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Distinzione tra pensione privilegiata ed equo indennizzo

1 Definizione di pensione privilegiata, soggetti destinatari di tale trattamento pensionistico  e presupposti per la sua concessione.

La pensione privilegiata ordinaria[1] consiste nel particolare diritto soggettivo, con contenuto patrimoniale, che sorge in capo ad un soggetto all’atto della cessazione del rapporto di impiego, quando causa della sua risoluzione sia un’inabilità causata da eventi di servizio di natura ed entità tali da rendere il dipendente del tutto inabile  a continuarlo o, per una determinata categoria di dipendenti (militari ed equiparati, art. 67 d.p.r. n. 1092/1973), da renderlo parzialmente inabile, con possibilità, quindi, di continuare lo svolgimento del rapporto di lavoro[2].

Il trattamento pensionistico privilegiato si fonda sulla menomazione inabilitante[3], causa unica della risoluzione del rapporto di lavoro.In conformità all’accertamento sanitario di inidoneità assoluta a qualsiasi impiego e mansione, l’amministrazione procede, entro 30 giorni dalla ricezione del verbale della commissione medica, alla risoluzione del rapporto di lavoro e all’adozione degli atti necessari per la concessione di trattamenti pensionistici alle condizioni previste dalle vigenti disposizioni in materia; esso presuppone solo l’instaurazione, di fatto o di diritto, del rapporto di servizio, prescindendosi da limiti di tempo[4].

Per questo si distingue da quello normale, che presuppone che il rapporto di servizio si sia svolto almeno per un periodo di tempo minimo (nel sistema a ripartizione – art. 42 D.P.R. n. 1092/1973) o che vi sia stata una contribuzione minima[5] ( nel sistema contributivo – art. 1 legge n. 335/1995).

Destinatari della pensione privilegiata ( così come dell’equo indennizzo, della causa di servizio) sono esclusivamente i dipendenti i quali instaurano, con il pubblico potere, un rapporto di “lavoro” a tempo indeterminato ( c.d. dipendenti di ruolo); non sono presi in considerazione i dipendenti con contratto di lavoro diverso (a tempo determinato, di fornitura di lavoro temporaneo, di formazione e lavoro), i quali sono assicurati presso l’INAIL , per gli infortuni sul lavoro[6], e presso l’INPS per le infermità e lesioni inabilitanti anche a causa di servizio.

Di conseguenza , per questi dipendenti, il contenzioso relativo alle situazioni in esame, rientra nella giurisdizione del giudice civile ordinario. Il pensionamento privilegiato può essere speciale od ordinario; il primo presuppone una menomazione dell’integrità personale dovuta a causa violenta, di per se estranea alla normale logica di svolgimento del rapporto di servizio, ma ad esso, sia pure indirettamente, riconducibile; il secondo trova il suo fondamento nell’adempimento dei normali obblighi connessi al rapporto di servizio.

Per poter ottenere la pensione privilegiata ordinaria, oltre al presupposto del rapporto di impiego, il richiedente deve: a) aver ottenuto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio[7] di

un’infermità ascrivibile alla tabella A[8] annessa alla legge 313/68 e successive modificazioni anche avendo maturato il diritto al pensionamento per raggiunti limiti d’età[9], purchè venga riconosciuto inabile, anche ex post, al momento del pensionamento; b) oppure essere stato riconosciuto inabile al servizio per infermità/ lesione dipendente da causa di servizio, anche senza aver maturato il minimo del trattamento pensionistico e cioè deve aver visto venir meno l’attitudine al lavoro specifico e quindi essere divenuto assolutamente incapace, per causa o concausa di servizio, allo svolgimento della propria attività lavorativa intesa nelle sue diverse mansioni ed applicazioni, a nulla rilevando il fatto che lo stesso sia stato nel frattempo adibito a mansioni diverse al di fuori della precedente applicazione lavorativa; l’inabilità, come già detto, deve essere stata determinata da fatti di servizio.

Nel caso in cui l’inabilità sia dovuta ad infermità o lesione che, all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro , non siano state ancora riconosciute come dipendenti da causa di servizio, l’interessato, entro cinque anni dalla cessazione del rapporto può chiedere  che si proceda a tale riconoscimento[10]; se invece, in costanza di rapporto di servizio, vi è stata constatazione dell’infermità inabilitante e riconoscimento della dipendenza da causa o concausa efficiente e determinante[11] di servizio, il pensionamento può essere richiesto oltre il limite quinquennale[12], anche dagli aventi diritto, in caso di decesso dell’interessato , se, però, la morte sia stata diretta evoluzione patologica dell’infermità stessa .

Il termine è perentorio ; è elevato a dieci anni se l’invalidità è derivata da parkinsonismo[13]; per gli incapaci di agire, è sospeso per il periodo di durata dello stato di incapacità ad agire[14], purchè la sentenza di interdizione del tribunale, indispensabile affinchè possa operare la sospensione , sia avvenuta nel periodo decadenziale quinquennale.

Il trattamento pensionistico privilegiato per i dipendenti civili e militari dello Stato è stato poi esteso anche ai lavoratori privati sottoposti ad assicurazione previdenziale obbligatoria, con la l. 21-7-1965, n. 903 , art. 12, e quindi con la legge 12- 6 1984, n. 222 (art. 6); gli assicurati hanno diritto all’assegno privilegiato ( diretto) di invalidità od alla pensione privilegiata ( diretta) di inabilità (reversibile ai superstiti), anche in assenza dei requisiti minimi di anzianità assicurativa e contributiva, qualora l’invalidità ( riduzione della capacità di lavoro, in occupazioni confacenti le proprie attitudini a meno di un terzo) ovvero l’inabilità ( assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa) risultino in rapporto causale diretto con finalità di servizio e sempre che dall’evento non derivi diritto a rendita a carico dell’INAIL , oppure a trattamenti continuativi a carattere assistenziale o previdenziale a carico dello Stato o di altri Enti pubblici.

I predetti lavoratori , inoltre, hanno diritto all’assegno ordinario di invalidità ed alla pensione ordinaria di inabilità ( artt. 1e 2, l. 222/84) anche in assenza di un rapporto causale tra l’invalidità/inabilità ed il servizio prestato: in tal caso, tuttavia, sono indispensabili precisi requisiti di anzianità contributiva.

Siffatti benefici economici non erano previsti per il dipendente pubblico nel senso che questi, in presenza di invalidità anche rilevanti, poteva contare solo due opportunità: o avere già all’attivo un congruo quantitativo di contributi, tale comunque da assicurargli un ordinario trattamento pensionistico di riposo; ovvero sperare che l’invalidità venisse riconosciuta dipendente da causa di servizio al fine di godere dei benefici legati al trattamento privilegiato. Non era invece previsto, a differenza che nel settore privato, il caso di un beneficio economico correlato ad un limitato periodo di contribuzione e ad invalidità non dipendente da causa di servizio.

Tale vuoto è stato colmato dal decreto del Ministero del Tesoro 8-5-1997, n. 187[15], emanato in attuazione dell’art. 2, comma 12, della l. 8-8-1995, n. 335[16].

2 Definizione di equo indennizzo e presupposti per la sua concessione.

La concessione dell’equo indennizzo[17] costituisce un peculiare beneficio economico che lo Stato riconosce all’impiegato il quale, per infermità o lesione contratta per causa di servizio, sia gravato da una perdita- menomazione, a carattere permanente,  della sua integrità psicofisica[18]. Si tratta quindi di un istituto giuridico distinto rispetto a quello della causa di servizio, richiedente una procedura a sé stante ma comunque subordinata all’avvenuto riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un’infermità o lesione.

Tale indennizzo è costituito dalla corresponsione di una somma di denaro una tantum commisurata alla retribuzione dell’avente diritto al momento della domanda amministrativa ed alla gravità della menomazione subita.

 In base a quanto espresso dalla Corte dei conti[19] , possiamo quindi affermare che l’equo indennizzo rappresenta un provvedimento di ristoro economico – e non previdenziale – che la pubblica amministrazione emana nei confronti del dipendente al quale , per servizio, sia derivata una menomazione della sua integrità fisico-psichica e ciò non sulla base del principio generale del neminem laedere – per il quale dovrebbe essere provata la colpa dell’amministrazione – bensì sulla base della protezione del rischio professionale che costituisce il fondamento giuridico delle assicurazioni sociali obbligatorie. Esso inoltre, deve essere considerato un istituto di carattere pubblicistico collegato con lo status di dipendente pubblico ed inteso non già a reintegrare il patrimonio danneggiato da un atto illecito, ma a compensare il dipendente stesso per la perdita dell’integrità psicofisica in conseguenza di causa di servizio e a prescindere da presupposti di responsabilità a titolo di colpa o dolo del datore di lavoro o di soggetti terzi rispetto al rapporto di pubblico impiego.

Da quanto espresso si comprende, pertanto, il perché del termine indennizzo piuttosto di risarcimento[20].

L’equo indennizzo è, dunque , concesso al dipendente che per infermità o lesione contratta o aggravata per causa di servizio, abbia subito una permanente menomazione dell’integrità psicofisica ascrivibile ad una delle categorie di cui alla tabella A o alla tabella B[21] annesse al D.P.R. 834/81 o alla normativa vigente all’epoca dei fatti in esame.

La concessione del beneficio economico è pertanto necessariamente subordinata al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle lesioni o infermità inducenti la menomazione per cui l’equo indennizzo viene richiesto.

Tale indennizzo, (il cui diritto si prescrive nell’ordinario termine decennale ex art. 2946 c.c.), è esente da gravami fiscali ( D.P.R. 29/9/1973, n. 597, e D.P.R. 22/12/1986, n. 917) ed è liquidato con specifico provvedimento emesso dall’amministrazione competente in base alla categoria di ascrivibilità della menomazione dell’integrità psicofisica: è comunque ridotto del 25% se l’interessato ha superato i 50 anni di età e del 50% se ha superato il 60° anno di età( art. 49, D.P.R. 686/57). L’età a cui fare riferimento è quella che il richiedente aveva al momento della stabilizzazione della menomazione . Tale data, assume dunque una rilevante importanza amministrativa e deve corrispondere alla concretizzazione degli esiti di infermità/lesione che , per ottenere la concessione dell’equo indennizzo, debbono essere ascrivibili al minimo indennizzabile e cioè alla tabella B di cui al D.P.R. 834/81 e successive modificazioni. Nei casi in cui non ci siano documenti certi circa l’epoca dell’insorgenza della menomazione , ci si riferirà alla data di presentazione della domanda, nella logica presunzione dell’esistenza, in tale periodo, della menomazione per la quale viene richiesto l’equo indennizzo, secondo prevalente giurisprudenza[22].

Oltre ai casi in cui non vi sia ancora una stabilizzazione clinica[23], la data di stabilizzazione non dovrà essere indicata anche nel caso in cui la menomazione non risulti ascrivibile ad alcuna tabella.

La ratio della riduzione dell’equo indennizzo in base all’età dell’avente diritto, è data dal fatto che l’anzianità è di per sé stessa un elemento inficiante la validità dell’individuo, e di conseguenza, la sua capacità lavorativa generica.

Ulteriore beneficio derivato dalla concessione dell’equo indennizzo[24] è  rappresentato per il solo personale in servizio, dall’ aumento ( ad esclusivi fini economici) di due anni dell’anzianità di servizio se la menomazione sia stata ascritta ad una delle prime sei categorie della tabella A e di un anno se è stata riconosciuta ascrivibile ad una delle ultime categorie. Coloro che, per menomazione ascritta  alla VII o VIII categoria, hanno beneficiato dell’aumento di anzianità di un anno e che per successivo aggravamento ottengono il passaggio ad una delle prime sei categorie, possono sempre richiedere la differenza di un anno di aumento dell’anzianità di servizio.

Non si ha diritto alla concessione dell’equo indennizzo nel caso in cui la menomazione dell’integrità psicofisica derivi da dolo o colpa grave del dipendente ( art. 58, D.P.R. 686/57)[25]; quest’ultima, tuttavia, “deve risultare accertata concretamente e adeguatamente”[26].

I presupposti per ottenere la concessione del beneficio dell’equo indennizzo, dunque, sono i seguenti : a) che il dipendente abbia riportato una infermità o lesione; b) che questa sia stata riconosciuta dipendente da causa o concausa di servizio[27]; c) che abbia prodotto una menomazione ascrivibile alla tabella B o alle categorie di tabella A e, se non prevista nelle tabelle di legge, sia comunque rapportabile per equivalenza o analogia ad una di quelle indicate; d) che la domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e la richiesta  di tale beneficio sia stata prodotta entro il termine semestrale[28] previsto dalla normativa; nel caso in cui la richiesta di equo indennizzo, non sia contestuale al riconoscimento della causa di servizio, ma è prodotta nel corso del procedimento di riconoscimento di causa di servizio, deve essere presentata nel termine di decadenza di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione della trasmissione degli atti al Comitato[29]; può anche essere presentata successivamente entro sei mesi dalla data della notifica o comunicazione del provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio ovvero entro sei mesi da quando si è verificata la menomazione in conseguenza dell’infermità o menomazione già riconosciuta dipendente da causa di servizio; può altresì essere prodotta anche quando la menomazione dell’integrità fisica si manifesta entro cinque anni dalla cessazione del rapporto di impiego, elevato a dieci anni per invalidità derivanti da infermità ad eziopatogenesi non definita o idiopatica.

La richiesta di equo indennizzo[30] può essere proposta dagli eredi del dipendente deceduto , anche se pensionato, entro sei mesi dal decesso.

3 Analogie e differenze tra pensione privilegiata ed equo indennizzo volte a giustificare il riparto di giurisdizione  tra Corte dei conti, da un lato, e TAR e giudice ordinario, dall’altro.

L’equo indennizzo costituisce un diritto patrimoniale sorto in costanza di attività lavorativa, e per questo motivo le controversie ad esso relative ricadono nella cognizione esclusiva del TAR o del giudice ordinario , in quanto giudici del rapporto di pubblico impiego.

 Esso,  ha natura retributiva,e non ha nulla a che vedere con il rapporto previdenziale[31]; prima dell’entrata in vigore del D.P.R.  n. 461/2001 si riteneva, per giurisprudenza costante, che erano devolute alla Corte dei Conti le controversie concernenti i dipendenti in attività di servizio,i quali intendevano far valere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità o lesione esclusivamente ai fini dell’eventuale futuro trattamento pensionistico privilegiato; mentre , a seconda dei casi, rientravano nella giurisdizione del giudice ordinario o amministrativo se il riconoscimento era finalizzato ad altri fini  (amministrativi e indennitari).

Con l’entrata in vigore del cit. D.P.R. , data l’unicità e definitività del riconoscimento della dipendenza ad ogni fine ( amministrativo, indennitario, previdenziale – art. 12 d.p.r. n. 461/2001[32] ), è da escludersi che, il dipendente in costanza di servizio,possa adire la Corte dei Conti; questo può avvenire soltanto nel caso in cui, cessato il rapporto di servizio, insorga controversia circa la dipendenza , in relazione alla quale, in servizio,non vi sia stata pronuncia ( positiva o negativa) al riguardo[33].

L’istituto dell’equo indennizzo presenta  innegabili analogie con quello della pensione ordinaria privilegiata, rientrante nella cognizione della Corte dei Conti quale giudice del rapporto pensionistico, poiché in entrambi i casi la legge richiede l’esistenza di un nesso eziologico tra l’evento invalidante riferibile al servizio e l’infermità invalidante.

L’uniformità procedimentale ed il rinvio alla disciplina espressamente prevista per l’attribuzione del privilegio pensionistico, hanno fatto ritenere che le controversie concernenti l’equo indennizzo dovessero seguire proprio il regime processuale della fattispecie richiamata, per cui il contenzioso circa la concessione dell’equo indennizzo sarebbe attratto nella giurisdizione della Corte dei Conti.

Però “queste concessioni non incidono sulla natura dei due istituti, , previdenziale per il rapporto pensionistico, risarcitoria o indennitaria[34] per l’equo indennizzo, che rimane diversa, e quindi non giustificano una deroga,   in ordine  al  primo, al criterio   regolatore   della   giurisdizione ( esclusiva del giudice amministrativo per i ricorsi proposti prima del 1° luglio 1998 e, successivamente a tale data, per quelli concernenti il personale non contrattualizzato e del giudice ordinario per gli altri dipendenti – quelli contrattualizzati).

L’equo indennizzo trova titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che le relative controversie sono devolute al giudice che ha giurisdizione sul rapporto medesimo[35], mentre la pensione privilegiata ordinaria presuppone la cessazione del rapporto d’impiego, essendo un istituto previdenziale che attribuisce un trattamento speciale di quiescenza.

Sussistono, per di più , differenze giuridiche di fondo che giustificano l’esistente riparto di giurisdizione.

Sotto il profilo funzionale, mentre la pensione privilegiata ordinaria assume generalmente lo scopo di garantire al pubblico dipendente quelle retribuzioni stipendiali che gli sarebbero spettate, ove non avesse dovuto interrompere l’attività lavorativa in ragione dell’infermità inabilitante contratta per causa di servizio, l’equo indennizzo si pone quale mero ristoro del pregiudizio fisico conseguente alle ragioni del servizio.

Per altro verso, l’infermità invalidante che dà luogo all’equo indennizzo, pur essendo permanente, non deve raggiungere un’entità tale da rendere il pubblico dipendente totalmente inabile al lavoro, impedendone così la prosecuzione del rapporto.

In altri termini la concessione dell’equo indennizzo non produce la cessazione del servizio per infermità fisica, come accade di regola nell’ipotesi di pensione ordinaria privilegiata, bensì consente la continuazione dello stesso.

  1. Cumulo tra equo indennizzo, da un lato, e pensione privilegiata, indennità una tantum , pensione ordinaria di invalidità a carico dell’INPS, dall’altro.

La pensione privilegiata e l’equo indennizzo hanno natura diversa: mentre  la pensione privilegiata ordinaria è un particolare diritto patrimoniale che sorge dalla cessazione del rapporto di lavoro per inabilità ( dipendenti civili) a causa di lesioni o infermità casualmente ricollegabili a fatti di servizio, l’equo indennizzo è una riparazione  (indennitaria) dei riflessi dannosi che la menomazione fisica  può avere nell’ulteriore vita di relazione dell’infortunato.

Ne consegue che l’avente diritto può ottenere il riconoscimento dell’equo indennizzo unitamente alla pensione privilegiata, essendo compatibili storicamente e logicamente[36].

Su questo  punto si è   molto  chiaramente   espressa la Corte dei   Conti[37]: “l’equo indennizzo trova il suo fondamento nella disciplina del rapporto di impiego ed è estraneo al trattamento di quiescenza sia normale che privilegiato col quale è in contrapposizione concettuale e teleologica, pur essendo con esso compatibile quando il dipendente interrompa la prestazione di servizio per effetto della menomazione”.

Se l’art. 68 T.U. n. 3 espressamente non lo afferma, nulla esso dice, per contro, che possa indurre a ritenere l’incompatibilità.

Peraltro nel regolamento approvato con D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, il cumulo dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata è espressamente riconosciuto dall’art. 50: “L’equo indennizzo è comunque ridotto della metà se si consegue anche il riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata”[38] .

La disposizione in questione, originariamente dettata per i dipendenti civili dello Stato[39], in seguito è stata estesa anche ai militari[40] e ai dipendenti degli enti locali e delle Unità sanitarie locali, stante l’espresso e totale rinvio fatto alla disciplina in atto per i dipendenti civili dello Stato dagli artt. 11 D.P.R. 1° giugno 1979 n. 191 e 49 D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761. La stessa conclusione vale anche per i dipendenti degli enti pubblici non economici, anche se l’art. 32 D.P.R. 26 maggio 1976 n. 411 non contiene alcun rinvio alla disciplina vigente per i dipendenti civili dello Stato, ma si tratta di circostanza ininfluente dopo la riforma realizzata dal D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461. Per detto personale, che agli effetti del trattamento pensionistico è iscritto all’INPS, assume rilievo agli effetti della decurtazione la titolarità della pensione privilegiata di invalidità per causa di servizio prevista dall’art. 12 l. 21 luglio 1965 n. 903[41].

Si tratta di norme che impongono all’amministrazione pubblica comportamenti vincolati e che non le lasciano spazi per valutazioni di ordine discrezionale, con la conseguenza che in sede applicativa non è configurabile un vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento.

È sorta questione se la limitazione di cui agli artt. 50, co. 1, cit. D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 e 3 cit. l. 23 dicembre 1970 n. 1094 debba trovare applicazione anche nel caso in cui un militare, per la medesima invalidità permanente, fruisca dell’equo indennizzo e, in luogo della pensione privilegiata, dell’ indennità una tantum prevista dall’art. 69 D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092.

La Corte dei conti[42] si è espressa in senso negativo sulla base di un duplice ordine di considerazioni, del tutto condivisibili: a)l’indennità una tantum si risolve nel pagamento in un’unica soluzione di una determinata somma all’atto della cessazione del servizio del militare e, pur rientrando nel quadro dei trattamenti privilegiati in quanto istituita anch’essa a ristoro di un’infermità o lesione dipendente da causa di servizio, non si identifica con la pensione privilegiata. Quest’ultima trova infatti il suo fondamento in infermità o lesioni che rendono inabile al servizio, si concretizza in un trattamento economico che viene erogato fino al decesso del suo titolare ed è trasferibile ai congiunti; b) in una materia tecnica, nella quale le locuzioni utilizzate hanno un preciso significato, il riferimento alla sola pensione privilegiata come presupposto per la riduzione alla metà dell’equo indennizzo è indice di una scelta consapevole e responsabile del legislatore,  con la conseguenza che è legittimo l’operato della pubblica Amministrazione che disponga il pagamento dell’equo indennizzo nella misura intera anche se il suo beneficiario, per la medesima patologia, ha già fruito dell’indennità una tantum.

È stata esclusa la possibilità di procedere alla decurtazione dell’importo dell’equo indennizzo anche nel caso in cui titolare della pensione privilegiata sia la vedova del pubblico dipendente deceduto per causa di servizio[43].

Si è giunti a tale conclusione facendo leva sia sulla lettera della norma, che considera solo l’ipotesi che titolare della pensione privilegiata sia il pubblico dipendente, sia sul presupposto che il legislatore avrebbe assunto a base di questa particolare disciplina, e cioè il confluire in un unico soggetto di due diritti di identica natura, originati da un unico evento, laddove la vedova percepisce le due prestazioni a titolo diverso, jure successionis l’equo indennizzo e jure proprio la pensione privilegiata[44].

Si tratta di una soluzione che lascia perplessi. Infatti la circostanza che la corresponsione delle due prestazioni avvenga a titoli diversi non vale a giustificare il risultato di dover riconoscere alla vedova, che subentra jure successionis nella posizione del de cuis, più di quanto quest’ultimo avrebbe avuto diritto di ricevere in vita.

Nel senso della non decurtabilità è ormai la consolidata giurisprudenza  della Corte dei conti[45] e del giudice amministrativo[46], delle cui conclusione l’interprete non può che prendere  atto.

Altro problema di cui ha avuto occasione di interessarsi la giurisprudenza è se la riduzione dell’equo indennizzo debba essere effettuata anche nel caso in cui il pubblico dipendente non percepisce la pensione privilegiata statale, ma la pensione ordinaria di invalidità a carico dell’INPS.

Il quesito è stato risolto in senso negativo argomentando sulla diversità dei presupposti che sono alla base delle due pensioni. Si è infatti osservato[47] che l’impiegato statale ha diritto di percepire la pensione privilegiata ove per le infermità contratte “per fatto di servizio” sia divenuto inabile al servizio, qualunque sia la sua età e la durata dell’impiego. La pensione dell’invalidità dell’INPS spetta, invece, agli impiegati la cui capacità di guadagno sia permanentemente ridotta a meno della metà per effetto di infermità o di difetto fisico o mentale, purchè sia trascorso un determinato periodo di tempo dall’inizio dell’assicurazione e siano stati versati i relativi contributi, ma indipendentemente dalla causa dell’infermità da cui è derivata la riduzione della capacità di guadagno.

Ai sensi degli artt. 60 D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, 43, co. 8, D.P.R. 27 marzo 1969 n. 130 e 144 D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, se il pubblico dipendente, al quale è stato liquidato l’equo indennizzo, ottiene successivamente, e per la stessa causa la pensione privilegiata, la metà dell’equo indennizzo già corrisposta deve essere recuperata mediante trattenute mensili sulla pensione di importo pari ad un decimo del suo ammontare.

La situazione tenuta presente dalla succitata normativa è quella del dipendente che abbia ottenuto la liquidazione dell’equo indennizzo in costanza di rapporto di impiego e che successivamente, per la stessa causa, venga collocato a riposo con diritto alla pensione privilegiata. Ma detta normativa è stata ritenuta applicabile anche nel caso di equo indennizzo liquidato dopo il collocamento a riposo, ma prima della concessione della pensione privilegiata; verificandosi tale evenienza si è ritenuto che l’equo indennizzo debba essere corrisposto per intero, con successivo recupero della sua metà mediante trattenute mensili sulla pensione all’atto dell’effettiva corresponsione di quest’ultima[48].

Il recupero deve avvenire anche quando l’ammontare della pensione privilegiata, essendo il pubblico dipendente cessato dal servizio con quarant’anni di anzianità lavorativa, è pari a quello della pensione di vecchiaia.

A tale conclusione si è giunti[49] nella considerazione che: a)la pensione privilegiata non si consegue d’ufficio, ma su istanza dell’interessato e sulla base di una sua libera e consapevole scelta, anche in vista delle provvidenze accessorie che nella titolarità della pensione privilegiata trovano il loro presupposto; b) per effetto del riconoscimento della suddetta pensione muta, per il soggetto avente diritto alla pensione di vecchiaia, il titolo per il conseguimento del trattamento pensionistico, anche se l’importo dei due trattamenti è identico; c) il trattamento privilegiato comporta l’attribuzione al titolare di ulteriori prestazioni, pensionistiche e non.

4.1 Ragioni volte a giustificare la non cumulabilità dell’equo indennizzo con l’indennizzo INAIL .

Con riferimento ai soli dipendenti degli enti locali è sorta questione se l’equo indennizzo possa ritenersi cumulabile con la rendita INAIL ai sensi degli artt. 66 e ss. D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124[50], in caso di infortunio sul lavoro occorso o di malattia professionale contratta da lavoratori presso di esso obbligatoriamente assicurati contro i rischi del lavoro, stante il disposto dell’art. 50, co. 2, D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, per il quale va dedotto dall’equo indennizzo quanto eventualmente percepito dal pubblico dipendente in virtù di assicurazione a carico dello Stato o altre pubbliche amministrazioni.

In effetti il problema si è posto dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 1° giugno 1979 n. 191, il quale dispone, al primo comma, che “ nel caso che all’infortunio o alla malattia contratta per causa di servizio residui un’invalidità permanente,parziale o totale, l’Ente liquiderà al dipendente una rendita vitalizia nella misura e con le modalità stabilite dalla legislazione relativa all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, e al 3° comma aggiunge che “ ai lavoratori interessati si applica la disciplina dell’equo indennizzo di cui all’art. 68 t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 e del relativo regolamento approvato con D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686, e successive modificazioni e integrazioni”.

Tranne qualche iniziale incertezza[51] la giurisprudenza dei giudici di primo grado ha concluso nel senso della incumulabilità delle due prestazioni, equo indennizzo e rendita, in quanto aventi lo stesso fondamento, lo stesso titolo e la medesima funzione[52].

Alla stessa conclusione, ma con motivazione più forte è giunto anche il giudice di appello[53], per il quale l’art. 11 D.P.R. 1° giugno 1979 n. 191, nella parte in cui dispone che l’ente locale deve liquidare una rendita vitalizia al dipendente divenuto permanentemente invalido per causa di servizio, non ha inteso istruire una nuova prestazione previdenziale, ma solo estendere ai dipendenti degli enti locali, non soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro gestita dall’INAIL, la disciplina in tema di equo indennizzo già dettata per i dipendenti civili dello Stato.

In altri termini, posto che l’equo indennizzo e la rendita infortunistica costituiscono due modalità di tutela di una stessa fattispecie inabilitante, l’iscrizione obbligatoria all’INAIL esclude in radice la possibilità che lo stesso soggetto possa beneficiare anche dell’equo indennizzo[54].

Lo stesso Consiglio di Stato[55] ha dichiarato manifestatamene infondata, con riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50 D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686 sollevata sotto il profilo che il dipendente di ente locale titolare di rendita INAIL risulterebbe penalizzato rispetto a quello che svolge attività non tutelata dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e che gode del più favorevole trattamento rappresentato dalla liquidazione di una somma una tantum a titolo di equo indennizzo. Ed invero, a prescindere dalla considerazione che la questione era stata sollevata nei confronti di un atto regolamentare, si è ritenuto non sussistente un problema di disparità di trattamento giuridicamente rilevante in caso di erogazione di una prestazione economica che, pur essendo di importo pro quota non elevato, è tuttavia garantita a tempo indeterminato, con conseguente possibilità di rivalutazione e sottrazione al rischio di dissipazione.

4.2  Contemporanea esperibilità dell’azione di indennizzo e di risarcimento del danno nei confronti della pubblica amministrazione: discordanze dottrinali e giurisprudenziali.

È consentito al dipendente delle pubbliche amministrazioni al quale è stato corrisposto un indennizzo per menomazione contratta per causa di servizio poter esperire l’azione di risarcimento dei danni nei confronti dell’amministrazione presso la quale presta o ha prestato servizio.

In applicazione del principio del neminem ledere , efficace anche nei confronti dei pubblici poteri per effetto dell’art. 28 della costituzione, l’azione di risarcimento è esperibile se la menomazione derivabile al dipendente sia imputabile alla pubblica amministrazione di appartenenza.

Infatti, con la legge 6 marzo 1954, n. 104, sono stati abrogati i disposti di esclusione contenuti nel d. lgs. 21 ottobre 1915, n. 1558 e nel r.d.l. 6 febbraio 1936, n. 313[56]; pertanto, il dipendente può proporre azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione dalla quale dipende per menomazioni riconducibili ad infermità dipendenti da causa di servizio, anche se, per queste stesse menomazioni, è stato concesso l’indennizzo.

La compatibilità dell’indennizzo con il risarcimento del danno trova fondamento nella natura previdenziale e non risarcitoria dello stesso.

Questo, nell’ordinamento vigente, si configura come strumento a contenuto patrimoniale di natura previdenziale, a disposizione del dipendente; il risarcimento del danno è finalizzato a ripristinare integralmente il danno subito, in tutte le sue qualificazioni (patrimoniale, non patrimoniale e biologico, come danno emergente e lucro cessante) e trova fondamento non nell’evento lesivo, ma nel comportamento illecito dell’amministrazione.

Esiste discordanza tra dottrina e giurisprudenza circa la contemporanea esperibilità delle azioni di indennizzo e di risarcimento del danno nei confronti della pubblica amministrazione.

La dottrina ammette la concorrenza dell’indennizzo e del risarcimento del danno , quando la perdita dell’integrità personale sia avvenuta per colpa dell’amministrazione pubblica presso cui si presta servizio; la giurisprudenza esclude tale possibilità, quando il risarcimento sia corrisposto dall’amministrazione che ha erogato l’indennizzo.

La discordanza si fonda sulla funzione dell’equo indennizzo, che è ristoratore e previdenziale, per coloro che  ammettono la cumulabilità dei due istituti, mentre è risarcitoria per chi segue la tesi della loro non cumulabilità.

La cumulabilità “ è conseguente alla diversità dei titoli che ne costituiscono il fondamento: nel primo caso ( equo indennizzo) è la perdita dell’integrità personale che determina, nell’ambito del rapporto di impiego e indipendentemente da qualsiasi qualificazione giuridica del fatto che l’ha determinata , l’obbligo per l’amministrazione, al cui vantaggio il servizio è stato reso, di corrispondere l’equo indennizzo; nel secondo caso ( azione di risarcimento), è il fatto illecito che dà vita ad un rapporto civilistico tra danneggiante e danneggiato, diverso ed autonomo da quello del pubblico impiego”[57].

Se all’indennizzo si attribuisce funzione risarcitoria, ne consegue la sostanziale identità del bene protetto ( integrità personale) dai due istituti e l’esclusione della cumulabilità tra risarcimento del danno e indennizzo per la stessa infermità, anche se derivante da colpa della pubblica amministrazione.

Pur considerando la diversa funzione e le differenti fonti normative, non sempre è stata ammessa la cumulabilità degli istituti in argomento[58].

È stata esclusa[59] nel caso che il risarcimento dei danni, da parte di assicurazione privata, sia stato conseguito a seguito di pagamento del relativo premio a carico dell’erario, poiché “la tutela apprestata è qualitativa mentre è quantitativamente diversa, e quindi non è dato ravvisare unicità di titolo giuridico”; in entrambi i casi, è tutelata l’integrità personale dell’impiegato, oggetto esclusivo dell’indennizzo e, tra l’altro, anche del risarcimento del danno; il legislatore, nel considerare l’indennizzo rispetto ad eventuali strumenti assicurativi predisposti dall’amministrazione per lo stesso evento rischioso e presupponendo un’equivalenza reciproca degli stessi dal punto di vista quantitativo, ha escluso il cumulo di uno stesso pagamento anche se a titolo diverso.

L’indennizzo e il risarcimento hanno diversa funzione e fonte normativa, ma hanno il medesimo oggetto ( la tutela fisica del soggetto).

Se si ammette l’unicità dell’oggetto, non si può dare ai due istituti diversa funzione al di fuori di quella risarcitoria; se invece si sostiene la diversità di funzione degli stessi, bisogna convenire anche sulla diversità dell’oggetto, che è costituito dall’integrità personale per l’indennizzo e dal comportamento illecito, causa della perdita dell’integrità personale, per il risarcimento; pertanto, deve ammettersi il cumulo tra indennizzo e risarcimento danni.

Diversamente bisognerebbe ritenere che, con l’istiuzione dell’equo indennizzo, si sia voluto esonerare l’amministrazione pubblica dalla responsabilità civile.

Nell’ipotesi di cumulo tra indennizzo e risarcimento danni nei confronti del privato, bisogna distinguere: a) se l’azione di risarcimento è promossa dal danneggiato, il terzo non può eccepire l’eventuale indennizzo corrisposto o da corrispondere dalla propria amministrazione, giacchè nel primo caso l’autore del danno sarebbe estraneo al rapporto intercorrente tra amministrazione e dipendente danneggiato, mentre nel secondo caso lo stesso dipendente potrebbe non richiedere l’indennizzo o rinunciare allo stesso se già è stato percepito; b) se l’azione invece è promossa dal dipendente danneggiato e dalla amministrazione che ha corrisposto o deve corrispondere l’eventuale indennizzo, è ammessa soltanto l’azione di risarcimento del primo, giacchè in tale ipotesi è unica la fonte dell’obbligazione e perciò, stante la diversità dei due istituti, non opera il divieto di cumulo tra gli stessi; c) se il dipendente danneggiato dal terzo non inizia azione di risarcimento, l’amministrazione che ha corrisposto l’eventuale indennizzo o che ha iniziato il relativo procedimento può promuovere l’azione stessa senza surrogazione.

In caso di mancato esperimento da parte dell’amministrazione interessata dell’azione di rivalsa verso terzi responsabili dell’evento dannoso, no si è ritenuto che possa individuarsi danno eariale, perché il rimborso di eventuali somme corrisposte dall’Inail o la corresponsione dell’indennizzo trovano fondamento nel fatto obiettivo della perdita dell’integrità personale, indipendentemente da eventuali responsabilità, e perché non sussistono i necessari requisiti di certezza e di determinazione del danno, a causa della naturale incertezza dell’esito dell’azione di rivalsa[60].

L’azione di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice civile[61].

I contratti nazionali di lavoro prevedono che l’amministrazione, quando il pregiudizio è arrecato da terzi, debba chiedere il rimborso delle somme a qualsiasi titolo corrisposte al dipendente danneggiato, compreso, deve ritenersi,. L’indennizzo corrisposto.

A tal fine, secondo espresso disposto contenuto nei contratti collettivi, l’impiegato deve comunicare all’amministrazione l’esistenza di iniziative giudiziarie, per consentirne l’intervento in giudizio ( costituzione di parte civile), a tutela del suo credito.

L’omessa comunicazione espone l’impiegato a sanzioni disciplinari e al rimborso delle erogazioni effettuate, per l’impossibilità di recuperarle dal danneggiante.

4.3 Contemporanea esperibilità della richiesta di trattamento privilegiato e di risarcimento danno nei confronti della pubblica amministrazione.

Il pubblico dipendente che abbia subito una menomazione dell’integrità fisica per fatti imputabili all’amministrazione di appartenenza, oltre all’indennizzo e al trattamento privilegiato, può agire, in sede giudiziaria civile, per ottenere l’integrale risarcimento del danno subito, ex. Art. 2043 c.c..

Il risarcimento, però, tenuto conto dell’indennizzo e del trattamento privilegiato concessi, non può procurare all’interessato un vantaggio economico superiore al danno effettivamente subito; pertanto, il giudice deve verificare se ed in quale misura il risarcimento liquidato in base alle regole comuni sia cumulabile con l’erogazione della pensione privilegiata e dell’equo indennizzo; deve escludere il cumulo del risarcimento liquidato secondo le regole civilistiche e le somme comunque corrisposte dall’amministrazione[62].

  1. Il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario in materia di causa di servizio ed equo indennizzo.

Ai sensi dell’art. 68 d. lgs. 3 febbraio 1993 n. 29[63], nel testo sostituito dall’art. 29 d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80[64] e successivamente inserito nell’art. 63 t.u. 30 marzo 2001 n. 165[65], rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto il provvedimento con il quale L’amministrazione nega la dipendenza da causa di servizio dell’infermità o lesione sofferta dal pubblico dipendente ovvero rigetta l’istanza dello stesso intesa ad ottenere la liquidazione dell’equo indennizzo.

In questo senso è anche la giurisprudenza del giudice amministrativo[66], la quale fa corretta applicazione della regola da tempo enunciata dal giudice della giurisdizione[67], per la quale in materia di rapporti di lavoro instaurati con lo Stato o con altre Pubbliche Amministrazioni, per determinare quoad tempus la giurisdizione con riferimento ad atti del datore di lavoro pregiudizievoli, addotti a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio, si deve avere riguardo al momento della verificazione dei fatti costitutivi del diritto rivendicato, ogni qualvolta essi vengono in rilievo a prescindere dal loro collegamento con uno specifico atto di gestione del rapporto da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro.

Invece, qualora il regime del rapporto preveda che la giuridica rilevanza di quei fatti sia assoggettata ad un preventivo apprezzamento dell’Amministrazione medesima ed alla conseguente declaratoria della sua volontà al riguardo, deve farsi riferimento al momento in cui interviene siffatta declaratoria.

Di conseguenza, ove si tratti di controversia concernente il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità o lesione o di liquidazione di equo indennizzo – la quale introduce un procedimento articolato in una fase preliminare istruttoria, diretta all’acquisizione degli elementi idonei alla riconoscibilità della condizione del lavoratore, ed in una seconda fase, deliberativa, in esito alla quale l’Amministrazione si pronuncia sull’istanza – va affermata la giurisdizione del giudice ordinario in riferimento a provvedimento intervenuto su detta istanza in epoca successiva alla data del 30 giugno 1998[68].

La ragione del trasferimento della giurisdizione, nei limiti indicati, dal giudice amministrativo al giudice ordinario è da individuarsi nel fatto che la domanda del pubblico dipendente, intesa ad ottenere il riconoscimento della causa di servizio o di liquidazione di equo indennizzo, non attiene ad un rapporto previdenziale autonomo dal rapporto di pubblico impiego, ma trova titolo immediato e diretto in tale rapporto, con la conseguenza che la controversia ad essa relativa è necessariamente devoluta al giudice che, con decorrenza successiva alla suddetta data del 30 giugno 1998, sul rapporto medesimo ha la giurisdizione[69].

Sussistendo le condizioni di cui si è detto, compresa quella di ordine temporale, la giurisdizione del giudice ordinario sussiste anche se il fatto che ha originato la pretesa del dipendente è antecedente alla intervenuta privatizzazione del rapporto di pubblico impiego[70] ovvero se la contestazione di detto dipendente è rivolta contro atti prodromici a quello successivamente adottato, in conformità ad essi, dall’organo di amministrazione attiva[71], atteso che la normativa innanzi citata afferma la giurisdizione del giudice ordinario anche qualora vengano in questione atti amministravi pregressi[72].

Permane la giurisdizione del TAR o dell’Organo giudiziario eventualmente previsto dall’ordinamento di rispettiva appartenenza per le categorie non sottoposte al processo di privatizzazione, analiticamente individuate dal combinato disposto degli artt. 68 e 2, comma 4, della l. n. 29 del 1993, i quali prevedono che: “In deroga ai commi 2 e 3 rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, quest’ultima a partire dalla qualifica di vice consigliere di prefettura, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, dalla legge 4 giugno 1985, n. 281, e dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287”[73].

Il ricorso va, quindi, proposto, per detti soggetti, nei tempi e nei modi previsti dall’art. 21 della Legge 6-12-1971, n. 1034, e cioè entro sessanta giorni ( termine di decadenza) dalla notifica del provvedimento impugnato, con il rispetto delle norme di procedura previste per agire davanti a tale organo giurisdizionale.

Invece del ricorso al TAR  è ammesso, in via alternativa, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni dalla notifica del provvedimento impugnato ( artt. 8 e 9 D.P.R. n. 1199 del 24-11-71).

Anche in tale sede appare opportuno sottolineare che la l. 21 luglio 2000, n. 205, art. 16, consente anche in caso di ricorso giurisdizionale ad organo amministrativo, di esperire consulenza tecnica d’ufficio e , quindi, di entrare nel merito della controversia e non solo di esprimersi su questioni di legittimità.

5.1 Disciplina transitoria in materia di controversie relative al riconoscimento della causa di servizio e di liquidazione dell’equo indennizzo.

Ai sensi dell’art. 45, co. 17, d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, successivamente trasfuso nell’art. 69, comma 7, t.u. 30 marzo 2001 n. 165, continuano ad appartenere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto provvedimenti di diniego di riconoscimento della dipendenza dell’infermità o della lesione da causa di servizio o di liquidazione dell’equo indennizzo adottati entro il 30 giugno 1998, ma a condizione che i relativi ricorsi siano stati proposti entro il termine perentorio del 15 settembre 2000.

In sede applicativa la norma in questione ha generato problemi di ordine interpretativo.

Il primo riguardava l’individuazione del momento dal quale doveva considerarsi verificata la decadenza della possibilità di adire il giudice amministrativo in sede giurisdizionale esclusiva in relazione a vicende anteriori al 30 giugno 1998.

La tesi sostenuta inizialmente dal TAR per la Puglia, sede di Bari[74], e successivamente fatta propria dalla prevalente giurisprudenza dei giudici di primo[75] e di secondo grado[76], era che la decadenza si verificava ove il ricorso fosse stato depositato presso la Segreteria del TAR territorialmente competente in data successiva al 15 settembre 2000, atteso che  nel processo amministrativo, a differenza di quello civile, il rapporto processuale si costituisce con il detto deposito ed è quindi da tale momento che il giudice amministrativo viene investito della controversia ed insorge per lui il potere dovere di provvedere sulla domanda e di pronunciare sul rito e sul merito del ricorso stesso.

Così argomentando la giurisprudenza del giudice amministrativo recepiva e faceva propria l’insegnamento sia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[77] che della dottrina processualistica[78], per le quali nel processo amministrativo è con il deposito del ricorso che si dà vita al c.d. rapporto processuale.

La tesi svolta era, nella sostanza, che nel processo amministrativo i due momenti della notificazione del ricorso e del suo deposito hanno caratteristiche e finalità diverse: il primo rivela semplicemente la volontà di agire in giudizio e costituisce il preliminare atto della procedura introduttiva del processo; il secondo, invece, concretamente realizza la presa di contatto tra il ricorrente e l’organo di giurisdizione che deve pronunciare sul processo e postula altresì la partecipazioni delle controparti al giudizio sicchè i suoi effetti, correlati alla consegna dell’originale del ricorso notificato alla segreteria dell’organo giurisdizionale, non possono retroagire ad una fase precedente, meramente introduttiva e prodromica all’instaurazione del processo.

Di contrario avviso si sono poste invece le Sezioni unite della Corte di Cassazione[79], per le quali il cit. art. 45, co. 17, d.lgs. n. 80 del 1998 va interpretato nel senso che il 15 settembre 2000 identifica la data ultima entro la quale deve avvenire la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio e non anche “ il momento successivo del perfezionamento del rapporto processuale con il deposito del ricorso”.

In questo senso ha concluso anche il giudice delle leggi[80] per il quale nel processo amministrativo, ai sensi degli artt. 36 t.u. 26 giugno 1924 n. 1054[81], 19 l. 6 dicembre 1971 n. 1034[82] e 21 e 23-bis co. 7 della stessa legge, come integrati dalla l. 21 luglio 2000 n. 205[83], le controversie devono ritenersi proposte con la notifica del ricorso, mentre il deposito di quest’ultimo assume rilevanza esclusivamente ai fini della procedibilità.

Al principio enunciato dal giudice della giurisdizione e delle leggi si sono progressivamente adeguati sia il Consiglio di Stato[84] che il giudice amministrativo sottoordinato[85], ma non senza qualche persistente resistenza[86].

Costituisce invece principio pacifico nella giurisprudenza sia del giudice ordinario[87] che del giudice amministrativo[88] che la tardiva proposizione del ricorso contro questioni inerenti il pubblico impiego anteriori al 30 giugno 1998, ma dedotte successivamente alla data del 15 settembre 2000, rientra tra le ipotesi di decadenza rilevabili dal giudice ex officio, in quanto sottratta alla disponibilità delle parti.

Di non minore importanza era la questione relativa agli effetti scaturenti dalla tardiva proposizione del ricorso.

Anche in questo caso è stato il TAR per la Puglia, Sede di Bari[89] a sostenere per primo che il deposito del ricorso, se effettuato dopo la data del 15 settembre 2000, comportava la decadenza della sola azione dinanzi al giudice amministrativo, e non anche innanzi al giudice ordinario nel termine di prescrizione decennale, risultando priva sia di supporto testuale che di giustificazione logica e giuridica la tesi che dal mero trasferimento di competenza da una ad altro giudice facesse discendere, con effetti sostanzialmente sanzionatori, la decadenza dinanzi ambedue i giudici, con conseguente caducazione del regime prescrizionale.

Di diverso avviso si sono dette invece le SS.UU. della Corte di Cassazione[90], per le quali il termine del 15 settembre non costituisce un limite alla persistenza della giurisdizione amministrativa, ma un termine di decadenza sostanziale per la proponibilità della domanda giudiziale, con la conseguenza che oltre la suddetta data non può essere più esperito alcun mezzo processuale, innanzi sia al giudice amministrativo che a quello ordinario[91].

Sulla natura non meramente processuale, ma sostanziale, della decadenza ex art. 45, co. 17, d. lgs. n. 80 del 1998 ha concordato anche il giudice delle leggi[92].

Alle conclusioni della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale si è successivamente conformata anche la giurisprudenza del giudice amministrativo[93].

6 Ragioni a favore della giurisdizione della Corte dei conti in materia  di equo indennizzo.

Non manca qualche decisione della Corte dei Conti che, a cagione della natura, diremo, parapensionistica dell’istituto dell’equo indennizzo , ha affermato la propria giurisdizione[94].

Secondo tale decisione, l’equo indennizzo previsto per il personale statale dall’art. 68 ottavo comma T.U. 10 gennaio 1957 n. 3 non ha carattere retributivo, in quanto non possiede gli stessi elementi dello stipendio e degli assegni corrisposti in attività di servizio; infatti, per la sua determinazione si tiene conto esclusivamente dei criteri riferiti al danno effettivo subito dall’integrità fisica dell’impiegato in relazione alla qualità della prestazione lavorativa al di fuori di un rapporto con la posizione di status, di carriera e di progressione economica raggiunta nell’impiego.

L’equo indennizzo ha una funzione tipicamente previdenziale, mirando a risarcire la perdita dell’integrità fisica, sia pure con una forma di vitalizio capitalizzato e trovando la sua giustificazione nel cosiddetto rischio professionale che costituisce il fondamento giuridico delle assicurazioni sociali.

La competenza della Corte dei conti in materia previdenziale pubblica si manifesta, in difetto di norme espresse di attribuzione, ogniqualvolta uno dei soggetti del rapporto sia lo Stato o un Ente pubblico diverso dallo Stato e l’erogazione sia a carico totale o parziale dell’Erario; da ciò discende che alla Corte dei conti quale giudice delle pensioni compete la cognizione delle controversie in materia di equo indennizzo, riferendosi tale istituto ad un rapporto previdenziale tra lo Stato e il pubblico dipendente ed essendo l’erogazione del beneficio a carico integrale dello Stato[95].

 Esiste un collegamento interrelazionale tra istituti quali l’indennizzo, l’indennità di fine rapporto ed il trattamento di quiescenza, cosicchè appare anacronistico, sul piano giuridico e sociale, parlare ancora di pensioni, assegni ed indennità come di monadi vaganti in altrettanti sistemi galattici. Essi sono certamente istituti con propria individualità, altrettante sub-specie riconducibili ad unità concettuale categorica, il rapporto previdenziale[96].

L’esigenza di affidare ad un magistrato tecnicamente qualificato la cognizione di rapporti giuridici di rilevante valore sociale (v., sezioni agrarie, tribunali delle acque, giudici del lavoro, giudici tributari, etc.) nasce dalla moltitudine di interessi gestiti dallo Stato moderno, al contrario dello Stato liberale che si occupava soltanto di interessi essenziali quali la difesa, l’ordine pubblico e così via. Lo Stato, oggi, se intende sopravvivere deve organizzarsi mutando concetti imprenditoriali, quali la specializzazione e la divisione del lavoro e ciò deve verificarsi soprattutto nella giurisdizione sulla quale si riflettono gli aspetti conflittuali della società.

La particolare specializzazione della Corte dei conti, in una materia nella quale essa ha giurisdizione piena ed esclusiva, risponde a quell’esigenza; inoltre, la verifica del giudice amministrativo, estendendosi all’intero rapporto, sigilla definitivamente, con la certezza della pronuncia, questioni che, altrimenti, dovrebbero essere sottoposte alla cognizione di giudici diversi con evidente dispendio di tempo e di procedure. Ed ancora, poiché la verifica giurisdizionale è piena ed esclusiva, viene attuato il principio dettato dell’art. 113 Cost., unificandosi l’aspirazione alla legalità formale con quella alla giustizia sostanziale.

La tutela della Corte si estende in misura tale da ricomprendere   sia l’interesse individuale sia quello collettivo; in quanto giudice dell’Amministrazione è presidio degli interessi dell’erario e, contestualmente, offre al ricorrente quella pienezza di tutela, in fatto ed in diritto, che il giudice della legittimità è tenuto a limitare al solo aspetto procedimentale senza operare un sindacato in merito[97].

L’opinione prevalente è, però, nel senso del riconoscimento della giurisdizione del TAR ( e del Consiglio di Stato in secondo grado), come è stato peraltro ritenuto dalle stesse sezioni riunite della Corte dei Conti[98].

È quindi ormai acquisito il difetto della giurisdizione della Corte dei conti nelle fattispecie.


[1] Il concetto di privilegio pensionistico è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano dalla legge n. 70 del 21 febbraio 1895; scaturisce dalla necessità di tutelare i dipendenti civili e militari dello Stato che avessero subito, per motivi di servizio, menomazioni dell’integrità personale.

Il principio dalla concessione della pensione privilegiata è stato introdotto anche nell’ambito del regime generale di assicurazione obbligatoria gestito dall’ Inps, con la legge 21 luglio 1965, n. 903, modificato con la legge 12 giugno 1984, n. 222; i requisiti richiesti sono: a) essere in servizio (anche solo per un giorno); subire una menomazione da causa di servizio non indennizzabile dall’ Inail ; c) la menomazione superi i due terzi della capacità lavorativa in attività confacenti alle attitudini svolte per l’assegno di invalidità, o comporti l’assoluta impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro per la pensione di inabilità. ( Al riguardo si veda R. DI PASSIO, Causa di servizio, equo indennizzo e pensionamento privilegiato dei dipendenti di amministrazioni ed enti pubblici, 2007, 191).

[2] R. DI PASSIO, op. cit., 206: la pensione privilegiata ordinaria comune implica sempre la cessazione del rapporto di impiego per inabilità permanente al servizio e si differenzia dal trattamento privilegiato specifico il quale, non essendo esclusivamente connesso all’inabilità permanente ed assoluta a qualsiasi attività lavorativa, è compatibile con l’attività di servizio e non presuppone la cessazione del rapporto di servizio.

L’art. 64 commi 1-4 d.p.r. n. 1092/1973 prevede la pensione privilegiata dei dipendenti ad ordinamento militare nel caso in cui questi riportino infermità o lesioni non comportanti inabilità permanenti ed assolute, ma solo inabilità permanenti relative; ne deriva che i dipendenti militari ed assimilati, oltre alla pensione privilegiata comune, nel caso in cui siano inabili permanenti ed assoluti con conseguente risoluzione del rapporto di lavoro, hanno diritto al pensionamento privilegiato anche per inabilità permanenti relative.

[3] Art. 15 comma 3 D.P.R. n. 461/2001.

[4] Artt. 64-67 D.P.R. n. 1092/1973; per gli inscritti all’INPDAP, art. 33 r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680.

[5] Cfr. R. CASTRICA – G. BOLINO, Trattamenti di pensione privilegiata ed equo indennizzo,2005,309.

[6] R. DI PASSIO, op. cit., 193: “Nel caso di infortunio sul lavoro a causa di servizio, è corrisposta dall’INAIL, la rendita, che tiene luogo dell’equo indennizzo”.

[7] La nozione di causa di servizio è desumibile dall’art. 64 d.p.r. 29 dicembre 1973, n. 1092 il quale reca tre proposizioni che devono essere lette nella loro sequenza logica, e cioè: a) l’infermità o lesione devono dipendere da fatti di servizio ( comma 1); b) i fatti di servizio sono “ quelli derivanti dall’adempimento degli obblighi di servizio” ( comma 2 ); c) le infermità e lesioni si considerano dipendenti da fatti di servizio “ solo quando questi ne sono stati causa ovvero concausa efficiente e determinante” ( comma 3).In altri termini, perché ricorra la causa di servizio occorre che tra i fatti di servizio e le infermità o lesioni sofferte dal pubblico dipendente sussista un nesso di causalità o, quanto meno, di con causalità efficiente e determinante.

Non è quindi sufficiente l’avvenuto accertamento di un nesso cronologico ( infermità contratta o lesione subita durante il servizio) né tanto meno topografico ( nell’ambiente di lavoro) ma è necessario che tra la natura e le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e la patologia riscontrata a carico del pubblico dipendente sia ravvisabile o documentabile un nesso eziologico, nel senso che le prime devono essere state causa o concausa della seconda. ( Sul punto v. TAR Lazio, Roma, II sez., 27 maggio 1997, n. 1017, in  TAR, I,1997, 229).

[8] A titolo esemplificativo, si riporta lo schema, mai recepito dal legislatore, mutuato dall’art. 3, del d. lgs. 20 maggio 1917, n. 876 il quale, ad avviso della giurisprudenza, può costituire criterio guida per l’apprezzamento delle percentuali di diminuzione dell’attività lavorativa degli aventi diritto:

1° categoria dall’81 al 100%
2° categoria dal 76 all’80%
3° categoria dal 71 al 75%
4° categoria dal 61 al 70%
5° categoria dal 51 al 60%
6° categoria dal 41 al 50%
7° categoria dal 31 al 40%
8° categoria dal 21 al 30%

[9] Il collocamento a riposo per limiti d’età e non per dispensa non preclude il successivo conferimento della pensione privilegiata ordinaria. Pertanto si può affermare che “ l’avvenuto collocamento a riposo per limite d’età non è di ostacolo al riconoscimento del diritto alla pensione privilegiata ordinaria, qualora sussistano le condizioni di legge…” e la circostanza che il servizio “…sia cessato per raggiungimento del limite di età non è di per sé indicativa di una condizione… tale da escludere il diritto a pensione privilegiata, potendo verificarsi che l’interessato, benché invalido, non abbia interrotto il servizio per ragioni personali, sottoponendosi ad una sorta di lavoro necessario ed usurante”.(R. CASTRICA – G. BOLINO,op. cit.,310).

[10] Art. 169, comma 1, d.p.r. 1092/1973.

[11] Art. 64, comma 3, d.p.r. 1092/1973.

[12]Cfr: Corte dei conti,sez. IV, 20 giugno 1994, n. 83876, in Riv. C. conti, 1995, f. 1,281; Id., sez. Molise, 6 novembre 1996, n. 209, ibidem, 1997, f. 3, 212.

 Per la pensionistica di guerra, invece, è sufficiente la sola constatazione durante il servizio di guerra da parte di strutture mediche militari. ( Si veda R. DI PASSIO, op. cit,197).

[13] Il termine decennale non può essere esteso ad altre fattispecie, come la sclerosi multipla, competendo solo al legislatore provvedere al riguardo; Corte Cost., ord. 12-25 luglio 2001, n. 300, in Giur. cost., 2001, 4.

[14] Art. 191 comma 4 d.p.r. n. 1092/1973.

[15] In Gazz. Uff. 30-6-1997, n. 150: “ Regolamento recante modalità applicative delle dipsposizioni contenute all’art. 2 , comma 12, della legge 8-8-1995, n. 335; concernenti l’attribuzione della pensione di inabilità ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche iscritti a forme di previdenza esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria”.

Di particolare interesse anche i chiarimenti forniti dalla circolare n. 57 del 24.6.98 del Ministero del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica ( prot. n. 161132, Dipartimento R.G.S., I.G.O.P. , Div. XIII).

[16] In Gazz. Uff. 25-8-1995, n. 198 suppl. ord. n. 106: “ Ripubblicazione del testo della l. 8-8-1995, n. 335, recante Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare”.

[17] Dopo l’emanazione della disciplina contenuta nell’art. 154 della l. n. 312/1980, non può più qualificarsi equo l’indennizzo che è corrisposto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni in caso di menomazione dell’integrità psico-fisica sensoriale riportata a causa dell’adempimento degli obblighi di servizio; prima dell’entrata in vigore della disciplina citata ,l’indennizzo era calcolato in forma equitativa e, di conseguenza, si qualificava equo; in forza della normativa citata, è determinato in base a dati parametri, per cui dovrebbe parlarsi semplicemente di indennizzo; esso è calcolato rispetto al grado di menomazione ( danno fisico) riportata e al trattamento economico corrisposto all’epoca in cui è stata prodotta l’istanza di equo indennizzo.(R. DI PASSIO, op. cit.,143).

[18]Cfr. Cass. Civ., sez. lavoro, 27.8.2003, n. 12547,in Giust. civ. Mass., 2003, 7-8: l’equo indennizzo, attribuibile ai lavoratori del pubblico impiego ex art. 68 d.p.r. 10 gennaio 1957 n. 3, e del quale continuano a poter beneficiare i dipendenti delle ferrovie dello Stato benché il relativo rapporto di lavoro sia stato privatizzato, è una prestazione diretta a compensare la perdita dell’integrità fisica derivante dalla stessa esplicazione dell’attività lavorativa, o di attività ad essa connesse, indipendentemente da eventuali inadempimenti imputabili al datore di lavoro ex art. 2087 c.c.; ne consegue che, in applicazione delle regole ordinarie sulla ripartizione dell’onere probatorio, sia la prova dell’insorgenza dell’infermità che la prova del nesso causale tra essa e l’attività di servizio svolta devono essere fornite dal lavoratore.

[19] Corte dei conti, sez.III, 21.2.1979, n. 42221, in Rass. Cons. stato, 1980, II, 151.

[20] Cfr. Cass. Civ., sez. Lavoro, 26.8.2005,n. 17353, in Giust. civ. Mass.,2005, 7-8. In dottrina si v. R. CASTRICA – G. BOLINO ,  op. cit., 346.

[21] La tabella B, di cui al D.P.R. 834/81 e successive modificazioni, comprende le menomazioni che si considerano comprese in una fascia di riduzione della capacità lavorativa generica che va dall’11 al 20%.

[22] Consiglio di Stato, sez. I, 21-3-1980, n. 1385, in Cons. St., 1981, I, 1566.

[23] Consiglio di Stato, sez. VI, 20-6-2003, n. 3665, in Foro amm. CDS, 2003, 1969: “ In caso di infermità ad andamento evolutivo, che si stabilizza solo ad un certo grado di gravità col decorso del tempo, il termine per la presentazione della domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio comincia a decorrere dalla conoscenza della stabilizzazione e della permanenza della gravità e non dal momento, di per sé notevolmente difficile da determinare, nel quale sia successivamente sorto il dubbio o sia maturata la sicura conoscenza che l’infermità sia stata causata da motivi di servizio”.

[24] Previsto dalla l. n. 539 del 15-7-1950, estensiva per il personale civile e per i suoi congiunti dei benefici spettanti ai mutilati ed invalidi di guerra  ed ai congiunti dei caduti in guerra previsti dall’art. 117 del R.D. 31-12-1928, n. 3458, riprendente quanto stabilito dagli artt. 43 e 44 del R.D. 30-4-1992, n. 1290, dall’art. 8 del R.D. 27-10-1922, n. 1427, e dagli artt. 2  e 3 del R.D. 17-5-1923, n. 1284.

[25] Cfr. TAR Basilicata, 25-8-2003, n. 786, in Foro amm., 2003, 2432: “ In sede di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un infermità contratta dal pubblico dipendente a seguito di infortunio, l’accertamento della colpa grave dell’interessato vale ad interrompere il nesso di causalità intercorrente tra l’attività lavorativa e l’evento infortunistico”.

[26]Cfr.  TAR  Sardegna, 23-3-1995, n. 378, in  TAR, I, 2761, 1995.

[27] Cfr.  Cass. Civ., sez. lavoro, 09/02/2004, n. 2390, in Giust. civ. Mass.,2004, 2.

[28]  In ipotesi di unica domanda volta ad ottenere sia il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio che l’equo indennizzo, essa deve essere presentata dall’impiegato “ entro 6 mesi dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell’infermità o della lesione” ( art. 3,comma 1, del D.P.R. 20 aprile 1994 n. 349).

[29] Artt. 7 e 8, comma 2, del D.P.R. 461/2001

[30] Art. 2, comma 5, del D.P.R. 461/2001.

[31] Cfr. Cass. Civ., sez. lavoro, 26-8-2005, n. 17353, in Giust. civ. Mass., 2005, 7-8 : “ l’equo indennizzo di cui all’art. 68 del d.p.r. 10-1-1957 n. 3, ha natura retributiva ( e non risarcitoria o previdenziale) poiché inerisce al rapporto di lavoro.

[32] Art 12 d.p.r. n. 461/ 2001, unicità di accertamento:“ il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della infermità o lesione costituisce accertamento definitivo anche nell’ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo o di trattamento pensionistico di privilegio”.

[33] Art. 169 d.p.r. n. 1092/1973, richiamato dall’art. 2, comma 1, d.p.r. 461/2001.

[34] Al riguardo v. R. DI PASSIO, op. cit., p.142.

[35] Cass. Civ., SS. UU., 7 marzo 2003, n. 3438, in Giust. civ. Mass,2003, 489.

[36]Cfr. Cass. Civ., sez. lavoro,26.5.2004, n. 10175, in Giust. civ. Mass, 2004, 5 : l’ipotesi di concorso tra le prestazioni dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata è regolata, per quanto riguarda i dipendenti delle ferrovie dello Stato, dagli artt. 3 e 14 d.m. 2 luglio 1983, i quali prevedono per il diretto beneficiario la riduzione alla metà dell’equo indennizzo.

[37] C. conti  SS. RR., 2.8.1979, n. 106/B, in Riv. C. conti, 1979, 1017.

[38] Per le motivazioni che sono alla base della soluzione legislativa v. Cons. Stato, VI sez., 17 ottobre 1962 n. 683, in Foro amm.,1963, I,211.

In argomento v. anche L. DE TARANTO,Infermità contratta in servizio e per causa  di  servizio. L’ equo indennizzo, in Amm. it,1975, 1025; F. ROZERA, Risarcimento del danno e corresponsione di pensione privilegiata per invalidità dipendente da causa di servizio, in Enpas, 1996, 648.

[39] Art. 50, co. 1, D.P.R. 3 maggio 1957 n. 686.

[40] Art. 3 l. 23 dicembre 1970 n. 1094.

[41] Recante Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale.

[42] Cons. Stato, III sez., 12 giugno 1979 n. 799/1978, in Cons. St., 1981,I,992.

[43] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22.10.2004, n. 6946, in Foro amm. CDS, 2004, 2850; Cass. Civ., sez. lavoro, 4.12.1998, in Giust.civ. Mass., 1998, 2536.

[44] TAR Toscana, sez. I, 7 maggio 1990, n. 446, in TAR,1990.

[45] Corte dei conti, sez. contr. Stato, 14 gennaio 1982, n. 1217, in Riv. C. conti., 1982, 424.

[46] Cons. Stato, Ap., 1° marzo 1984 n. 4, in Cons. St.,1980, I, 404; Id., IV sez., 22 ottobre 2004, n. 6946, in  Foro amm. CDS, 2004, 2850; TAR Lazio, I sez., 19 novembre 1986 n. 1908, in TAR,,1986, I, 3927; TAR Calabria, Catanzaro,I sez., 22 marzo 2001 n. 494, ibidem,2001, I, 1995; TAR Puglia, Bari, Lecce, I sez., 28 ottobre 2004, n. 7562, ibidem, 2004,I, 4100.

[47] Cfr. Cons. Stato, II sez., 1.12.1970, n. 682, in Cons. Stato, 1973, I, 329; Corte dei conti, sez. giurisd. Reg. Lombardia, 11.4.1995, n. 362, in Riv. Corte conti, n. 2, 214, 1995. In dottrina si v. G. FERRARI, L’invalidità per causa di servizio e l’equo indennizzo nel pubblico impiego, Milano, Giuffrè, 2007, 165.

[48] Cons. Stato, I sez., 13 gennaio 1984, n. 18, in Cons. St,1985, I, 1012.

[49] Cons. Stato, II sez., 8 novembre 1974, n. 3325, in Cons. St.,1975,I, 1281. In dottrina si v. G. FERRARI, op. cit., 166.

[50] Recante Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

[51] E il caso del TAR Campania, Napoli, II sez., 13 novembre 1986 n. 198, in TAR, 1986,I, 278, che con motivazione quanto meno carente ha concluso nel senso della cumulabilità in capo allo stesso soggetto sia dell’equo indennizzo che della rendita INAIL, sul mero rilievo che il testo del cit. art. 11 non autorizza la tesi contraria.

[52] V. TAR Campania, Napoli, 10 marzo 1997, n. 638, in TAR, 1997,I, 1973; Id. 14 maggio 1997 n. 1251, ibidem 1997, II, 2702; Id. 2 luglio 1997 n. 1725, ibidem, 1997, I, 3282; Id. Salerno, 27 marzo 2000, n. 180, ibidem, 2000, I, 2744; TAR Lombardia – Brescia, 19 aprile 2000 n. 363, ibidem, 2000, I, 3149; TAR Emilia Romagna – Bologna, II sez., 10 giugno 2002, n. 847, ibidem, 2002, I, 2988.

[53] Cons. Stato, V sez., 19 novembre 1992 n. 1328, in Cons. St., 1992, I, 1628; Id., 22 giugno 1998 n. 912, ibidem, 1998, I, 930; Id., 17 marzo 2003 n. 1374, ibidem, 2003, I, 632.

[54] Cons. Stato, sez. V., 24 settembre 2003 n. 5442, in Cons. St., 2003, I, 1986.

[55] Cons. Stato, sez. VI., 17 luglio 2000 n. 3966, in Cons. St., 2000, I, 1764.

[56] Convertito nella legge 28 maggio 1936, n. 1126.

[57] Corte conti, sez. controllo, 6 ottobre 1977, n. 817, in Riv. C. conti, 1978, 21; Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2005, n. 17764, in Giust. civ. Mass., 2005, 9.

[58] Corte conti, sez. controllo, 31 marzo 1977, n. 755.

[59] Corte conti, sez. controllo, 14 giugno 1979, n. 993.

[60] Corte conti, sez. II, 6 giugno 1973, n. 34.

[61] Legge 11 agosto 1973, n. 533.

[62] Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2004, n. 9094, in Foro it., 2004, I, 3408.

[63] Recante Razionalizzazione dell’organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 l. 23 ottobre 1992 n. 421.

[64] Recante Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle Amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11, co. 4, l. 15 marzo 1997 n. 59.

[65] Recante Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche.

[66] TAR Abruzzo, Pescara, 14 gennaio 2000 n. 4, in  TAR, 2000, I, 1422; TAR Puglia, Lecce, 6 luglio 2000 n. 1696, ibidem, 2000, I, 2959; TAR Basilicata 3 maggio 2004 n. 306,ibidem, 2004, I, 2643; TAR Abruzzo, Pescara, 4 gennaio 2002 n. 17, ibidem, 2002,I, 2644; TAR Campania, Napoli, VI sez., 13 febbraio 2004 n. 2129, ibidem, 2004 , I, 1520; TAR Lazio, Roma, II sez., 30 settembre 2004 n. 9959, ibidem, 2004, I, 2209.

[67] V. sul punto Cass. Civ., SS.UU. , 7 marzo 2001 n. 89, in Cons. St., 2001, II, 920; Id 23 gennaio 2004 n. 1234, ibidem, 2004,II, 849.

[68] Cons. Stato, VI sez., 21 giugno 2005, n. 3228, in Cons. St., 2005, I, 1040; TAR Abruzzo, L’Aquila, 7 dicembre 2004, n. 1291, in  TAR, 2005, I, 517; TAR Campania, Napoli, II sez., 3 marzo 2005 n. 1540, ibidem, 2005, I, 1540.

[69] TAR Campania, Napoli, VI sez., 22 aprile 2004 n. 6726 e 14 ottobre 2004 n. 14159, in TAR, 2004, I, 2544 e 4058; TAR Emilia Romagna, Bologna, I sez., 17 gennaio 2005 n. 38.

[70] TAR Sardegna, II sez., 20 settembre 2004 n. 1341, in  TAR, 2004, I, 3887.

[71] È il caso dei pareri resi dalla Commissione medico ospedaliera, dal Comitato di verifica della causa di servizio o dell’Ufficio medico legale del Ministero della sanità, organi ai quali peraltro la giurisprudenza del giudice amministrativo nega la legittimazione passiva e ne dispone l’estromissione da giudizio, ove evocati, sul rilievo che l’avviso da essi espresso non è dotato di autonoma capacità lesiva e il pregiudizio per l’istante discende in via immediata e diretta dal deliberato dell’organo di amministrazione attiva, che ad esso si sia adeguato, facendolo proprio ( TAR Puglia, Bari, I sez., 29 luglio 2003 n. 3018, in  TAR, 2003, I, 3884; Id., 1° dicembre 2004, n. 5659, ibidem, 2005, I, 559; Tar Emilia Romagna, Parma, 13 gennaio 2005 n. 2, ibidem, 2005, I, 817).

[72] Cons. Stato, V sez., 13 ottobre 2004 n. 6650, in Cons. St., 2004, I, 2120.

[73] La stessa previsione è stata riordinata con il D. Lgs 165/2001, il quale ha previsto ( art. 3 ) analogamente che: In deroga all’art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e le Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo1 del decreto legislativo del Capo 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.

[74] TAR Puglia, sez. I, 2 novembre 2000, n. 4248, in  TAR, 2000, I, 3647.

[75] TAR Campania, Napoli, V sez., 17 dicembre 2001 n. 5485, in  TAR, 2002, I, 117; TAR Calabria, Catanzaro, II sez., 11 novembre 2003 n. 3154, ibidem, 2004, I, 393; TAR Toscana, II sez., 22 dicembre 2003 n. 6231, ibidem, 2004, I, 699; TAR Marche, 2 settembre 2004 n. 1062,ibidem, 2004,I,3803.

[76] Cons. Stato, IV sez., 5 aprile 2003 n. 1084, in Cons. St., 2003, I, 854; Id., VI sez., 26 agosto 2003 n. 4830, ibidem, 2003,I,1762.

[77] Cons. Stato, 28-7-1980 n. 25, in 35, in Cons. St.,1980, I, 834.

[78] Sul punto v. S. CASSARINO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, Giuffrè, 1990, 332 e, per un’ampia e puntuale analisi delle posizioni assunte dalla dottrina nella materia de qua, V. CAIANELLO,Diritto processuale amministrativo, Torino, Utet, 1994, II ed., 606 e ss.

[79] Cass. Civ. SS. UU. 25 ottobre 2002 n. 15118, in Cons. St., 2003, II, 35.

[80] Corte cost., ord. 26 maggio 2005 n. 213, in Cons. St.,2005,II,923.

[81] Recante Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato.

[82] Recante Istituzione dei tribunali amministrativi regionali.

[83] Recante Disposizioni in materia di giustizia amministrativa.

[84] Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2005 n. 3394, in Cons. St.,2005, I, 1061.

[85] TAR, Abruzzo, L’Aquila, 5 luglio 2004 n. 811, in  TAR,2004, I, 3141.

[86] TAR, Campania, Napoli, sez. VI, 19 aprile 2005 n. 4269, in TAR,2005, I,2009; TAR Basilicata, 23 maggio 2005 n. 425, ibidem, 2005,I, 2009.

[87] Cass. Civ. SS. UU., 30 gennaio 2003 n. 1511, in Cons. St., 2003, II, 517.

[88] TAR, Toscana, II sez., 10 febbraio 2005 n. 337, in  TAR, 2005, I, 1046.

[89] TAR, Puglia, sez. I, 13 giugno 2003 n. 2399, in  TAR, 2003, I, 1369.

[90] Cass. Civ., SS. UU., 17 giugno 2002 n. 8700, in Cons. St.,2002, II, 1532; Id. 4 luglio 2002 n. 9690, ibidem, 2002,II, 1574; Id., 21 novembre 2002, n. 16427, ibidem, 2003,II, 249; Id., 24 gennaio 2003 n. 1124, ibidem, 2003, I, 506; Id., 30 gennaio 2003 n. 1511, ibidem 2003, I, 517; Id., 7 marzo 2003 n. 3512, ibidem, 2003,I, 1000.

[91] Sulla ratio effettivamente sottesa alla tesi della decadenza sostanziale dell’azione, e cioè non aggravare il giudice ordinario con l’assegnazione in blocco a lui di un nuovo contenzioso, v. le osservazioni del TAR Calabria, Catanzaro, ord. 22 marzo 2004 n. 241, in  TAR, 2004, I,2131.

[92] Corte Cost., ord. 26 maggio 2005 n. 213, in Cons. St.,2005, I, 923.

[93] Cons. Stato, VI sez., 14 giugno 2005 n. 3120, in Cons. St., 2005, I, 1023; TAR Calabria, Catanzaro, II sez., 10 novembre 2003 n. 3136, in  TAR,2004, I, 391; TAR Lombardia, Brescia, 11 dicembre 2003 n. 1684, ibidem, 2004,I, 631.

[94] Corte dei conti, sez. III pens. Civ., 21 febbraio 1979, n. 42221, in Rass. Cons. Stato, 1980; II, 151.

[95] La decisione, con motivazione che, a dire poco, appare ardita, si discosta dall’orientamento costante della Corte dei conti in materia: cfr., da ultimo, sez. pens. civ. 13 novembre 1978 n. 40273, in La settimana giuridica 1979, IV, 117, nonché per implicito SS.RR. 30 giugno 1978 n. 87/B e 20 febbraio 1973 n. 53, ivi,1979,IV, 46; 1973,IV, 145. Anche il Consiglio di Stato e i TAR non hanno mai dubitato che le questioni relative all’equo indennizzo, in quanto attinenti allo status del dipendente in attività di servizio, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice di legittimità.

[96] Al riguardo si v. M. ORICCHIO, La riforma del processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti. Informazione previdenziale, 2000,933.

[97]  In dottrina si v. M. ORICCHIO, op. cit., 945.

[98] Corte dei conti, sez. RR., 2 agosto 1979, n. 106/B, in Rass. Cons. Stato, 1980, II, 455: “L’equo indennizzo previsto dall’art. 68 T.U. 10 gennaio 1957, n. 3 consiste in una riparazione dei riflessi dannosi che una menomazione fisica dipendente da causa di servizio può avere, da un punto di vista morale e materiale, nell’ulteriore vita di relazione del pubblico impiegato, indipendentemente dalla continuazione o meno del rapporto di servizio, ed ha la sua logica e giuridica collocazione nel complesso delle norme che regolano posizioni e diritti derivanti dallo status di impiegato (quali l’aspettativa per infermità, il diritto agli assegni di attività e alle cure sanitarie); esso compete anche in mancanza di un effetto inabilitante dell’infermità o lesione riportata, diversamente dal diritto alla pensione privilegiata che ha come presupposto, indispensabile se non unico, la cessazione del rapporto di impiego o di servizio del soggetto invalido; ne deriva che l’equo indennizzo trova il suo fondamento nella disciplina del rapporto di impiego ed è estraneo al trattamento di quiescenza”.

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