libertà di iniziativa rivolta a dar vita a nuove associazioni e non in interventi protettivi da parte dello Stato che fossero orientati nel senso di un controllo diretto sull’operato dell’autorità interna al gruppo[98].

Alle tesi che concludono per una generale e necessitata attenuazione della giurisdizione interna alle associazioni, va opposto che tale posizione sembra svalutare eccessivamente l’importanza che nella dinamica dei fenomeni associativi, assume l’identità storico-concreta di ciascuna formazione o associazione.

Dubbi sorgerebbero sulla assoluta ed indiscriminata fungibilità tra associazioni che perseguono il medesimo fine, e si dubiterebbe anche della sufficienza di una garanzia limitata ad assicurare ad un espulso la sola possibilità di ricostruirsi una propria e diversa associazione[99].


[1] Interessante appare sottolineare che la libertà di associazione costituisce un diritto soggettivo nella precisa connotazione che deriva dalla possibilità per l’interessato di difendersi davanti al giudice ordinario con ampio esame del merito del provvedimento impugnato, sempre che ciò si palesi necessario per esigenze di tutela. La tesi invece che ammette la possibilità che la libertà di associazione rilevi, in date circostanze, come interesse legittimo si collega, probabilmente all’interpretazione del limite della legge penale, come limite di ordine pubblico sia pure soltanto materiale. Cfr Abbamonte C., Libertà e convivenza, in Rass. Dir. pubbl. 1953, I, p. 391 nonché per un accenno ipotetico Barile A., voce Associazione (diritto di ) in Enc. Del Dir., vol. III, p. 849 ss. e La salute scomparsa del potere prefettizio di scioglimento delle associazioni, in Giur. Cost. 1967, p. 1252 ss.

[2] Si è infatti affermato che il fenomeno associativo costituisce, lo strumento più valido per consentire l’effettiva partecipazione dei cittadini alla vita politica, economica e sociale del paese. Ciò che ne consegue quanto meno in una visione liberaldemocratica del pluralismo, è proprio il riconoscimento della più ampia garanzia per la libertà di azione associativa, in corrispondenza del resto con la medesima ampia libertà di scelta delle attività finali che la Costituzione riconosce all’individuo. Cfr. Cfr Amato G., Pace A., Finocchiaro F., Commentario della Costituzione, Bologna 1977 p. 193 ss. Ex multis Cuocolo F., Principi di diritto costituzionale, Milano 2000 p. 383.

[3] In tale contesto la Corte Costituzionale è chiamata in primo luogo a verificare la sussistenza di una norma penale che precluda al singolo di perseguire lo scopo vietato dall’associazione e, in un secondo passaggio, a valutare la legittimità costituzionale della norma incriminatrice del comportamento individuale. Tale valutazione appare particolarmente delicata nel nostro ordinamento, anche in ragione del gran numero di reati di opinioni previsti dal legislatore italiano, che potrebbe condurre ad un divieto particolarmente esteso per quelle associazioni che propongono messaggi dissenzienti, anticonformisti e provocatori. Brunelli G., Struttura e limiti del diritto di associazione politica, Milano 1991, Cassese S., Dizionario di diritto pubblcio, Milano 2006, p. 483 ss.

[4] Tuttavia è solo in virtù del secondo comma che tale intuizione diviene certezza: ed infatti, se non esistesse un generale principio di libertà organizzativa cui dover contrapporre esplicitamente specifiche deroghe, non avrebbe senso l’espresso divieto di alcuni tipi di organizzazione: militare e segreta. Che la segretezza poi si riferisca anche all’organizzazione potrebbe essere contestato solo affermando che la segretezza attenta esclusivamente alle finalità di gruppo. Ma anche avendo ciò dimostrato, rimarrebbe pur sempre salvo l’ulteriore argomento su cui si regge la tesi: e cioè il riferimento all’organizzazione di carattere militare. Cfr. Amato G., Pace A., Finochhiaro F., Commentario della Costituione, Bologna 1977 p. 215 ss.

[5] Il concetto di associazione latu sensu comprende come genus le species costituite dalle corporazioni, dalle istituzioni, dagli enti, dalle società civili e commerciali, dagli istituti, da molti corpi morali, dai consorzi, dagli ordini professionali e religiose, dalle confraternite e così via. Cfr. Barone P. Associazione (diritto di ) in Enc. Giur. 1959, p. 839 ss.

[6] Occorre dunque in primo luogo che vi sia una collettività composta da due o più individui, così come accade nel fenomeno corporativo. Cfr Cass. 16 ottobre 1954, n. 3823. Gli individui possono mutare e mutano, senza che l’associazione subisca alcun mutamento di sua parte. Cfr. Ferrara F., Le persone giuridiche, Torino 1956 p. 76.

[7] In questo senso sia pure con sfumature v. Abbamonte C., voce Libertà costituzionali, in Enc.Forense, p. 814, Crisafulli V., In tema di libertà di associazione, in Giur, cost. 1962, p. 743, Bartole S., Problemi costituzionali della liberta di associazione, Milano 1970, p. 19 ss e Basile M., L’ intervento dei giudici nelle associazioni, 1975 p. 180 ss.

[8] La Costituzione non esige peraltro che le associazioni abbiano una struttura interna democratica; il che è comprovato dal fatto che quando essa ha voluto imporre questa struttura, lo ha fatto espressamente. La garanzia della libertà di associarsi implica, quella che l’associazione possa operare per il raggiungimento del fine sociale, nel senso che il legislatore deve riconoscere alle associazioni quegli stessi diritti che riconosce ai cittadini, salvo quelli che per la loro natura non possono essere attribuiti ad un corpo sociale. Cfr. Mazzotti Di Celso G., Manuale di diritto costituzionale, Roma 2002, p. 161 ss.

[9] Romano S. Principi di diritto costituzionale generale, Milano 1947 p. 130.

[10] Se è vero che ordinariamente l’associazione ha in sé, istituzionalmente carattere di permanenza, è pur vero che nel concetto di associazione debbano farsi rientrare anche quelle organizzazioni comunitarie la cui permanenza abbia carattere meramente relativo o addirittura occasionale.

[11] Corretta appare la notazione seconda la quale, per aversi scopo comune, non basta che più per persone vogliano conseguire il medesimo scopo (che, anzi esse potrebbero trovarsi divise e anche in contrasto tra loro sui mezzi per conseguirlo): occorre che sia lo scopo, sia i mezzi per conseguirlo siano accettati concordemente da coloro che si associano, solo in tal modo, si avrà una volontà comune che tenderà in modo razionale ed univoco a raggiungere un fine. Cfr. Rubino A., Le associazioni non riconosciute, Milano 1952, p. 75 ss.

[12] Non è viceversa necessariamente ascrivibile ad un’esperienza associativa, il perseguimento delle finalità individuali che, all’accordo, hanno mosso ciascuno dei contraenti ne la realizzazione delle utilità che singolarmente traggono dall’esecuzione, propria o altrui del medesimo. Ed una traccia di tale circostanza si ha, ancora nell’art. 1345 c.c. la dove implicitamente si distingue  (seppure solo in ipotesi di accordo illecito) tra il caso in cui i contraenti abbiano motivi comuni e quello esattamente opposto. Si noti incidentalmente che la menzionata disposizione di cui all’art. 1345 c.c. in tanto si potrà considerare costituzionalmente legittima in quanto si distingue tra l’associarsi sul piano del possibile giuridico e quello sul piano del lecito materiale e si ritenga che l’art. 18 Cost e le garanzie in esso previsto riguardino solo la libertà e non il potere di associazione. Aderendo alla tesi opposta si dovrebbe ritenere che il contratto concluso per motivi illeciti comuni ad entrambe le parti possa a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione ritenersi effettivamente illecito solo qualora tali motivi contrastino con norme penali che incriminano il perseguimento dei corrispondenti fini individuali. Al contrario non costituisce necessariamente violazione dell’art. 18 Cost. il fatto che il legislatore ponga a chi voglia associarsi nel mondo del diritto condizioni e limiti più gravosi di quelli che la Costituzione prevede per la libertà di associazione. Cfr. Guzzetta G. Il diritto costituzionale di associarsi: liberta, autonomia, promozione, Milano 2003 p. 92 ss.

[13] Rubino A.,op. cit. 2-3.

[14] Tuttavia c’è chi sostiene che tale distinzione sia arbitraria in quanto anche da una riunione possono nascere atti concreti di attuazione, per esempio di una volontà di turbamento dell’ordine pubblico o addirittura di una volontà insurrezionale. Cfr. Crisafulli V., Associazione (diritto di )  in Nuovo Dig. It. I, Torino, 1937, p. 1036 ss.

[15] Si hanno perciò gli statuti, cioè gli atti permanenti e fondamentali che determinano il funzionamento dell’associazione, le deliberazioni di indirizzo politico (latu sensu) e quelle di carattere esecutivo e sanzionatorio.

[16]  Così Cassarino C., Le associazioni segrete e l’art. 18 della Costituzione in Dir. e giur. 1950, p.232.

[17] Ricompresa la facoltà di organizzarsi nella più ampia libertà d’associazione, appare sicuramente corretto ritenere che il contenuto dell’art. 36 comma 1 c.c.( “L’ordinamento interno e l’amministrazione sono regolati dagli accordi degli associati”) costituisca svolgimento, con specifico ed esclusivo riguardo alle associazioni non riconosciute, del principio di libertà enunciato a livello costituzionale. Conseguentemente, ogni interpretazione che mirasse a sottoporre la disciplina dell’organizzazione dell’associazione a prescrizioni normative diverse da quelle costituzionali, ad esempio estendendo alle associazioni  non riconosciute il dettato degli art. 23 e 24 c.c. esplicitamente riguardanti le associazioni riconosciute non potrebbe non apparire, da tale prospettiva, che una palese violazione dell’art. 18 Cost. Cfr. Basile M. L’intervento dei giudici, p. 195 ed ancora Galgano F., in Comment. Cod. Civ. sub. Art. 36-38, n. 6 p. Piacenza 2006, 40 ss.

[18] Cfr. Barile P. Associazione (diritto di) in Enc. Dir. 1959, p. 838 ss.

[19] Si può quindi parlare per l’associazione di un vincolo ideale , in quanto esista un vincolo giuridico: la tensione ideale può venir meno nel singolo socio, senza che peraltro che ne risulti annullato il vincolo ideale che giuridicamente esso ha contribuito a porre in essere.. La tesi che risolvesse la validità del vincolo nella persistenza psicologica della comunanza degli intenti originari pretenderebbe troppo dalla natura umana (richiederebbe cioè che gli associati non abbiano mai dubbi sulla perdurante validità delle originarie scelte associative) e del resto, finirebbe per punire proprio coloro che intendessero restar fedeli all’impegno preso. Cfr. Amato G., Pace A., Finochhciaro F., Commentario alla Costituzione, Bologna 1977, p. 226.

[20] Il vincolo che lega i partecipanti alla riunione è la vicinanza nello spazio: quello che lega gli associati tra loro è un vincolo ideale, sociale e giuridico insieme. Certo, il diritto di associazione presuppone sia il diritto di riunione, sia un altro dei diritti fondamentali, quello di espressione del pensiero: nella storia della libertà, la libertà di associazione, nacque quando fu riconosciuta quella di riunione e quella di espressione del pensiero. Si noti che, in Italia l’art. 32 dello Statuto Albertino riconosceva solo la libertà di riunione, ma questo bastò perché la prassi e la letteratura riconoscessero anche la seconda, come corollario della prima, nonché come espressione collettiva della libertà di manifestazione del pensiero.

[21] Cfr. Esposito C., Lo stato fascista e le associazioni, Padova, 1934, vol. I, p.  74 ss.

[22]  Sul problema Galgano G., in Comm. cod.civ., sub art 36-38, n. 7 p. 48 ss.

[23] Cfr, in tal senso Sica V., Le associazioni nella Costituzione italiana, Napoli 1961, p. 51 Bartole A., Problemi costituzionali op. cit. 49 ss.

[24]  Tale assunto è affermato sulla base della circostanza che in primo luogo tra le formazioni sociali si annoverano, tra l’altro, famiglia e riunione che sicuramente soggetti non sono; secondariamente perché l’intento del Costituente di tutelare il cittadino come  membro di formazioni sociali verrebbe in ultima analisi contraddetto, ove si limitasse alle formazioni dotate di soggettività giuridica, l’ambito di quella tutela costituzionale. Cfr. Galgano G., in Comm. cod.civ., sub art 36-38, n. 7 p. 48 ss.

[25] Lavagna C., Basi per uno studio delle figure giuridiche soggettive in Studi ec. Giur. Fac. Giur. Università Cagliari , 1953 p. 16, Guarino G., Lezioni di diritto pubblico, Milano 1969, I, p.40 ss.. Per una diversa impostazione v. Pace A.., La liberta di riunione , Venezia 1965 p. 132 ss.

[26] Occorre ancora osservare che il riferimento dell’art. 2 Cost. a formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli, sebbene sia stato interpretato da alcuni autori nel senso di restringere l’area della tutela costituzionale alle sole formazioni  sociali nelle quali la personalità umana si sviluppa positivamente nonché problematicamente, sembra invece consentire un ulteriore anello di collegamento con il regime generale delle associazioni ex art. 18 Cost. rappresentato dal comune riconoscimento di fenomeni collettivi che vengono considerati come proiezioni della sfera individuale, e dall’affermazione di una istanza di tutela individuale all’interno di essi. Seguendo questa seconda interpretazione, tali garanzie debbono ritenersi operanti a livello di principi costituzionali, non soltanto nei confronti di comunità formate per uno spontaneo processo di aggregazione sociale, ma anche di quelle autoritativamente costituite dai pubblici poteri, come la comunità militare (il cui ordinamento dev’essere orientato allo sviluppo della personalità del militare, art. 3, II co., I, 382 del 1978 nonché Mancini F., Costituzione e movimento operaio, Bologna 1976, p. 265 ss.) o le corporazioni pubbliche ad appartenenza obbligatoria. Cfr. Barbera A., Principi Fondamentali, in Comm. Cost. Branca, sub art. 2 Boligna 1975 p. 50 ss., Barile P., Associazione (diritto di ) in Scritti di diritto costituzionale, Padova 1967, p. 328 ss., Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova 1976, p. 1158 ss.; Nigro M., Formazioni sociali, poteri privati e libertà del terzo, in Pol. Dir. 1975, p. 579 ss.; Pace A., I rapporti civili, in Comm. Cost. Branca, sub art. 18, Bologna 1977, p, 191 ss.,Quadri G., Libertà di associazione e corporazioni pubbliche a struttura associativa, in Rass. Dir. pubbl. 1963, p. 215 ss., Rescigno P., Persone e Comunità, Bologna 1966.

[27] Tale diritto è anche internazionalmente rilevante come appare dall’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata dall’Onu il 10 dicembre 1948, dove si dice tra l’altro, che nessuno può essere costretto a far parte di un’associazione e dall’art. 11 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, approvata dal Consiglio d’Europa in Roma il 4 novembre 1950, norma peraltro molto meno perentoria di quella contenuta nell’art. 18 Cost.

[28] Diritto di dar vita liberamente ad associazioni, di aderirvi, di recederne, di partecipare alla formazione della volontà collettiva.

[29] Cfr. Pace A., I rapporti civili in Comm. Cost. Branca, sub art. 18, Bologna 1977, p. 191 ss. Ed è ugualmente opinione diffusa che dall’aspetto collettivo scaturisca altresì la titolarità per l’associazione di alcune situazione costituzionalmente garantite (parità di trattamento, libertà domiciliare, libertà e segretezza delle comunicazioni, protezione di una più ampia sfera di riservatezza, diritto di agire in giudizio, diritto di rivolgere petizioni alle Camere. Barile A., Associazione (diritto di), in Scritti di diritto costituzionale, Padova 1967 p. 1250 ss.

[30] Ci si riferisce a quei diritti immodificabili anche dalla funzione di revisione costituzionale secondo la maggioranza della dottrina. Cfr. Barile P., Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova 1953 p. 168 ss.

[31] Questa è una caratteristica della nostra Costituzione, la quale ha voluto espressamente integrare la personalità del soggetto persona-fisica con il richiamo al soggetto nel gruppo sociale, anzi in tutti i gruppi sociali leciti ai quali egli, per il pieno sviluppo della persona umana ( art. 3 comma 2 Cost.) è libero di appartenere. Si tratta di una importante integrazione esplicita della personalità, che si differenzia tanto dal riconoscimento di alcuni situazioni dei gruppi presi come tali: una delle conseguenze di tale sottolineatura costituzionale è, ad esempio, la protezione giurisdizionale di diritti del singolo in seno all’associazione (ad esempio il diritto alla difesa in sede di procedimento disciplinare) protezione sulla quale sussisteva qualche dubbio.

[32] Le libertà collettive sono quelle il cui esercizio presuppone la contestuale partecipazione di più soggetti per la realizzazione di una finalità comune. Di questo tipo di libertà il singolo non può usufruire individualmente, ma solo congiuntamente con altri soggetti.

[33] L’autonomia del privato si presenta dunque sotto il duplice aspetto della protezione dell’attività del singolo nel gruppo sociale e della protezione dell’attività del gruppo medesimo nello Stato. Cfr. Barile P. op. cit. p. 841 ss.

[34] Cfr. Pace A., op. cit. 221 ss.

[35] Ridola P., Associazione (diritto di) in Enciclopedia giuridica Treccani, 1959, p. 1.

[36] Una libertà che, in piena autonomia , potrà essere esercitata o meno per quei motivi che l’individuo singolo riterrà degni di rilievo: l’arricchimento della propria personalità e della propria cultura, il calcolo egoistico di utilità sociali, professionali o economiche, l’aiuto delle altrui umane sofferenze, il rafforzamento della propria posizione antagonistica con poteri pubblici o privati. E senza quindi, che ad arbitro dell’esercizio o del mancato esercizio del proprio diritto possa elevare il detentore di un potere. Cfr Amato G., Pace A., Finocchiaro F., Commentario della Costituzione, Bologna 1977 p. 193 ss.

[37] Su cui v. Bachelet V., Disciplina militare e ordinamento giuridico statale,  Milano 1962, p. 21, Bassi A., La norma interna: lineamenti di una teorica, Milano 1963, p. 347 ss.

[38] Si ritiene che la menzione nell’art. 2 Cost. delle formazioni sociali, non serve a delimitare l’ambito della tutela dei diritti del singolo nei confronti del potere privato (in questo senso v. per tutti Barile P., Il soggetto privato nella Costituzione italiana,  Padova 1953, p. 9 ss). Sembra infatti più corretto sostenere che in tale articolo si riconoscano nei confronti delle pubbliche autorità e si garantiscano nei confronti dei privati siano essi o meno dotati di rilievo pubblico (così invece Lombardi G. Potere privato e diritti fondamentali, Torino 1970, p. 91) tanto i diritti individuali dell’uomo come singolo quanto i diritti funzionali dell’uomo come membro di formazioni sociali. Sul punto Esposito C., La liberta di manifestazione del pensiero e l’ordine pubblico,  Milano 1962, p. 8 e Pace A, Libertà di riunione, op.cit. 111.

[39] Per tale constatazione anche se prospettata criticamente v. Barbera C., Sub art. 2 n. 1, p. 53 ss. Per un’analoga presa di posizione v. sub art. 15  n. 3 p. 95. che poi in pratica il legislatore ordinario possa prevedere degli istituti nei quali l’azione degli individui costituisce lo strumento obiettivo per la realizzazione di valori di libertà, è cosa ben diversa, ma che si rende possibile a patto che non siano implicate situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente protette ( Cfr. Pace A., in Giur. Cost. 1976, p. 1982, le quali pertanto da libertà siano derogate a funzioni.

[40] La libertà collettiva di associazione non è altro che lo svolgimento della libertà individuale di associarsi, se questo è un diritto soggettivo, quella non può rilevare diversamente. Orbene nei riguardi dell’ampiezza del riconoscimento di questa libertà costituzionale, non dovrebbero esservi dubbi essendo sufficiente richiamare i motivi che presiedettero alla scelta, da parte del Costituente, della legge penale come limite al diritto garantito: il contrasto con la legge penale è sempre preciso e definitivo.

[41] In tal modo, secondo un’altra notazione, tali collettività si distinguono dalle classi di individui, mera nozione di comodo volta a indicare particolari tipi di soggetti individuali, contraddistinti da talune caratteristiche comuni, mentre il concetto di associazione presuppone da un lato un rapporto giuridico fra i singoli individui che vi partecipano e dall’altro la rilevanza, e quindi la protezione di interessi esistenti negli individui in quanto raggruppati. Cfr. Barile P. Associazione (diritto di) in Enc. Dir. 1959, p. 838 ss.

[42] Ridola P. Democrazia pluralistica e libertà associative, Milano 1987.

[43] Essa pone un limite funzionale alla libertà organizzativa del gruppo ed un ostacolo al dispiegarsi dell’autonomia normativa di esso, fino al punto che gli assetti interni e le relazioni di sovra-sottordinazione che si costituiscono sulla base di essa possono ricevere nel diritto statale una qualificazione ed una tutela differente rispetto a quella risultante dall’ordinamento endoassociativo. Cfr. Rescigno G., Partiti politici, articolazioni interne dei partiti politici, diritto dello Stato, in Giur. Cost. 1964, p. 33 e Jemolo A.C., In tema di associazioni, in Studi in memoria di G. Zambini, Milano 1967, p. 319 ss.

[44] Struttura chiusa e principio umanistico, struttura aperta e principio maggioritario, a parte ogni dubbio sulla validità in assoluto delle correlazioni – rappresentano infatti non già proposizioni antitetiche, bensì applicazioni del medesimo principio volto al rispetto della volontà degli originari paciscenti.L’interesse dei quali una volta abbandonata l’originaria struttura organizzativa chiusa per una struttura aperta, è appunto quello di non dipendere dalla volontà dell’ultimo venuto. Ne consegue che è inesatto contrapporre la matrice individualistica del principio di unanimità ad una pretesa istanza comunitaria del principio di maggioranza. Cfr. Rubino A., Le associazioni non riconosciute, Milano 1952 p. 14. Certo ad una ricostruzione che privilegi il momento contrattuale su quello corporativo (Cfr. Grierke C., Sulla storia del principio di maggioranza, in Riv. soc. 1961, p. 1114)  si rischia di forzare alcune soluzioni e di non cogliere l’importanza del momento comunitario nella vita dell’associazione. Cfr. Rosell A., Sull’esclusione del socio dall’associazione non riconosciuta e Ancora sull’esclusione del socio in Giur. Merito, 1973, I, p. 267 e 543 ss. e Pozzi C., Tutela giurisdizionale del socio espulso dall’associazione non riconosciuta, in Foro It. 1974, I, p. 1148 ss. ed ancora Rescigno U., Partiti politici, articolazioni interne dei partiti politici, diritto dello stato, in Giur. Cost. 1964, p. 1426 ss.

[45] Tuttavia il riconoscimento dell’esistenza di una libertà negativa non deve essere inteso in termini si assoluti, da escludere in ogni caso, la legittimità di associazioni obbligatorie, cui una persona deve necessariamente far parte in ragione di una determinata attività che esercita. Infatti la Corte Costituzionale ha ammesso che l’esistenza di associazioni  coattive non contrasta con la libertà tutelata nell’art. 18Cost. qualora l’obbligo di associarsi, da un lato, risulti lo strumento più idoneo per attuare determinate finalità pubbliche, e dall’altro lato, non pregiudica altre libertà, diritti e principi costituzionalmente garantiti. Cfr. Rolla G., La tutela costituzionale dei diritti, Milano 2003, p. 75 ss.

[46] Identificano viceversa il profilo della libertà con quello dell’autonomia, da ultimo Leondini G., Le associazioni tra autonomia privata e controlli pubblici : prospettive di riforma e principi costituzionali,  Padova 2005, Levi G., Le formazioni sociali, Milano 1999, p. 88 ss., deducendone conseguentemente che nelle associazioni non riconosciute gli accordi degli associati non incontrino alcun limite, se non quelli discendenti dalla riserva di legge penale di cui all’art. 18 Cost.

[47] Molto raramente la dottrina che si è occupata della ricostruzione del diritto di associazione si è soffermata sulle implicazioni discendenti da un’interpretazione sistematica coinvolgente le disposizioni menzionate e in particolare l’art. 20 Cost. Cfr. Guzzetta, op. cit. 234 ss.

[48] Guzzetta G., Considerazioni sui rapporti tra libertà di associazione, potere delle confessioni religiose acattoliche e diritti dei fedeli alla tutela giurisdizionale, in Dir. soc. 1999, p. 64 ss.

[49] In generale nel senso che dall’art. 20 Cost. si possono trarre a contrario argomenti per giustificare limitazioni nel trattamento giuridico delle associazioni. Cfr. infatti Pace A., Problematica delle liberta costituzionali: lezioni, Padova 1983, p. 365 ss.

[50] In tali casi allora, non si può affermare che le associazioni siano prese in considerazione come meri fatti esplicativi del diritto dei singoli di associarsi, ma che esse possano aspirare ad un riconoscimento dell’ordinamento a sua volta differentemente graduabile ai fini della partecipazione in forma associata al commercio giuridico. Ed in funzione di ciò possono variamente venire disciplinate dal diritto nell’organizzazione e nell’attività. Uno spunto in questo senso si può forse trarre indirettamente, da quanto Esposito C., La Costituzione italiana: saggi Padova 1954, p. 159 afferma con riferimento alla libertà di organizzazione sindacale a proposito della quale a differenza della libertà associativa la Cost. assicura che il raggiungimento delle finalità giuridiche cui tendono le associazioni sindacali non p subordinato alla conformità della singola associazione a tipi o fattispecie legali . Sembrerebbe cioè che la disciplina legale dei tipi associativi valga anche in funzione delle finalità giuridiche cui tendono le associazioni. Cfr. Guzzetta G. op. cit.190 ss.

[51] In questo senso esattamente Abbamonte C., Libertà costituzionali, p. 815.

[52] Nel senso ad esempio che la disposizione non si limiti agli enti dotati di personalità giuridica: Finocchiaro F., Uguaglianza giuridica e fattore religioso, Milano 1958, p. 149 Id. Commento all’art. 20 in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Bologna 1977, p. 307 ss., Catalano G., Osservazioni sull’art. 20 della Costituzione, in Studi in onore di G. Zingoli, Milano 1965, II, p. 133.

[53] Sul punto Mazzotti Di Celso M., Lezioni, II, p. 300.

[54] Il che contemporaneamente comporta rilevantissime conseguenze ermeneutiche. La prima è che, per imporre vincoli alle associazioni di quest’ultimo tipo il legislatore potrà intervenire solo generalizzando le restrizioni. Solo in tal modo, infatti le limitazioni gravanti anche sulle associazioni religiose potranno considerarsi legittime, in quanto per definizione non speciali. Per converso appare evidente che, facendo sempre uso dell’interpretazione a contrario non è deducibile che, speciali limitazioni possano legittimamente assegnarsi a gruppi associati diversi da quelli a carattere religioso. Infine non va sottovalutata la circostanza che il riferimento alla specialità venga in rilievo solo relativamente alle limitazioni cosicché non può escludersi la legittimità di speciali disposizioni in favore. In questo senso Finocchiaro F., Uguaglianza giuridica, p. 147 Id. Commento all’art. 20 in Commentario della Costituzione, p. 308, Catalano G., Osservazioni sull’art. 20, p. 133 ss.

[55] Guzzetta G. op. cit. 151 ss.

[56] La problematica sottesa alle due questioni si pone dunque nei seguenti termini: una volta ammesso che le associazioni religiose costituiscono per scelta positiva una categoria a se, in che misura la Costituzione prevede o consente discriminazioni nel regime dell’una e dell’altra associazione religiosa? Ed in che misura prevede, o di elevare, la natura dei fini perseguiti o gli interessi al cui soddisfacimento sono rivolti gruppi associativi non religiosi a criterio per la discriminazione per tipi e tra tipi? Va innanzitutto ribadito che la problematica si pone in termini di concreta rilevanza soprattutto in relazione al potere di associazione. La ricostruzione della struttura della correlativa libertà consente di concludere che attesa l’ampiezza con la quale l’art. 18 Cost. tutela tale diritto e fatta eccezione, ovviamente per le associazioni non costituzionalmente garantite discriminazioni tra fini sociali e tra fenomeni associativi che si svolgono sul piano del meramente lecito in tanto sono ammissibili in quanto ad essi si riesca a trovare un esplicito fondamento costituzionale. È evidente infatti che al di la della delimitazione soggettiva ai soli cittadini, la circostanza che la garanzia del diritto di libertà sia intermente ed esaustivamente definita già al livello costituzionale, impedisce che si possano introdurre criteri di discriminazione nel godimento del diritto di libertà ulteriori rispetto a quelli eventualmente desumibili dalle norme della Carta. Cfr. Guzzetta G op. cit. 153 ss.

[57] A tal proposito si possono elencare l’art. 39 Cost. con riferimento ai sindacati, l’art. 49 Cost. con riferimento ai partiti politici, ma anche gli art. 29 ss. Cost. con riferimento alla famiglia. L’art. 33 Cost. con riferimento all’associarsi  nell’insegnamento (in base ad una iniziativa privata o pubblica) gli art. 41,42,43 e 44 Cost., con riferimento alle associazioni in ambito economico e patrimoniale, ed in particolare, oltre che riguardo alla proprietà ed all’iniziativa privata, l’art. 45 Cost. con riferimento alla cooperazione, l’art. 46 Cost. con riferimento all’associazione tra imprenditori e lavoratori; al 47 Cost. con riferimento ai gruppi parlamentari.

[58] Sul problema tra gli altri Barile P., Associazioni, op. cit. 842, Mortati C., Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1991, II, p. 161, Pace A., Commento, op. cit. 205 ss. Id. Problematiche, op. cit.365. Nonché anche con riferimento alle politiche di promozione dell’associazione, Rigano F., La liberta assistita: associazionismo privato e sostegno pubblico nel sistema costituzionale,  Padova 1995, p. 10 ss., Leondini G., Associazioni private, op. cit. p. 195 ss. Ed ancora sul problema dei principio di uguaglianza alle associazioni cfr. Paladin L., Il principio di uguaglianza, Milano 1965, p. 210, Rossano C., L’uguaglianza giuridica nell’ordinamento costituzionale, Napoli, 1966, p. 403 ss. Reposo A., Uguaglianza costituzionale e persone giuridiche, in Riv trim. dir. pubbl., 1973, p. 360 ss. Rigano F., La libertà, op. cit. 10 ss, Nigro M., Formazioni sociali, poteri privati e libertà del terzo, in Pol. Dir. 1975, p. 579 ss.

[59] Sembra evidente che la questione si pone in termini diversi nel caso in cui un mezzo sia così necessariamente connesso con la libertà da costituirne l’unico modo di realizzazione. La conclusione è accolta seppure indirettamente per ciò che riguarda la libertà di associazione da C cost. sent. N. 2/1957 ed espressamente in sent. N. 12/1972. sul punto seppure con un’argomentazione sensibilmente modificata e piuttosto dubbia C. cost. sent. 50/1975.

[60] Così Pace A., La libertà di riunione, op. cit. 69 il quale cita C. cost. sent. 6/1962.

[61] Per analoghe conclusioni sul rapporto tra libertà e mezzi in generale, e con riferimento agli art 17 e 18 Cost. cfr. Pace A., La libertà di riunione, op. cit. 69 Id. Il nome delle associazioni e l’art. 18 della Costituzione, in Giur. Cost. 1971, p. 1459; ma già Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero, op.cit. 23 ss. con riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero, dove l’autore afferma che l’essenza di questa libertà non è che il singolo abbia la possibilità di uso dei mezzi di diffusione del pensiero, ma che egli possa liberamente manifestare ciò che pensa con i mezzi a propria disposizione. Nello stesso senso, ancora, Mazotti Di Celso M., Lezioni,II op. cit. 274 con riferimento alla libertà di comunicazione.

[62] Guzzetta G., op. cit. p. 211 ss.

[63] E dunque tanto per fare un esempio, non sembra che, a prescindere dalle disposizioni di cui agli artt. 12 ss. e 36 ss., la pretesa di regolare eventuali rapporti  patrimoniali tra gli associati con lo strumento di un contratto plurilaterale atipico potrebbe venir negata in base all’assunzione di un difetto di meritevolezza degli interessi ad esso sottesi, ed a prescindere da una disamina degli ulteriori problemi applicativi legati all’art. 1322, comma 2 c.c. In tal senso v. Basile M., L’intervento, op. cit. 196, Contra Bianca C.M., La norma giuridica, Milano 2002 p. 351. Ed ancora se si ritiene che la distinzione tra riconoscimento della libertà e garanzia dei mezzi, non valga a negare che dal primo si possano trarre prescrizioni indicative mirante a far si che la disciplina dei mezzi sia quanto più è possibile conforme o adeguata al raggiungimento del fine, e che l’interpretazione di altre disposizioni costituzionali, tra cui l’art. 3 comma 2, debba essere nel senso che alle autorità è imposto di operare positivamente perché i mezzi siano adeguati al fine, se ne deve desumere che l’art. 18 Cost. compia qualcosa in più che un mero rinvio al legislatore per la tutela dell’autonomia associativa. Cfr. Esposito C., La libertà di manifestazione del pensiero, op. cit. 24 e 25. Ma al di la di tale constatazione, però, non sembra possibile andare ed in particolare (se si escludono appunto le indicazioni direttive desumibili dall’art. 18 Cost. e quelle ricavabili implicitamente dall’interpretazione dell’art. 20 Cost.)  non sembrano potersi contestare in via generale eventuali scelte legislative miranti a condizionare l’assetto organizzativo dei rapporti tra gli associati o a modulare variamente la capacità giuridica delle associazioni ed ogni altra forma di attività di queste. Cfr. Guzzetta G., op. cit. p. 220 ss.

[64] Il discorso potrebbe valere in maniera evidente per le associazioni riconosciute, e ancor di più, per gli enti di fatto, che anche storicamente sono stati disciplinati per consentire la realizzazione delle più varie finalità associative, anche estranea all’area dei tradizionali rapporti economici-patrimoniali di cui prevalentemente si occupa l’ordinamento civilistico. Cfr Guzzetta G., op cit. p. 231 ss.

[65] Con la conclusione, che in materia di organizzazione dell’associazione, il principio di autonomia privata  riconosciuto anche dall’art. 41 Cost.  – è destinato a dominare incontrastato (così Barile P., Diritti dell’uomo, Bologna 2000, p. 198 ss.) o con quella secondo cui le norme che impediscono (cfr.  art. 600 e 785 c.c. anche se derogati, relativamente alle Organizzazioni di volontariato, dalla l. 11 agosto 1991, n. 266) alle associazioni non riconosciute ricevere lasciti o donazioni così come quelle di cui all’art. 17 c.c. (ora abrogato dall’art. 13 della l. 15 maggio 1997, n. 127) che prevedevano che le persone giuridiche non potessero acquistare immobili ne accettare donazioni o eredità senza autorizzazione governativa, (sarebbero state in contrasto o) contrasterebbero con l’art. 18 Cost. così Pizzorusso A., Diritto di associazione e riconoscimento governativo, in Quale Giustizia, 1970, 2, p. 84 ss.

[66] Sul problema ad es., Basile M., L’intervento dei giudici, op. cit. 205 ss. Rossi E., Le formazioni sociali nella Costituzione italiana, Padova 1989, p. 172 ss.

[67] Su tali problemi oltre agli autori già citati, tra i tanti Spinelli M., I diritti dell’individuo nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, in Riv. dir. civ. 1987, p. 288 ss. Santaroni D., Invalidità delle delibere di associazioni, Padova 1992, p. 589 ss. Vincenzi.- Amato G. Associazioni e tutela dei singoli : una ricerca comparata, Napoli – 1984, p. 400.

[68] In base alla quale non sarebbe possibile impedire l’adesione a chi lo richiedesse. In senso positivo Galgano F., Delle persone e della famiglia, Comm. Cod. civ. diretto da Scialoja e Branca, Bologna 1967, sub artt. 36-38-48 ma contra con le motivazioni accolte anche nel testo Cfr. Pcae A., Commento, op. cit. 197 ss.

[69]  Sul punto Barile P., Diritti dell’uomo, op.cit. 198 ss.

[70] Per tale dibattito cfr. Pace A., Commento, op.cit. 214.

[71] In questo senso ad es. Consiglio di Stato, sez. I , 17 maggio 1972, n. 72, in Cons, Stato, 1960, I, p. 2209.

[72] In senso positivo, Spinelli M., I diritti dell’individuo, op. cit. p. 297. Per una più corretta impostazione del problema cfr. Pace A., Commento, op. cit. p. 223.

[73] Cfr. in questo senso Santaroni M., Associazioni, op. cit p. 589 ss.

[74] Per una esemplificazione del problema anche Pace A., Commento all’art. 18, op. cit. p. 228 ss.

[75] Sul problema ad esempio Rossi E., Le formazioni sociali, op. cit. p. 148 ss.

[76] Del problema dei rapporti e dell’integrazione tra disciplina dettata per le persone giuridiche e quella relativa agli enti di fatto si è occupata grandissima parte della dottrina: in particolare cfr. Ferrara F., in Trattato di diritto civile redatto da diversi giureconsulti sotto la direzione di F. Vassali vol. II, t. 2°, Torino, 1958, p. 410 ss. Galgano F., Delle associazioni non riconosciute e dei comitati: art. 36-42 Bologna Roma, 1976, p. 177 ss., Basile M., L’intervento, op. cit. p. 173. Nonché anche per altre indicazioni di dottrina e giurisprudenza cfr. De Giorgi M.V. In tema di delibere di associazioni non riconosciute, in Giur. It. 1974,I, p. 793 ss e Id. La tutela del singolo nelle formazioni sociali, p. 194 ss., D’Alonzo A., La tutela del singolo nella vita delle associazioni non riconosciute, in Alpa F., Bessone M., Boneschi L.M, Caiazza G.D.(a cura di), L’informazione e i diritti della persona, p. 212 ed infine Eroli M., Le associazioni non riconosciute, Napoli 1990 p. 108 ss., nonché Fusaro A., L’associazione non riconosciuta modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova 1991, p. 167 ss. Sull’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente che propende per l’applicazione diretta alle associazioni non riconosciute delle disposizioni dettate per quelle riconosciute cfr. ad esempio Cass. 10 aprile 1990, n. 2983, Cass. sez. un. 25 marzo 1986, n. 2101 in Foro It., 1986, I, p. 2511 ss. Per una efficace e breve sintesi del problema e delle implicazioni, anche Vincenzi-Amato D., Associazioni, op. cit. p.399 ss.

[77] Cfr. Guzzetta G., op. cit. p. 287 ss.

[78] A tal proposito ad esempio la garanzia dei terzi che entrino in rapporto con le associazioni, una chiara imputazione delle responsabilità interne, meccanismi decisionali adeguatamente celeri e trasparenti, una tutela dei contraenti più deboli rispetto al rischio di ingiustificate esclusioni, uno sfavore verso determinati assetti patrimoniali non produttivi. Per un ordine di pensiero che sembrerebbe non dissimile, in relazione ai poteri governativi in tema di riconoscimento della personalità giuridica delle associazioni cfr. Ridola A, Democrazia pluralistica e liberta associative, Milano 1987 , p. 213 e ss. Non si può dimenticare, peraltro, che almeno alcuni degli interessi della cui tutela si parla non sono privi di pregio costituzionale. Sul rilievo degli artt. 41 e 42 Cost., per giustificare limitazioni dell’autonomia associativa cfr. Pace A., Problematiche, op. cit. p. 358 ss., il quale, peraltro giustifica possibili limitazioni anche in relazione al dovere di solidarietà politica, economica, e sociale, di cui all’art. 2 Cost. Il che, però se si parte dal presupposto che anche il potere di associazione sia garantito dall’art. 18 Cost, rischia di vanificare la consistenza della relativa garanzia.

[79] Cfr. per la dimostrazione di tale tesi Guzzetta G., Considerazioni sui rapporti tra libertà di associazione, op. cit. p. 70 ss.

[80] Il che costituisce conclusione diversa da quella che porta come conseguenza costituzionalmente necessaria a ritenere (peraltro molto coerentemente con una premessa che non distingue tra libertà e potere di associazione) che gli artt. 23 e 24, nella misura in cui rispettivamente prescrivono l’annullabilità delle delibere assembleari per contrasto con norme di legga a carattere limitativo, con l’ordine pubblico e con il buon costume e subordinato al requisito dei gravi motivi l’esclusione degli associati sono incompatibili con la libertà e l’autonomia associativa così Basile M., L’intervento, op. cit. p. 205 ss. Va aggiunto che si può d’altra parte apprezzare in sede di constatazione di fatto, quantomeno nella prospettiva dell’interpretazione costituzionale l’orientamento giurisprudenziale e legislativo volto ad attenuare sempre di più il carattere rigido e cogente di alcune soluzioni del 1942 ed una maggiore apertura alle soluzioni derogatorie della disciplina generale assunte in sede di autonomia. Si tratta di una conclusione largamente accolta dalla più recente dottrina civilistica. Sul alcune più recenti tendenze Basile M., Associazioni, fondazioni, comitati, Padova  1994 p. 214 ss.

[81] Si possono a questo proposito condividere, le considerazioni di Barile P., Associazioni, op. cit. p. 844. Inoltre va ribadito che va respinto l’argomento secondo cui la teoria dell’onere intesa nel senso che attraverso l’adesione ad una associazione, l’associato può essere limitato nei propri diritti, anche in quanto associato, ad opera di disposizione di legge ordinaria, finirebbe per consegnare il diritto di associazione nelle mani del legislatore ordinario libero di trasformare il principio dell’onere in un capestro capace di notevolmente affievolire il contenuto del diritto costituzionale garantito dall’art. 18 Cost. Tale tesi va respinta sulla base della considerazione che, a differenza di quanto non faccia per la relativa libertà, l’art. 18 Cost. non tutela se non indirettamente e strumentalmente l’autonomia associativa. Cfr. Rossi E., Le formazioni sociali, op.cit. p. 174 ss.

[82] Con riferimento agli artt. 29 Cost. , si può infatti ricordare come la Costituzione accordi preferenza ad un concetto di famiglia che appare più ristretto di quello desumibile dalla legislazione sub-costituzionale e non esaurisca le tipologie di unioni consimili tutelate dal diritto. Ma mentre queste ultime risultano costituzionalmente garantite solo e nei limiti in cui possono farsi rientrare nella previsione dell’art. 18 Cost., la prima ottiene una disciplina anche sul piano del possibile giuridico. Ciò è confermato dal fatto che la famiglia di cui all’art. 29 Cost. si costituisce con il matrimonio, cioè con un accordo il quale produce una serie di rapporti e vincoli giuridici reciproci tra i coniugi, una serie di diritti e doveri regolati dall’ordinamento, rilevanti, con la conseguenza tra l’altro, di rendere taluni dei diritti individuali dei coniugi funzionali all’interesse familiare, e conseguentemente garantiti nei limiti di esso,. Cosicché per tale istituto si rende evidente la presenza di un riconoscimento sia della dimensione materiale dell’esperienza familiare che di quella giuridica. E che la famiglia sia fenomeno che si realizza sul piano del lecito ancor prima che su quello del possibile è dimostrato proprio dal riferimento alla sua naturalità che lungi dall’evitare richiami giusnaturalistici, ne sottolinea il carattere  sociale più che giuridico. Cfr.Grossi P. La famiglia, Bologna 1974 p. 12 Id. Spunti problematici, Parma 2003 p. 25 ss., Esposito C., Famiglia e figli, nella Costituzione italiana, Napoli 1970, p. 136 ss. Guzzetta G., op. cit. p. 233 ss..In giurisprudenza cfr. C. cost., sent. 45/1980, punto 4 del “considerato in diritto”.

[83] In questo senso per tutti Esposito C., I partiti nella Costituzione italiana, in La Costituzione italiana, op. cit. p. 235 ss. Crisafulli V., I partiti nella Costituzione, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, Firenze, 1969, p 130 ss. Ma anche ad esempio Zanzucchi M., La libertà di associazione, Napoli 1984, p. 498, Contra tra i tanti Barile P., Diritti dell’uomo, op. cit. p. 198 ss.

[84] Barile P., voce Associazione (diritto di ) in Enc.del dir. , p. 849.

[85] Il problema è analogo a quello delle riunioni armate e delle riunioni politiche con estranei o partecipanti armati. Sul punto c. sub art. 17 n. 3 p. 162 e n. 6 p. 174 Cfr. sul punto Palazzo F., Associazioni illecite ed illeciti delle associazioni, in Riv. it. Dir. e proc. Pen., 1976, p. 418 ss., Flora G., Libertà di riunione e delitti di massa, in Riv. it. Dir. e proc. Pen., 1976, p. 471, nonché Conso G., Formazioni sociali e giustizia penale, in Riv. it. Dir. e proc. Pen., 1976, p. 13 ss. Per la disamina dei problemi degli illeciti delle associazioni e delle implicazioni che su di esso derivano dal principio costituzionale della personalità della responsabilità penale si rinvia a Guzzetta G., op. cit. p. 265 ss.

[86] Di Ciolo A., Questioni in tema di decreto legge, Milano – 1970 p. 249.

[87] V. Azioni a tutela di interessi collettivi; Tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato, nonché la relazione di Cappelletti M., al Convegno su Libertà fondamentali e formazioni sociali: Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia civile in Riv. dir. proc., 1975, p. 361 ss.

[88] Così Tonini P., Le associazioni nel processo penale, in Riv. trim. dir. pubbl. 1976, p. 1447 ss.

[89] Appare significativa, a riguardo la vicenda dell’art. 2 disp.att. cos. Proc. Pen. e della sua introduzione per volere del Guardasigilli Rocco, il quale affermava che: “in uno Stato ben ordinato, qual è lo Stato fascista, non può ammettersi la sovrapposizione o la interferenza di elementi diversi  in una funzione così delicata e importante, qual è quella dell’esercizio dell’azione penale” Cfr. Grosso G., Formazioni sociali, op.cit. p. 17 sse Tonini P., Le associazioni nel processo penale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 1445.

[90] Opinare diversamente : ritenere cioè che la tutela di un interesse c.d. diffuso possa essere perseguita anche giudizialmente da un’associazione solo ed in quanto quell’interesse abbia rilievo pubblico,e l’associazione abbia personalità giuridica è un’affermazione che si presta a un triplice ordine di censure: innanzitutto perché è impossibile differenziare nettamente ciò che è privato da ciò che è pubblico; in secondo luogo perché non p corretto sostenere che gli interessi pubblici possano essere perseguiti solo da enti pubblici o da associazioni riconosciute infine e pur nell’ambito della tutela di un medesimo interesse perché è costituzionalmente illeggittimo privilegiare la posizione processuale di un’associazione riconosciuta rispetto a quella di un’associazione di fatto, nei limiti in cui questa possiede soggettività giuridica. In questo senso vedi la nota sentenza sulla legittimazione processuale di Italia Nostra: Cons. Stato sez. V,, 9 mazzo 1973, n. 253, in Foro Amm., 1973, I, p. 262 ss.

[91] In questo senso con accentuazioni e conseguenze diverse Zanzucchi A., La libertà di associazione secondo la nuova Costituzione, in Studi in onore di Cicu, Milano 1951, p. 494 ss., Cheli E., Libertà di associazione, Milano 1980 p. 303, un accenno anche in Smuraglia C., Gruppi sociali e pubblici poteri, in Dem. Dir. 1967, p. 404, Basso L., Il partito nell’ordinamento democratico italiano, in Isle, Indagini sul partito politico, Milano 1966, p. 122, Mnacini F., Il contropotere dei giudici: contenuto e limiti, in Pol. Dir. 1972, p. 373. Per l’accentuazione di questa tendenza rispetto a partiti e sindacati, Ridola P., Diritti di liberta e costituzionalismo Torino 1997, p. 396 ss.

[92] Barbera A., Commento, op. cit. p. 115 ss.

[93] Cfr. infatti gli artt. 68 e 122 Cost. a proposito delle immunità dei parlamentari e dei consiglieri regionali.

[94] Sui problemi della legittimità costituzionale della c.d. “giustizia domestica” delle Camere – non risolti da C. Cost. sent. N. 154 del 1985- cfr. più di recente Mazzoni Honorati  M.L., Osservazioni su alcune discusse prerogative parlamentari: l’autonomia contabile e la giustizia domestica, Milano 1987, p. 61 ss., Midiri N., Organi costituzionali e giurisdizione (nota su una prerogativa controversa:l’autodichia), in Giur. Cost. 1989, II, p. 32

[95] Ma per tutti i problemi di coordinamento tra concetto di formazione sociale e quello di associazione v. Nigro M., Formazioni sociali, op. cit p. 599

[96] Tanto che, a proposito dei possibili riflessi dello sviluppo dei fenomeni collettivi negli ordinamenti contemporanei sulle posizioni giuridiche di coloro che rimangono estranei o esclusi da essi, tra le soluzioni suggerite per mitigarne gli effetti negativi, si è proposta una più rigorosa sottoposizione delle formazioni sociali alla rule of law, considerando ciò utile anche a riaprire le vie della circolazione sociale.

[97] Nigro M., Formazioni sociali, op. cit p. 599

[98] Mortati C., Note introduttive, op. cit. 1580

[99] Sul rilievo del profilo identitario vari spunti in Ridola P. Democrazia pluralistica, op.cit. p.  227.

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