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L’arbitrato societario

Capitolo 1

L’ARBITRATO NELLE MATERIE SOCIETARIE

1.1. Introduzione e intervento del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003

Il decreto legislativo n. 5 del gennaio 2003, intitolato “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366”[1], disciplina l’arbitrato al titolo V, dall’art. 34 al 37, che contiene in realtà solo alcune disposizioni integrative o modificative della disciplina dell’arbitrato così come previsto per le materie ordinarie (ossia non societarie) dal codice di rito.

Le suddette modificazioni sono in realtà di notevole rilievo sia perché talune di esse scelgono la soluzione più adeguata per alcuni dei nodi più contestati della disciplina arbitrale ordinaria e sia, soprattutto, poiché configurano una sorta di tutela arbitrale “speciale” che, solo in un certo senso, si affianca a quella “comune”, con presupposti e portate talora divergenti, e comunque limitati a società per azioni non quotate in borsa e a ristretta base azionaria o addirittura diverse dalle società per azioni[2].

Nel panorama dottrinale2 e giurisprudenziale[3] sviluppatosi successivamente alla riforma del diritto e del processo societario, la questione sulla compatibilità del nuovo arbitrato con quello di diritto comune ha trovato vari orientamenti discostanti tra loro soprattutto a causa della difficile interpretazione della norme definite nel D.Lgs. 5/2003.

Il primo orientamento ha sostenuto che l’arbitrato societario possa essere ritenuto un modello esclusivo, in quanto, anche se il D.Lgs. 5/2003 determina la coesistenza di due discipline dell’arbitrato (quella generale del codice di rito e quella speciale della riforma), ciò non implica una libertà di scelta circa la disciplina da applicare.

In base a quanto appena affermato, quindi, l’unica tipologia di arbitrato societario che dovrà essere inserita negli statuti delle società sarebbe quello che prevede, per la nomina del collegio arbitrale, un soggetto “esterno” alla stessa società[4].

Una più attenta lettura dell’art. 34, 2 co., del D.Lgs. 5/2003 pone in evidenza la tesi della nullità radicale derivante da quanto appena sostenuto dal primo orientamento, che si evince anche dalla relazione ministeriale al D.Lgs. 5/2003 che ha precisato come il testo normativo in esame contribuisca alla “creazione di una nuova species arbitrale che si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico comprendendo numerose opzioni di rango processuale che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell’arbitrato endosocietario”.

Quanto affermato in materia societaria, però, sono significa che si possa scegliere tra l’una e l’altra species o tra l’uno e l’altro sistema di norme, ma che in ogni arbitrato sussiste la compresenza di un doppio strato normativo: un primo generale che è costituito dalla disciplina di diritto comune ed un secondo speciale che va ad affiancare quello precedente e lo completa (in parte derogandolo)[5].

Un secondo orientamento ritiene che quando si è in presenza di una clausola compromissoria c.d. binaria (art. 1419, 2 co., c.c.), si viene a porre in essere una sostituzione automatica del soggetto a cui spetterebbe la funzione di nomina degli arbitri e, questo avviene, proprio per il carattere processuale e pubblicistico del dettato normativo dell’art. 34, 2 co., del D.Lgs. 5/2003. La dottrina[6], soffermandosi più nello specifico sull’art. 34, 2. co., ha ritenuto che l’intervento del Presidente del Tribunale, possa essere previsto solamente nel caso in cui il terzo estraneo non provveda alla nomina degli arbitri. Inoltre, ha ipotizzato che, in presenza di clausole “binarie”, possa essere attribuita comunque la nomina dell’intero collegio al Presidente del Tribunale della circoscrizione in cui ha sede la società. Questo modus operandi, consentirebbe l’attenuazione della sanzione della nullità che colpirebbe, in modo parziale, solamente la clausola compromissoria relativamente alle modalità di nomina del collegio arbitrale. Contrariamente, l’arbitrato sarebbe interamente soggetto alle disposizioni del D.Lgs. 5/2003 e, dove necessario, alle norme del codice di procedura civile[7].

Questa proposta interpretativa, che ha come caratteristica principale il favor arbitrati, è stata criticata dalla dottrina[8] sulla base dell’orientamento dettato dalla Suprema Corte in tema di inserimento automatico della clausole compromissorie[9]. Infatti, secondo la S.C., l’art. 1419, 2 co., c.c. trova applicazione soltanto nelle “indicazioni di legge sulla sostituzione della clausola nulla con la norma inderogabile violata”.

Il terzo orientamento, a cui aderisce gran parte della dottrina e della giurisprudenza, vede nella sopravvivenza delle clausole statutarie, che sono contenute negli statuti delle società, la soluzione del conflitto di posizioni, in quanto ritengono che non devono essere affidata ad un soggetto estraneo la nomina di tutti gli arbitri. Infatti, a norma dell’art. 34, viene regolato soltanto un modello di arbitrato che si dovrà aggiungere, e non sostituire, a quello tradizionale.

L’intenzione del legislatore, quindi, non era quella di sopprimere, in ambito societario, la disciplina di diritto comune ma di creare una nuova forma di arbitrato concorrente con quella tradizionale.

Sostanzialmente, la riforma societaria ha definito le linee di una nuova specie arbitrale che, senza sostituire quello codicistico, lo affianca viaggiando su “binari paralleli”. A tal fine, i soggetti coinvolti nell’arbitrato societario[10] dovranno conformare la clausola compromissoria al sistema di nomina previsto dalla norma, con la conseguenza che se la clausola rimane quella tradizionale allora l’arbitrato sarà governato dalle norme di diritto comune.

Vengono, perciò, riservati alla disciplina arbitrale compromessi e clausole compromissorie non statutarie che si configurano come disciplina “speciale” rispetto a quella codicistica.[11]

Con l’introduzione del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5  il legislatore ha inteso fornire all’arbitrato nuovi strumenti, tra i quali notevole importanza riveste la clausola compromissoria statutaria, per la gestione e la risoluzione delle controversie che investono i rapporti giuridici interni alle società commerciali.

Diventa, dunque, necessario analizzare la nuova disciplina, prendendo in esame gli articoli, che sono di maggior rilievo: artt. 34, 35 e 36.

CAPITOLO SECONDO

DISCIPLINA

2.1 Articolo 34: oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutali

“1. Gli Atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.

  1. La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda la nomina è richiesta dal presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.
  2. La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia.
  3. Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro.
  4. Non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del Pubblico Ministero.
  5. Le modifiche dell’atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso.

2.2 Tipi di arbitrato societario e limiti oggettivi della clausola compromissoria statutaria

Prima dell’intervento della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, il legislatore non aveva specificatamente regolamentato l’arbitrato societario, essendo questo rimesso alla disciplina generale del codice di procedura civile di cui agli artt. 806 e ss[12].

Con la riforma, il legislatore affida all’organo esecutivo il potere di regolamentare clausole compromissorie contenute negli statuti delle società commerciali, “anche in deroga ai limiti circa la compromissiblità delle controversie stabilite negli artt. 806 e 808 c.p.c.”; è una disciplina fortemente innovativa che spazia dalla convenzione arbitrale al lodo, fino alla sua impugnazione. L’esigenza di estendere l’area della compromettibilità oltre i confini della transigibilità e della disponibilità del diritto veniva avvertita come primaria[13]. Inoltre, “nel caso che la controversia concerne questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto restando escluso il giudizio di equità, ed il lodo sarà imputabile anche per violazione di legge” (art. 12, 3 co., L.D. 366/2001).

La delega, che consente di ricorrere ad arbitri per “tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1 dell’art. 12”, esclude dall’ambito di applicazione la società semplice non commerciale e i consorzi, a meno che non rivestano la forma della società commerciale.

La legge delega specifica molto chiaramente i limiti e la portata dell’intervento del legislatore delegato per quanto concerne gli statuti societari contenenti clausole compromissorie.

Si può, dunque, distinguere, a seguito della riforma, una duplice tipologia di arbitrato relativo ai rapporti interni della società:

  1. a) l’arbitrato che trae origine dalla clausola compromissoria contenuta nello statuto, o nell’atto costitutivo, ab origine, oppure tramite un inserimento successivo, segue la disciplina speciale del citato D.Lgs. 5/2003: si applicano, quindi, le norme speciali ivi contenute e, per quanto non stabilito espressamente, quelle di diritto comune, salva la verifica di compatibilità, ex art. 1, 4 co., D.Lgs. 5/2003.
  2. b) l’arbitrato che, diversamente, trae origine da un compromesso a lite già insorta, oppure da una clausola compromissoria non contenuta nello statuto (ad es. inserita nei patti parasociali, o in contratti tra soci) è regolato dalla disciplina generale di diritto comune contenuta nel codice di procedura civile agli artt. 806 ss.

La legge delega aveva il fine di delimitare il perimetro di accesso all’arbitrato societario descrivendo l’ambito di vincolatività delle clausole compromissorie statutarie. D’altra parte non veniva trattato il procedimento arbitrale e, in particolare, non si faceva menzione di nessuna introduzione al procedimento arbitrale societario a carattere speciale. Gli artt. 34-37 del D.Lgs. 5/2003 hanno introdotto nella complessa materia una specie di “microsistema arbitrale”[14] che, riferendosi alle controversie tra i soci (ovvero tra soci e società), devolve agli arbitri, sulla base di clausole compromissorie statutarie, le liti poste in essere[15].

Perciò, nella trattazione del tema dell’arbitrato societario è necessario delineare l’ambito di applicazione della disciplina speciale, per poter individuare con esattezza le controversie soggette al regime introdotto dal decreto.

In primo luogo è necessario affermare che la volontà delle parti resta sovrana, e quindi occorre ancor prima avere al riguardo al tenore della clausola compromissoria, che, spesso, nella prassi risulta essere generico, indicando “tutte le controversie tra soci e società” o “fra soci” ovvero “fra società e organi sociali”. Dunque bisogna capire quali controversie vi rientrino in concreto.

Vi è una parte della dottrina[16] che ritiene che non siano ricomprese nella clausola compromissoria statutaria, le liti inerenti i patti parasociali, poiché estranee alla vita endosocietaria e quelle inerenti alla cessione di quote societarie tra soci[17]; queste liti si considerano, infatti, negozi autonomi rispetto all’atto costitutivo della società e quindi estranei.

Ma contro questa impostazione, un altro orientamento dottrinale[18] sostiene la presenza di due argomenti contrari.

In primo luogo, l’obiezione fondata sull’art. 1 del D.Lgs. in combinato disposto con l’art. 12, co. 1 e 3, l. delega; nella prima norma citata si legge che “si osservano le disposizioni del presente decreto” (dunque anche quelle relative all’arbitrato “speciale”), in un raggio amplissimo di controversie, che comprendono, oltre ai patti parasociali e all’acquisto di quote, qualsiasi altro negozio riguardante le partecipazioni sociali o i diritti inerenti, le vicende del rapporto sociale, le azioni di responsabilità. Autorevole dottrina[19], “ritenere che questa elencazione si applichi soltanto al contenzioso, davanti all’autorità giudiziaria e non all’arbitrato costituisce un postulato che va dimostrato”.

In secondo luogo l’art 12 cit. al 1 co., individua l’ambito di applicazione delle norme di procedura nel “diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed a i patti parasociali”; al 3 co., stabilisce che l’arbitrato da clausola compromissoria statutaria può coprire “tutte o alcune delle controversie di cui al co. 1”; ne consegue, sempre secondo la medesima norma, che “ogni limitazione dovrebbe provenire in modo espresso dal legislatore delegato, valendo in mancanza il raggio più ampio indicato dalla legge delega”.

Altra parte della dottrina[20] ritiene che il nuovo arbitrato societario si presenta come una particolare forma di “giustizia di gruppo”. Più nello specifico sostiene, che è “il gruppo sociale organizzato che può scegliere l’arbitro in luogo della giustizia togata per la soluzione delle controversie aventi ad oggetto la vita della società ed i rapporti correnti al suo interno”[21].

Infine, c’è chi sostiene[22] che, data la complessità del fenomeno societario, non mancano esempi di atti distinti e anonimi, eppure inseriti a pieno titolo nelle liti endosocietarie, come le delibere assembleari.

Le controversie che coinvolgono gli organi sociali, invece, devono essere specificate nella clausola statutaria a pena di inammissibilità dell’arbitrato.

La specifica controversia che rientra tra quelle inserite nella disciplina speciale deve essere compromettibile, e quindi suscettibile di copertura della clausola compromissoria.

L’art. 34, 1 co., stabilisce che non possono optare per l’arbitrato, le società c.d. aperte, cioè quelle che “fanno ricorso al mercato del capitale di rischio” a norma dell’art. 2325-bis c.c., vale a dire le società “emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in misura rilevante”[23]: si tratta di una incompromettibilità ex lege , la cui ratio è vista nell’esigenza di tutelare gli azionisti-investitori, “in una logica che costituisce il filo conduttore di tutta una serie di provvedimenti a tutela del consumatore del prodotto, finanziario e non”.[24]

Inoltre la controversia deve essere compromettibile “per sua natura”, e in questo caso, bisogna prima di tutto, fare riferimento ai dati normativi che si ricavano dagli artt. 34 e 35.

L’art. 34, 1 co., ribadisce la compromettibilità delle controversie, inerenti il rapporto sociale, “disponibili”; al  5 co. aggiunge che “non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge preveda l’intervento obbligatorio del p.m”[25].

La ratio della norma in esame chiarisce esplicitamente che nei casi in cui la legge preveda l’intervento del pubblico ministero non ci si potrà avvalere dell’arbitrato[26]. In materia societaria, fra i casi di intervento obbligatorio del p.m. che vengono previsti ex positivo jure, va menzionato quello dell’art. 2436, 4 co., c.c. che tratta la materia di procedimento giudiziario di iscrizione nel registro delle imprese delle modifiche statutarie, nei casi in cui il notaio non vi abbia provveduto. Altro caso è quello dell’art. 2487, 4 co., c.c. che tratta della revoca giudiziale dei liquidatori[27].

Considerato il fatto che la disposizione dell’art. 34, 1 co., non comprende per intero quella del successivo 5 co.[28], è opportuno ritenere che quest’ultimo comma si aggiunga alle disposizioni contenute nel primo comma con la funzione di norma “speciale” in parte qua. Perciò, le controversie in cui sarà obbligatorio l’intervento del p.m. (ex art. 70 c.p.c.) non saranno compromissibili anche nel caso in cui abbiano ad oggetto diritti disponibili. Questo perché, in caso contrario si svuoterebbe il significato del dettato normativo dell’art. 70 c.p.c., non permettendo al p.m. di intervenire nella procedura arbitrale facendo sorgere così un dubbio di costituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost. Questo a causa del diverso trattamento riservato alla controversia a seconda che penda davanti ad un giudice dello Stato o dinanzia ad un arbitro[29].

L’art. 35, stabilisce la sindacabilità delle questioni non compromettibili ed introduce, al 4 co., il principio in base al quale “le statuizioni del lodo sono vincolanti per la società” sia che abbiano ad oggetto tali questioni, sia che abbiano per oggetto impugnative di delibere assembleari.

2.3 Limiti soggettivi della clausola compromissoria statutaria

L’art. 34. 3 co., statuisce che l’inserimento, nello statuto societario o nell’atto costitutivo, della clausola compromissoria è “vincolante per al società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia”[30]. Il vincolo (ai sensi dell’art. 34, 4 co.) è esteso anche alla società la quale, pur non partecipando all’atto costitutivo perché successiva ad esso, nasce conformata dai patti espressi dai suoi membri e, di conseguenza, contiene nello statuto di costituzione, l’opzione arbitrale, quale strumento di risoluzione delle controversie che la coinvolgono.

La facoltà di introdurre una clausola compromissoria nello statuto, già perfezionato, richiede la maggioranza di almeno due terzi del capitale sociale, mentre nel caso in cui il patto commissorio sia stipulato, anche con atto separato (ma parte integrante dell’atto costitutivo), contestualmente al perfezionamento dell’atto costitutivo, diventa necessaria l’unanimità dei soci[31]. In ogni caso si tratta di clausola compromissoria statutaria ai fini dell’applicazione della disciplina speciale, in quanto il riferimento all’atto costitutivo (o allo statuto) prevale sulla formale incorporazione documentale in quest’ultimo.

A queste disposizioni fanno da corollario quelle contenute nell’art. 35, 4 co., secondo il quale la statuizione del lodo è vincolante per la società. Questo perché l’efficacia della clausola compromissoria si riflette sugli effetti del lodo in quanto le statuizioni dello stesso lodo sono vincolanti sia per le parti del procedimento sia per le società e di conseguenza per tutti i soci che, di riflesso, ne subiscono gli effetti[32]. La vincolatività del lodo societario, inoltre, va integrata con la disciplina del diritto comune contenuta nell’art. 824, 1 co., c.p.c. (modificato dal D.Lgs. 40/2006), che statuisce che “il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunziata dall’autorità giudiziaria”.

Il dettato normativo dell’art. 824, 1 co., c.p.c., esprime precisamente la volontà del legislatore di attribuire al lodo perfezionato un’efficacia vincolante tra le parti che intervengono nel procedimento. Questa efficacia è pari a quella di una sentenza che decida su una domanda giudiziale di contenuto identico a quella di arbitrato e ad una che è stata stabilita nel momento in cui il lodo diventa non più impugnabile per nullità, ovvero pari alla cosa giudicata (artt. 327 c.p.c. e 2909 c.c.).

L’ordinamento, infatti, “ritiene meritevole di tutela l’intento negoziale di vedere decise le liti dai giudici privati e non statali che equipara il contenuto giuridico e la forza vincolante del giudizio arbitrale, emesso eseguendo un mandato privato, a quelli della sentenza pronunciata dal giudice”[33].

Nel D.Lgs. 5/2003 non si fa esplicito riferimento a coloro che diverranno soci successivamente alla stipulazione della clausola compromissoria; l’ipotesi si diversifica in diverse fattispecie[34] ma è, in genere risolta, a favore dell’estensione del vincolo compromissorio.

Per ciò che attiene agli organi sociali, prima della novella, si era ritenuto che la clausola compromissoria statutaria non potesse vincolare gli organi sociali, che non rivestissero anche lo status di soci (perciò, in particolar modo, nelle società di capitali) e che non l’avessero espressamente accettata[35], a prescindere dal fatto che la convenzione arbitrale facesse menzione anche delle liti riguardanti i suddetti organi.

La legislazione speciale è intervenuta sul punto e ha stabilito, al contrario, che l’accettazione dell’incarico da parte degli organi sociali importa accettazione della clausola compromissoria che contempli espressamente controversie loro inerenti. La norma va, inoltre, estesa ai nuovi organi societari, introdotti con la riforma sostanziale, cioè consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza.

Vincolati dalla clausola compromissoria statutaria sono coloro che vi hanno prestato espresso assenso; coloro che abbiano assunto la qualità di socio della società, dopo la stipula della clausola, o per successione o per acquisto di nuove quote; coloro che siano succeduti nei rapporti patrimoniali inerenti lo status del socio; gli organi sociali che abbiano accettato l’incarico.

Nei confronti di tutti gli altri (creditori, e soggetti terzi) non è opponibile alcun vincolo compromissorio, in base al principio di relatività espresso dall’art. 1372 c.c. e valido anche per la clausola compromissoria, che è un contratto. Si rileva però[36] una “consistente” eccezione alla regola: l’art. 34, 3 co., afferma che la clausola compromissoria opera anche nei riguardi di “coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia”. A questa disposizione si sono date interpretazioni divergenti.

Una parte della dottrina[37] ritiene che la norma non può avere l’effetto di estendere la cognizione arbitrale al terzo che, per accertamento degli stessi arbitri, non abbia rivestito la qualità di socio all’epoca dei fatti in causa e non sia vincolato per altra via al patto commissorio.

Secondo  altri[38], la norma andrebbe applicata solo ove l’oggetto della controversia riguardi in via diretta le norme statutarie, “come per es. il gradimento dei soci all’ingresso del terzo”.

I terzi, inoltre, titolari di rapporti giuridici autonomi o non, connessi con quello oggetto dell’arbitrato, hanno facoltà di intervenire volontariamente nel processo.

2.4 Le modalità di nomina del tribunale arbitrale nella clausola compromissoria statutaria.

L’art. 34,  2 co., prevede che la clausola compromissoria statutaria contenga, a pena di nullità, la previsione secondo cui la designazione deve avvenire ad opera di un soggetto estraneo alla società. La previsione secondo cui, quindi, la nomina appartenga a un terzo può contrastare col principio volontaristico, nel momento in cui, infatti, impone alle parti non la scelta arbitrale, ma la scelta degli arbitri. L’art. 34, introduce una deroga alla disciplina ordinaria, in quanto prevede che la nomina dell’arbitro, fatta come atto negoziale di integrazione del compromesso e della clausola compromissoria, debba essere fatta personalmente dalle parti o dal procuratore (ovviamente munito del relativo potere negoziale)[39]. Quindi, di conseguenza, la scelta degli arbitri deve essere fatta dalle parti stessa liberamente.

La giurisprudenza[40], inoltre, ha ritenuto che tale previsione si porrebbe in contrasto con la lettura costituzionale dell’arbitrato, che “è tale sia per la scelta di esso compiuta dalle parti in luogo dei rimedi ordinari che per la scelta degli arbitri fatta liberamente dalle parti stesse, tanto che, se i componenti di un collegio siano designati con criteri diversi da quelli della libera scelta delle parti, si tratterebbe di un vero e proprio organo di giurisdizione speciale (come tale, illegittimo)”.

Secondo la previsione dell’art. 34 è legittima e giustificata in primo luogo perché “la volontarietà dell’arbitrato è garantita dalla libera scelta delle parti dello strumento di tutela e non riguarda il diverso rapporto tra questi e gli arbitri, che va tenuto ben separato, nella tradizione moderna, dalla convenzione arbitrale; in secondo luogo perché, a maggior ragione, a differenza degli appalti pubblici, alle parti è data la possibilità di scegliere l’autorità designante, dotata dei necessari requisiti di terzietà[41]“. A questo segue la conclusione che “ove le parti, nulla abbiano previsto in merito alla nomina, soccorra l’art. 809 c.p.c., applicabile alla fattispecie tramite il rinvio alla disciplina comune per quanto non previsto; ove, invece, le parti abbiano previsto una modalità di nomina diversa da quella prescritta, opera la sanzione dell’invalidità”[42].

Se i componenti di un collegio vengono designati con criteri diversi da quelli della libera scelta delle parti, si verrebbe a formare un vero e proprio organo di giurisdizione speciale e come tale illegittimo[43].

Inoltre, l’art. 810 c.p.c. prevede, in riferimento alla nomina degli arbitri, che le parti eseguano la nomina rendendo noto, con atto notificato a mezzo d’ufficiale giudiziario, all’altra parte l’arbitro o gli arbitri che essa intende nominare, intendo inoltre l’invito a designare i propri. La parte che riceverà l’invito dovrà notificare nei venti giorni successivi, le generalità dell’arbitro o degli arbitri da essa nominati.

L’art. 34 prosegue prevedendo che, in mancanza di nomina da parte del terzo estraneo, debba provvedere il presidente del tribunale.

2.5 Articolo 35: disciplina inderogabile del procedimento arbitrale

“1. La domanda di arbitrato proposta dalla società o in suo confronto è depositata presso il registro delle imprese ed è accessibile ai soci.

  1. Nel procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria di cui all’articolo 34, l’intervento dei terzi a norma dell’articolo 105 del codice di procedura civile nonché l’intervento di altri soci a norma degli articoli 106 e 107 dello stesso codice è ammesso fino alla prima udienza di trattazione. Si applica l’art. 820, comma secondo, del codice di procedura civile.
  2. Nel procedimento arbitrale non si applica l’articolo 819, primo comma, del codice di procedura civile; tuttavia il lodo è sempre impugnabile, anche in deroga a quanto previsto per l’arbitrato internazionale dall’articolo 838 del codice di procedura civile, a norma degli articoli 829, primo comma, e 831 dello stesso codice.
  3. Le statuizioni del lodo sono vincolanti per la società.
  4. La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell’efficacia della delibera.

5-bis. I dispositivi dell’ordinanza di disposizione e  del lodo che decide sull’impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.”

La disciplina dell’arbitrato societario, come già detto, presenta un carattere di specialità e prevale su quella dell’arbitrato rituale e rimane applicabile ad esclusione dei casi in cui venga derogata.

Prima di analizzare la disciplina dell’art. 35, occorre rilevare la rubrica legis dell’art. 35, rubricata “disciplina inderogabile del procedimento arbitrale”. Si ritiene che qui il legislatore intenda rafforzare un duplice principio, in base al quale, da un lato, il procedimento arbitrale da clausola compromissoria societaria, contiene, più di quello di diritto comune, una serie di regole non disponibili; dall’altro lato, che si tratta di un complesso normativo unitario, non solo non derogabile ma neppure scomponibile ai fini ermeneutici[44].

 

2.6  Il deposito della domanda presso il registro delle imprese

L’art. 35, 1 co., stabilisce che “la domanda di arbitrato proposta dalla società o in suo confronto è depositata presso il registro delle imprese ed è accessibile ai soci”.

Su questo punto è necessario specificare che solo le domande “qualificate” di arbitrato, delineate dagli artt. 669 octies c.p.c. e 2943, 2652, 2653, 2690 e 2691 c.c.[45], che vedono come parte la società, possono essere depositate, e non anche quelle che riguardano singoli soci; inoltre il registro delle imprese è quello della sede della società e non è previsto il deposito del lodo. Il deposito[46] è limitato all’atto introduttivo, che non dovrà contenere la nomina dell’arbitro di parte ma la richiesta al “soggetto esterno” individuato nell’atto costitutivo di procede alla “nomina di tutti gli arbitri” ai sensi dell’art. 34[47], senza estendersi ad altri atti del procedimento[48].

Va chiarito, inoltre, che la ratio della norma in esame è quella di rendere nota a terzi la pendenza del procedimento arbitrale al fine di permettere a soggetti eventualmente interessati di prenderne atto e decidere successivamente sull’eventualità di effettuare un intervento[49].

Inoltre, va evidenziato, che non c’è coincidenza tra i soggetti legittimati all’intervento e quelli che possono avere accesso alla domanda di arbitrato[50]. Infatti, sono soltanto i soci a poter avere questa facoltà, in quanto la legittimazione deriva dal contemperamento tre l’esigenza di apertura del procedimento a terzi e quella di tutela della riservatezza[51]. Questa condizione non è superabile in via interpretativa[52], in quanto gli amministratori, che sono gli unici a poter accedere al registro per conto della società, sono soggetti all’efficacia della clausola compromissoria a norma dell’art. 34, 4 co.[53].

Va aggiunto che alla domanda arbitrale andranno allegati e comunque depositati anche gli allegati alla stessa, in quanto questi, molto spesso, assumono una rilevanza decisiva nella precisazione e chiarimento della portata della controversia[54].

Per garantire ai potenziali intervenienti la portata a conoscenza dei termini della controversia andrà depositata presso il registro delle imprese anche al comparsa di costituzione del convenuto, specialmente nel caso che contenga domanda riconvenzionale[55].

Il mancato deposito, per parte della dottrina[56], resterebbe privo di conseguenze; si tratta, infatti, di una sorta di “pubblicità-notizia” la cui inosservanza è però inidonea a comportare sanzioni[57].

Secondo altra parte[58], il mancato deposito della domanda arbitrale comporterebbe la non applicabilità del limite preclusivo della “prima udienza di trattazione” come stabilito dal 2 co., per l’intervento di terzi che provoca di conseguenza l’ammissibilità dello stesso fino alla remissione della causa in decisione.

Va, inoltre, aggiunto che la legge non da nessun termine per il deposito che comunque dovrà avvenire ento la prima udienza di trattazione. Un tale deposito appare chiaramente pregiudizievole per i potenziali intervenienti in quanto li priverebbe del tempo necessario per la preparazione della propria difesa. A tal fine, gli arbitri dovranno verificare che decorra un tempo sufficientemente adeguato tra il deposito e la prima udienza e in caso contrario sono chiamati a rinviare la trattazione assegnando al terzo un termine congruo per il deposito delle memorie[59].

2.7 L’intervento dei terzi

Una delle novità più importanti nel panorama normativo in materia di arbitrato societario è l’intervento dei terzi nel giudizio arbitrale. L’art. 35, co. 2, stabilisce che “nel procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria di cui all’articolo 34, è ammesso l’intervento di terzi a norma dell’articolo 105 c.p.c. nonché l’intervento di altri soci a norma degli articoli 106 e 107 c.p.c.”. La norma dunque accoglie l’intervento dei terzi in misura più considerevole rispetto all’art. 816-quinquies c.p.c. che, mentre legittima sempre l’intervento previsto dall’art. 105, 2 co., c.p.c., permette l’intervento volontario o la chiamata in arbitrato di un terzo “solo con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri”.

Va rilevato, inoltre che il testo della norma in esame opera una distinzione tra gli interventi. Infatti se da un lato consente l’intervento volontario a tutti i terzi, dall’altro limita notevolmente ai soci quello su chiamata.

La ratio di questa restrizione trova il suo fondamento nella circostanza che il terzo, intervenendo nel procedimento arbitrale, diviene il destinatario degli effetti derivanti dal lodo. Per questa ragione il legislatore ha ritenuto opportuno limitare l’intervento coatto ai terzi che sono già vincolati dal patto compromissorio.

Un interpretazione conforme a quanto appena detto è stata data dalla dottrina[60] che ritiene giusto consentire la chiamata anche della società e degli amministratori terzi rispetto al giudizio ma non rispetto all’ambito della clausola e dell’efficacia del lodo.

Gli interventi di terzi sono ammessi fino alla prima udienza di trattazione. Tale considerazione ha indirizzato una parte della dottrina[61] a sostenere che il procedimento arbitrale “debba necessariamente venir scandito in udienza”.

Una posizione differente è stata presa da altra parte della dottrina[62] che ritiene che l’articolazione del procedimento arbitrale resta libera e quindi in mancanza dell’udienza, il termine finale per l’espletamento dell’intervento cesserebbe a causa dell’allegazione degli scritti che determinano il thema disputandi. Va per detto che in caso di intervento, il termine per la pronuncia del lodo può essere soggetto a proroga (concessa una sola volta a norma dell’art. 820, 2 co., c.p.c.).

Per quanto concerne l’effettiva esperibilità del diritto di intervento di terzi nel procedimento arbitrale, va detto che questa è garantita in base all’art. 35, 1 co., sugli obblighi di pubblicità e più precisamente la norma prevede che la domanda di arbitrato, che è stata proposta dalla società o “in suo confronto”, venga depositata, come detto in precedenza, presso il registro delle imprese e accessibile a tutti i soci[63].

Passando, ora, ad esaminare l’intervento coatto (ex art. 107 c.p.c.) i giuristi si sono interrogati sulle conseguenze derivanti dalla mancata esecuzione dell’ordine di chiamata in causa del terzo. La prevalente dottrina[64] ritiene che l’arbitro possa pronunciare un lodo in cui dichiari di non poter decidere. Contrariamente a questo indirizzo ve n’è un altro che ritiene che l’arbitro debba “pronunciare il lodo solo nei confronti delle parti presenti”[65].

Quanto all’intervento volontario, l’ampiezza della formulazione della norma porta a ritenere ammesso, sia un intervento adesivo dipendente, che consente al terzo di intervenire a sostegno di una delle parti, sia un intervento innovativo, nel qual caso però, perché la domanda proposta dal terzo, non ricompresa nella clausola compromissoria, possa formare oggetto di decisione arbitrale, occorre il consenso delle parti.

2.8  Pregiudizialità tra arbitrato e processo civile nell’arbitrato societario.

In base all’art. 35, 3 co.,: “nel procedimento arbitrale non si applica l’articolo 819, primo comma, del codice di procedura civile”.

Secondo l’interpretazione prevalente[66], quest’ultima norma vieta all’arbitro di risolvere incidenter tantum le stesse questioni, sulle quali non potrebbe pronunciare una statuizione vincolante se esse costituissero il vero e proprio oggetto dell’arbitrato. Inoltre, costituisce una particolare ragione di debolezza dell’arbitrato rispetto al processo giudiziario, nel quale il giudice risolve incidenter tantum tutte le questioni che gli si presentano come antecedenti logici della decisione.

Per questa ragione, parte della dottrina[67] ne suggerisce l’abrogazione anche sul fronte del diritto comune dell’arbitrato. Ma comunque la si pensi sul versante del diritto comune, una norma come quella contenuta nell’art. 819, 1 co., c.p.c. è totalmente priva di senso, una volta constatato che, quanto ai rapporti interni al gruppo sociale, l’arbitro può pronunciare su materia normalmente non compromettibile anche delle statuizioni vincolanti. In conseguenza, il legislatore delegato ne prende atto, in modo da attribuire all’arbitro gli stessi poteri, che nel processo giudiziario sono propri del giudice togato.

L’articolo richiamato, al 1 co., infatti, stabilisce che “gli arbitri risolvono senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se vertono su materie che non possono essere oggetto di convenzione di arbitrato, salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge”.

Dunque la disposizione della prima parte del terzo comma dell’articolo 35 esclude per arbitrato da clausola compromissoria statutaria l’applicazione dell’art. 819, 1 co., c.p.c., e quindi permette agli arbitri societari di statuire incidentalmente su questioni pregiudiziali che, per legge, non potrebbero essere oggetto di giudizio arbitrale, senza dover sospendere il procedimento in attesa della decisione del giudice ordinario.

L’obiettivo è quello di creare una giurisdizione arbitrale il più possibile autosufficiente e libera da legami con la giustizia ordinaria[68].

2.9 Impugnabilità ed effetti del lodo

All’estensione dei poteri degli arbitri societari, che per molti aspetti, come si è visto, possiedono le prerogative funzionali dei giudici statuali, il legislatore pone, quale contrappeso, la più ampia portata del giudizio secondo diritto ed una disciplina blindata delle fasi di impugnazione.

La seconda parte del 3 co. dell’art. 35 prevede che il lodo sia sempre impugnabile, anche in deroga a quanto previsto per l’arbitrato internazionale dall’art. 838 c.p.c., a norma degli artt. 829, 1 co., e 831 c.p.c.

Il lodo può essere annullato:

  1. a) per l’invalidità della convenzione di arbitrato (art. 808-ter, 2 co., n. 1, c.p.c.);
  2. b) per ultra petita[69] alla condizione di aver sollevato la relativa eccezione nel procedimento arbitrale (art. 808-ter, 2 co., n. 1, c.p.c.);
  3. c) per violazione delle forme e dei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale per la nomina degli arbitri (art. 808-ter, 2 co., n. 2, c.p.c.);
  4. d) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell’art. 812 c.p.c. (art. 808-ter, 2 co., n. 3, c.p.c.);
  5. e) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo (art. 808-ter, 2 co., n. 4, c.p.c.);
  6. f) se nel procedimento arbitrale non è stato rispettato il principio del contraddittorio (art. 808-ter, 2 co., n. 5, c.p.c.). Va sottolineato, che nel procedimento il contraddittorio, dovrà essere rispettato in concreto, mentre è indifferente che ciò sia avvenuto in ossequio o meno alle norme processuali che hanno disciplinato quel processo[70].

Le statuizioni del lodo, art. 35, 4 co., del D.Lgs. 5/2003, sono vincolanti per la società.

In questo modo le disposizioni contenute nell’art. 35 hanno l’effetto di impedire che possa essere pattuita tra le parti la compressione dei mezzi di impugnazione del lodo. Secondo una parte della dottrina[71], esse non colpiscono gli arbitrati nazionali, per i quali le norme richiamate (artt. 829, 1 co., e 831) già prevedono la querela nullitatis e le impugnazioni straordinarie come facoltà inderogabilmente concessa alle parti, mentre incidono sull’arbitrato internazionale.

La disposizione in esame è ricca di implicazioni, oggetto di discussione da parte della dottrina. Secondo autorevole dottrina[72], “la chiave di lettura più corretta di questa breve ma importante disposizione è quella che utilizza la nozione di efficacia ultra partes delle decisioni. Il lodo da clausola compromissoria statutaria ha un’efficacia che coinvolge altri soggetti, rimasti terzi rispetto all’arbitrato, le cui posizioni soggettive subiscono conseguenze da quelle rese oggetto della pronuncia. Se l’interpretazione proposta è corretta, ne segue che non soltanto gli effetti del lodo fra i soci o fra un socio ed un altro soggetto si ripercuotono sulla società, ma anche gli effetti di ogni lodo che riguardi la società hanno conseguenza sui componenti il gruppo sociale. L’espansione di questi effetti dipende dalla struttura sostanziale della situazione soggettiva tutelata.”

Il lodo da clausola compromissoria societaria ha un effetto di accertamento che va in ogni caso oltre la semplice soluzione della lite fra le parti, ma si esplica su tutti i consociati raccolti nel gruppo societario, non uti singuli, ma in quanto componenti dalla società. Questo si verifica tutte le volte che è la società a mettersi in gioco, ma anche quando la pronuncia tocca di per sé soltanto rapporti reciproci fra più soci. Questa efficacia più ampia del lodo verrebbe ad influenzare la generalità dei soci per una sorta di effetto espansivo conseguente alla clausola compromissoria, a cui tutti sono, per definizione, vincolati[73]. La lite fra due soci ha un risultato che coinvolge l’intero gruppo, il che fra l’altro da una spiegazione alla questione che i soci possano sempre non solo intervenire volontariamente, ma anche essere chiamati in causa.

2.10 Tutela cautelare dinanzi al giudice ordinario e poteri cautelari degli arbitri

L’art. 35, nella prima parte del 5 co., precisa che la devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’art. 669-quinquies c.p.c.

La tutela cautelare può essere domandata al giudice, sia prima dell’instaurazione del procedimento arbitrale che in pendenza del giudizio dinanzi agli arbitri. In ogni caso, il legislatore, eliminando ogni dubbio, precisa che, in materia societaria, un procedimento cautelare, anteriore all’avvio del giudizio arbitrale o proposto a giudizio arbitrale pendente, è sempre ammissibile.

La seconda parte del 5 co., dell’art. 35 prevede che, se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell’efficacia della delibera.

Viene così attribuito, agli arbitri, un diretto potere cautelare. Si tratta di una clausola che si estende anche nella materia della validità delle delibere assembleari (in cui gli arbitri, in forza dell’art. 36 devono decidere secondo diritto) e si concretizza il potere degli arbitri di “paralizzare” provvisoriamente gli effetti della delibera oggetto dell’impugnativa[74].

L’attribuzione di poteri cautelari agli arbitri non è una novità, neppure per l’ordinamento italiano, nonostante il disposto dell’art. 818 c.p.c.. Infatti, se si tiene conto che le parti possono disciplinare liberamente molti aspetti del procedimento[75], in specie mediante rinvio a regolamenti di procedura di istituzioni di arbitrato amministrato, e che taluni di questi regolamenti prevedono che gli arbitri possano emettere misure sostanzialmente cautelari[76], se ne deve ricavare che questa possibilità è meno nuova di quanto non possa apparire ad un primo sguardo.

Certo, a differenza di altri sistemi[77], le norme italiane di diritto positivo non prevedevano finora la facoltà per gli arbitri di dare provvedimenti cautelari e qui, indubbiamente, si colloca l’originalità della norma in esame.

La questione dell’affidamento del potere cautelare agli arbitri riguarda non la pronuncia, ma l’esecuzione del provvedimento, che, nel contesto delle norme regolamentari sopra richiamate, è possibile solo in forma spontanea. Ora, l’ultimo comma dell’art. 35 del D.Lgs. 5/2003, ha, in un certo modo, ampi consensi, perché qui la misura cautelare è semplicemente un’inibitoria dell’efficacia della delibera assembleare.

L’ordinanza di sospensione non presuppone un scalfittura coattiva sulla materialità delle cose, ma semplicemente, come abbiamo detto, “paralizza” l’efficacia di una delibera, che si trova temporaneamente privata dei propri effetti[78].

Anche se si è sempre ritenuto che la natura privata degli arbitri impedisse l’uso di qualsiasi potere coercitivo, tuttavia le parti, nel disciplinare le regole del procedimento, possono fare rifermineto ai regolamenti delle istituzioni di arbitrato amministrato, in cui compare talora il riferimento a poteri di tipo cautelare[79].

Secondo alcuni giuristi[80] se è vero che il legislatore attribuisce agli arbitri poteri che ne avvicinano la funzione a quella del giudice ordinario, è anche vero però che non si giunge al punto di dare agli arbitri la forza di emanare comandi materialmente coercibili. La concessione della misura sospensiva non può prescindere da una rigorosa considerazione delle pretese di merito fatte valere e dall’analisi dell’effetto che il provvedimento avrebbe sugli interessi contrapposti.

2.11 Pubblicità delle decisioni sulle controversie relative alle delibere assembleari.

Il D.Lgs. n. 37 del 6 febbraio 2004 ha modificato il testo originario dell’art. 35, introducendo un comma 5-bis. La nuova disposizione stabilisce che i dispositivi dell’ordinanza, con cui il collegio abbia eventualmente disposto la sospensione di una delibera assembleare, e del lodo che decide sull’impugnazione, devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.

La  norma va letta in combinato disposto con la disposizione di cui all’art. 2378 c.c. che prevede analogo deposito per il decreto di sospensione e la sentenza resi dall’autorità giudiziaria[81].

Il legislatore ha,quindi, esteso il meccanismo informativo, riguardante l’arbitrato societario, anche alle vicende relative alle delibere assembleari impugnate.

L’iscrizione riguarda il mero dispositivo delle ordinanze cautelari arbitrali che accolgono l’istanza di sospensione e dei lodi che decidono sull’impugnazione, sia che accolgano, sia che rigettino l’impugnativa.

La pubblicità di cui in commento, va precisato in ogni caso, che non appare affatto obbligatoria quando la controversia coinvolga soltanto i soci, probabilmente ad avviso di parte della dottrina[82], questa scelta legislativa è dovuta alla necessità di rendere possibile ai soci l’intervento nel processo arbitrale che attiene la società.

Occorre precisare che, mentre, la domanda va semplicemente depositata, con tutte le conseguenze in ordine alla natura di tale pubblicità ed agli effetti della sua eventuale inosservanza, i dispositivi dell’ordinanza e del lodo vanno iscritti; si riconosce quindi, a questi adempimenti un’efficacia analoga a quella di ogni altra iscrizione obbligatoria sul registro delle imprese, specialmente per ciò che concerne i rapporti con i terzi.

Nei rapporti fra le parti, invece, gli effetti devono ricondursi immediatamente al momento della pronuncia.

Si osservi, peraltro che la norma su citata non prevede espressamente le conseguenze circa la mancata pubblicità. Ora, è noto che, la pubblicità la quale rappresenta un onere, nel senso che se non viene effettuata ne derivano effetti di solito sfavorevoli per chi aveva l’onere di farla.

Ma in questo caso non sembrano palesarsi quali siano per l’appunto le conseguenze negative che per l’appunto il mancato rispetto di detto onere dovrebbe ricollegare.

Tanto detto, ne deriva che,il caso prospettato al comma 5-bis del D.Lgs. n. 37 del 6 febbraio 2004 è senza dubbio un’ipotesi di pubblicità notizia al cui compimento non è fatto discendere alcun effetto.

Secondo taluni, essa può essere compita da chiunque[83] analogicamente a quanto previsto in tema di trascrizione (art. 2666 c.c.)  altri[84], argomentando dal tenore dell’art. 35, co. 5-bis, affermano che obbligati al deposito siano gli amministratori. Tra l’altro non sarebbe ragionevole che i terzi vengano messi al corrente degli arbitrati che coinvolgono la società e non anche delle controversie portate innanzi alla giurisdizione. Ne deriva come sostenuto da parte della dottrina che il registro delle imprese funge da “mero depositario della domanda di arbitrato”.

2.12 Giudizi di costituzionalità sull’articolo 35.

Su alcuni punti dell’art. 35, in esame, vi sono state censure di incostituzionalità.

Innanzitutto è stato rilevato che, mentre l’art. 12, 3 co., della legge di delega dispone solo in relazione all’ambito dell’arbitrabilità delle controversie societarie e dell’estensione delle clausole compromissorie, il legislatore delegato si è incaricato, invece, di introdurre un rito speciale per l’arbitrato societario, dando luogo, quindi, ad un eccesso di delega, con il conseguente contrasto con la norma in oggetto con l’art. 76 Cost.

Ma secondo parte della dottrina che “difende” l’art. 35[85], il legislatore delegato, dovendo impostare un arbitrato in base alla clausola compromissoria societaria, non poteva non introdurre talune cautele sul piano del procedimento, come del resto si evince dalle disposizioni della legge n. 366 del 2001 in tema di arbitrato secondo diritto e di impugnabilità del lodo; così, l’art. 35 appare costituzionalmente legittimo.

Un altro dibattito ha riguardato una potenziale lesione dell’articolo 102 Cost., nel senso che il legislatore avrebbe introdotto una sorta di giurisdizione speciale. Ma secondo gran parte della dottrina[86], le parti hanno conservato almeno una libertà: quella di non inserire clausole compromissorie negli statuti e negli atti costitutivi, e questo è sufficiente per elevare uno schermo di tutela.

Ne deriva quindi, per parte della dottrina[87], che l’arbitrato societario può essere letto come costituzionalmente legittimo solo ove le parti le parti lo abbiano scelto di comune accordo[88]. Ma per sottrarre una controversia all’autorità giudiziaria è necessario un negozio in materia di diritti disponibili e non in materia non disponibile non è consentito[89].  Invece ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. n. 5 del 2003, in realtà il legislatore ha perseguito l’estensione dei casi di arbitrabilità anche nell’area della indisponibilità.

Ne deriva, a ben vedere, che nella materia societaria non possono realizzarsi i presupposti di un arbitrato costituzionalmente legittimo.

Ovviamente questa prospettiva cambia se si parte dal presupposto che  l’accordo negoziale delle parti ha ad oggetto la scelta di un giudice privato invece del giudice dello Stato: poichè la scelta del giudice non attiene alla disciplina del rapporto sostanziale, ed è pertanto ammissibile per ogni tipo di controversia.  Da questa tesi se ne trae che la tesi favorevole alla natura negoziale dell’arbitrato. Partendo da questo presupposto la dottrina[90] più avveduta ha pertanto affermato che il legislatore ha piena facoltà di scelta nella soluzione del problema relativo ai presupposti di legittimità.

Nondimeno ancora è stato osservato che la stessa legge delega ammetteva che si potesse concepire l’arbitrato societario anche in materia di diritti indisponibili. Il testo della delega prevedeva infatti che “nel caso che la controversia concerna questioni che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto, restando escluso il giudizio di equità”.

Ebbene, la legge delega sembrava ammettere senza limitazioni l’arbitrato in materia di diritti

indisponibili.

Se ci si sofferma testualmente però sull’art. 819 c.p.c., 1 co., il quale afferma che “quando in un giudizio arbitrale sorge una questione arbitrale che non può formare oggetto di arbitrato allora gli arbitri devono sospendere il giudizio arbitrale e attendere che sulla questione pregiudiziale si pronunci il giudice togato” ovvero il giudice dello Stato, se ne ricava, una tesi favorevole all’incostituzionalità dell’arbitrato societario[91].

Ma ad ogni buon conto va osservato che l’art. 35, 3 co., dispone che “nel procedimento arbitrale non si applica l’art. 819 c.p.c., 1 co.”. Questo significa che incidenter tantum gli arbitri in materia societaria si possono pronunciare anche su questioni non compromettibili in arbitri ma incidenter tantur. La logica conseguenza di quanto sin qui detto è quindi che la regola è che soltanto i diritti disponibili possono formare oggetto di arbitrato, ma l’eccezione è che, incidenter tantum, gli arbitri si possano pronunciare su questioni relative ai diritti indisponibili[92].

 

2.13 Articolo 36: decisioni secondo diritto

  1. Anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell’art. 829, secondo comma, del codice di procedura civile quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari.
  2. La presente disposizione si applica anche al lodo emesso in arbitrato internazionale.

2.14  La decisione secondo diritto.

L’art. 822 c.p.c. stabilisce che “gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati a pronunciare secondo equità”.

L’art. 36, 1 co., stabilisce che la decisione secondo diritto, che deve avvenire in caso di clausola compromissoria statutaria, da parte degli arbitri societari. Questa rappresenta una deroga alla disciplina generale dell’arbitrato, in quanto prevede che sia negli arbitrati interni che in quelli internazionali, gli arbitri debbano decidere sempre secondo diritto e con lodo impugnabile, anche per violazioni di legge e tutte le volte in cui per decidere abbiano conosciuto questioni non compromettibili o quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità delle delibere assembleari, anche se la clausola compromissoria li autorizza a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile[93].

In ogni caso, infatti, anche se le parti hanno voluto inserire nella clausola la decisione secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, quando ricorrono, alternativamente, due situazioni, gli arbitri devono, inderogabilmente, anche in caso di eventuale diversa volontà delle parti, decidere secondo diritto. In questo caso, la situazione va verificata in concreto, occorrendo infatti che il lodo si sia effettivamente basato sulla cognizione, seppur incidentale, di una questione non arbitrabile[94].

Sulla validità o no di delibere assembleari, il rapporto tra l’impugnabilità delle delibere assembleari con il riferimento compiuto dall’art. 34, in merito ai diritti disponibili, è stato oggetto di ampio dibattito della dottrina e di diverse posizioni. Secondo alcuni[95] il legislatore ha inteso dichiarare sempre e comunque arbitrabili queste controversie ed “è proprio la cautela con cui la norma in commento circonda le impugnative di delibere assembleari a suggerire che tutta questa materia debba considerarsi attratta nella sfera di arbitrabilità”[96].

Secondo altri[97], invece, l’impugnativa di delibere assembleari può costituire oggetto di arbitrato solo se, caso per caso, si tratti di materia disponibile o comunque transigibile.


[1] Rileva che la detta esclusione si fonda probabilmente sul fatto che nelle società in parola “la maggior parte dei soci svolge il semplice ruolo di investitori” LUISO F.P., Appunti sull’arbitrato societario, 2 della bozza provvisoria (www.judicium.it). Ritiene a questo proposito che di conseguenza il c.d. arbitrato societario finisce per essere applicabile solo alle “piccole società” RICCI E.F., Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, pp. 517 ss., in partic. 521. Fortemente critici sull’esclusione BERNARDINI P., Il decreto legislativo in attuazione dell’art. 12 della legge n. 366 del 3.10.2001 per la riforma del diritto societario, in Atti del Convegno su “Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie”, Roma 2003, pp. 21 ss., in partic. 22; CHIZZINI A., Il nuovo processo civile in materia societaria: promesse autonomie, altre regole e nuove inquisizioni, in corso di pubblicazione in Corr. giur., 13 della bozza prov. e CORSINI F., L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. it., 2003, pp. 1285 ss., in partic. 1291-1292. Favorevoli, invece, SASSANI B., TISCINI R., La riforma dei procedimenti in materia di diritto societario, in Giustizia civile, 2003, 2003, II, pp. 49 ss., in partic. 70, secondo i quali “non si può certo considerare infondata la preoccupazione che traspare dalla limitazione, cioè quella che considera l’inconsapevolezza dell’adesione nella grande maggioranza dei casi: si compra un fondo e ci si ritrova impediti dall’esercitare giudizialmente i propri diritti!”. Comunque è chiaro che tutte le altre società sono comprese, siano esse di persone o di capitali.

[2] SOLDATI N., Nullità della clausola compromissoria in seguito a mancato adeguamento, in Diritto e pratica delle società, n. 2/2005, p. 73; CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, Massima n. 3 – 21 gennaio 2004; BRUNELLI C., Arbitrato e conciliazione: le novità di interesse notarile nella riforma societaria, Relazione tenuta al convegno di studi organizzato dall’Associazione Sindacale dei Notai dell’Emilia Romagna, 2004, GIORGETTI M., BENIGNI E., La disciplina inderogabile del nuovo procedimento arbitrale societario. La decisione dell’arbitrato, in www.odc.mi.it, RICCI E.F., Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, pp. 525-526, NELA P.L., Commento all’art. 34, in Il nuovo processo societario. Commentario, a cura di Chiarloni, Bologna, 2004, pp. 929 ss.

[3] V. Trib. Bologna Sez. III, 07/04/2008: “In tema di arbitrato societario, non può essere accolta la tesi secondo cui le norme sull’arbitrato di diritto comune continuerebbero ad operare, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5/2003, sia con riferimento a clausole compromissorie preesistenti (che resterebbero quindi ultrattive), sia con riferimento a clausole compromissorie adottate ex novo, nonostante le previsioni del predetto decreto legislativo. Ed invero, le possibilità concesse sia dalla legge delega che dall’art. 14 del D.Lgs. n. 5/2003 confermano l’opzione fra la giurisdizione ordinaria statale e la compromettibilità delle future controversie agli arbitri, ma non intendono aggiungere all’opzione dell’arbitrato codicistico quella dell’arbitrato societario; a questa conclusione si potrebbe pervenire solo se il decreto legislativo avesse fatto espressamente salva l’opzione codicistica (“Salvo quanto previsto dal titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile”, et similia), e se l’art. 41 D.Lgs. n. 5/2003 non avesse richiamato e definito proprie norme inderogabili”.

[4] SOLDATI N., op. cit., p. 73; CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, op. cit.; BRUNELLI C., op. cit., non affronta direttamente il problema ma scrive che il potere di nomina di tutti gli arbitri ad un estraneo “è il nuovo requisito del D.Lgs. n. 5/2003, in direzione contraria rispetto alla prassi precedentemente consolidata. È proprio questo il nuovo requisito che incide in modo devastante su tutti gli statuti redatti conformemente alla prassi precedente, comportando la nullità della clausola compromissoria e la necessità di adeguamento della stessa”; GIORGETTI M., BENIGNI E., op. cit., indirettamente affermano che “Ne consegue, a contrario, che all’arbitrato, che si fonda su una clausola compromissoria statutaria, non si applicano le norme di diritto comune, quando esse siano contrastanti con le norme speciali contenute nel titolo V”; in tal senso sembra anche RICCI E.F., op. cit., pp. 525-526, il quale afferma che “Poiché si è in presenza di una particolare forma di giustizia del gruppo organizzato, la garanzia dell’indipendenza dell’arbitro richiede che lo stesso sia scelto da soggetto estraneo all’organizzazione societaria. Si parte qui dall’idea che la controversia, pur svolgendosi tra soggetti ben determinati, possa in realtà coinvolgere direttamente o indirettamente l’interesse di tutti i membri del gruppo ed il gruppo stesso come ente; e proprio per questo si diffida delle designazioni in qualche modo legate alla scelta compiuta da membri del gruppo o da suoi organi. Affidare la nomina degli arbitri ad un terzo era dunque la soluzione più consigliabile sotto tutti i profili”; NELA P.L., op. cit., pp. 929 ss., sulla base della ratio della norma volta comunque a sottrarre la nomina dell’arbitro alle parti.

[5] Così, SALI R., L’arbitrato per le nuove società. Dodici (piccoli) nodi applicativi e qualche proposta, in Giur. it., 2005, pp. 442 ss.

[6] LUISO F.P., Appunti sull’arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, pp. 707 ss.

[7] In tal senso DALMOTTO E., Commento all’art. 41, in Il nuovo processo societario. Commentario, a cura di Chiarloni, Bologna, 2004, p. 1097; BOGGIO L., Le clausole compromissorie statutarie alla luce dell’art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5 del 17 gennaio 2003, in Riv. arb., 2004, p. 210.

[8] ZUCCONI GALLI FONSECA E., La convenzione arbitrale nelle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, p. 957; CORSINI F., La nullità della clausola compromissoria statutaria e l’esclusività del nuovo arbitrato societario, in Giur. comm., I, 809 ss.; AULETTA F., La nullità della clausola compromissoria a norma dell’art. 34 d. lgs. 17.1.2003, n. 5: a proposito di recenti (dis-)orientamenti del notariato, in Riv. arb., 2004.

[9] Cass. 28 giugno 2000, n. 8794, in Contratti, 2001, p. 236.

[10] Vengono prese in considerazione anche le peculiari caratteristiche dell’arbitrato societario: il carattere vincolante erga omnes della clausola, l’ampliamento dell’arbitrabilità, l’efficacia del lodo nei confronti della società, l’ intervento di terzi, gli speciali poteri cautelari degli arbitri.

[11] MANDRIOLI C., Diritto processuale civile III, I procedimenti speciali di cognizioni e i giudizi arbitrali, Torino, 2008, p. 366 e ss.; CORSINI F., L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. It.., p. 1285.

[12] Ai sensi dell’art. 806 c.p.c. le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte, tranne che nell’ipotesi in cui esse vertano su diritti di cui le parti non possono disporre. L’art. 807 c.p.c. disciplina la forma del compromesso e prevede che debba contenere, a pena di nullità, l’oggetto della controversia. La determinazione dell’oggetto della cognizione del giudizio arbitrale avviene, nella prassi, mediante la formulazione di quesiti, attività che si  sostanzia nella proposizione, ad opera delle parti, delle questioni che gli arbitri sono chiamati ad esaminare e decidere. La clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.) è invece un patto accessorio ad un contratto con il quale le parti stabiliscono che le controversie che potranno nascere dal contratto medesimo saranno decise ad opera di privati, gli arbitri, attraverso una decisione che, nel nostro diritto positivo, viene denominata lodo arbitrale. Quindi la clausola compromissoria può riguardare solo controversie contrattuali, e viene stipulata prima che queste controversie sorgano.

[13] D’altronde, già la bozza Mirone (ddl. di riforma delle società non quotate, approvato dal Consiglio dei ministri il 26 maggio 2000) all’art. 11, con un indicazione netta ed inequivocabile, prevedeva che gli statuti delle società commerciali avrebbero potuto contenere clausole per arbitrato su materie indisponibili e non transigibili.

[14] Cfr. ARIETA G., DE SANTIS F., Commentario dei processi societari, Torino, 2007, p. 883, che ritengono che il “microsistema arbitrale” contenga “previsioni non soltanto in ordine all’acceso all’arbitrato, ma anche in ordine al procedimento arbitrale”.

[15] Cfr. ARIETA G., DE SANTIS F., Diritto processuale societario, Padova, 2004, p. 594.

[16] RICCI E.F., Il nuovo arbitrato societario in Riv. Trim. dir. e proc. civ, 2003, p. 523; CHIARLONI S., Appunti sulle controversie deducibili in arbitrato societario e sulla natura del lodo, in Riv. Trim. dir. E proc. civ., 2004, p. 133.

[17] NOBILI R., Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, p. 73.

[18] Zucconi Galli Fonseca E., Arbitrato societario: commento al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (rettificato e modificato dal d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37), artt. 34, 35, 36, 37, 41, a cura di Federico Carpi, Bologna, 2004, p. 5 ss.

[19] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 5 ss.

[20] Cfr. ARIETA G., DE SANTIS F., Diritto processuale societario, Padova, 2004, p. 594, ZUCCONI GALLI FONSECA E., sub art. 34, in Arbitrato societario, a cura di CARPI, Bologna, 2004, p. 3, mutuando analoga espressione di BRIGUGLIO G., Arbitrati obbligatori e arbitrati “da legge”, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, pp. 534 ss.

[21] Tra soci, tra soci e la società, tra la società e i soci e le persone che costituiscono gli organi. Così RICCI E.F., Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, p. 523.

[22] PAGNI I., Le azioni di impugnativa negoziale, Firenze, 1998, p. 515 ss.

[23] Quindi il legislatore delegato non ha utilizzato la delega nella parte in cui essa attribuiva al Governo il potere di prevedere la possibilità di clausole compromissorie statutarie anche in relazione a controversie relative a diritti non suscettibili di essere oggetto di una transazione (BOVE M., L’arbitrato nelle controversie societarie, in www.judicium.it, par. 2). È vero che il patto compromissorio non dispone del diritto sostanziale, bensì della sua tutela, se si vuole dell’azione, ma ciò non toglie che, comunque, non sembra concepibile tutelare un diritto indisponibile in un “ambiente” processuale lasciato in buona sostanza, a parte l’irrinunciabile ossequio ad alcuni principi fondamentali, alla disponibilità delle parti. Da quanto detto, che rappresenta il frutto di uno sviluppo secolare della teoria del patto compromissorio, emerge, fra l’altro, anche il motivo fondamentale per cui non può essere condivisa la recente giurisprudenza della nostra Corte di cassazione, secondo la quale l’eccezione di patto compromissorio sollevata di fronte al giudice statale porrebbe una “questione di merito” (cfr. Cass. 25 giugno 2002 n. 9289, in Judicium, 2003, I, p. 717, con nota di PUNZI). In questa giurisprudenza si trovano molti argomenti condivisibili. E’ vero che all’arbitro non è attribuita una “quota” della giurisdizione statale e che, quindi, i suoi rapporti con il giudice statale non possono essere inquadrati secondo lo schema della competenza; è vero che arbitrato e giurisdizione statale sono in alternativa tra loro, per cui è errato vedere in quello un primo momento di questa, un fenomeno naturalmente destinato a convogliarsi in questa attraverso l’exequatur e l’impugnazione di nullità; è vero che per decidere sull’eccezione di patto compromissorio il giudice pubblico deve anche occuparsi della validità di detto patto. Ma, ed è questo il punto, da tutte queste giuste affermazioni non può derivare la conseguenza per cui l’eccezione di patto compromissorio sarebbe “di merito”, per il semplice ed ineliminabile fatto (almeno nell’ordinamento attuale) che il patto compromissorio non dispone del diritto sostanziale, bensì solo della sua tutela. Il patto compromissorio è un presupposto processuale negativo, una condizione che non deve esistere perché il giudice statale possa e debba decidere nel merito la causa. Per maggiori approfondimenti vedi, se vuoi, BOVE M., Il patto compromissorio rituale, in Riv. dir. civ., 2002, pp. 403 ss., 417 ss.

[24] CHIARLONI S., op. cit., p. 126.

[25] Fazzalari E., L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Riv. Arbitrato, 2002, p. 444, Luiso F.P., Appunti sull’arbitrato societario, in http://www.judicium. it/focus/focus_glo.html, par. 3; Verde G., Sul monopolio dello Stato in tema di giurisdizione, in Riv. dir. proc., 2003, p. 371.

[26] AULETTA F., op. cit., p. 336.

[27] V. ZUCCONI GALLI FNSECA E., sub art. 34, op. cit., p. 14. Ritiene, inoltre, AULETTA F., op. cit., pp. 335 ss., che l’ipotesi di “denuncia al tribunale” di cui all’art. 2409 c.c. – nonostante il D.Lgs. 6/2003 vi abbia espunto la possibilità che essa sia richiesta su istanza del pubblico ministero, fatta eccezione per le società che ricorrono al capitale di rischio – rimanga non arbitrale, in quanto si tratterebbe di procedimento camerale “a contenuto oggettivo” e non di controversia “su diritti” intorno alla quale si possa decidere con efficacia di giudicato; sul punto si fa comunque rinvio al Commento dell’art. 2409 c.c. Dopo la riforma, Trib. Modena, 12.05.2004, ha ritenuto che la controversia inerente la nomina del liquidatore non sia devolvibile in arbitri, trattandosi di materia indisponibile.

[28] Cioè le controversie nelle quali la legge prevede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero ai sensi dell’art. 70 c.p.c. siano tutte quelle che hanno ad oggetto diritti indisponibili.

[29] ARIETA G., DE SANTIS F., op. cit., p. 615; SOLDATI N., Il processo societario, Milano, 2004, p. 161. In senso conforme anche LUISO F.P., op. cit., p. 566, secondo il quale se in una controversia è previsto l’intervento obbligatorio del p.m., essa è certamente non arbitrale; se tale intervento non è previsto come obbligatorio, occorre ancora stabilire se esso abbia ad oggetto un diritto disponibile o indisponibile, in quanto la mancata previsione di un intervento obbligatorio del p.m. non darebbe garanzie che la controversia riguardi un diritto disponibile. Contra, FAZZALARI E., op. cit., p. 444, secondo il quale il legislatore delegato, riaffermando la regola dell’arbitralità delle controversie su diritti disponibili, solo apparentemente avrebbe declinato l’invito contenuto nella legge di delega ad estendere l’arbitralità ai diritti indisponibili, in quanto avrebbe surrettiziamente sovvertito tale regola, restringendo l’area della incompromettibilità alle sole controversie sui diritti indisponibili per le quali è stabilito l’intervento del p.m.

[30] La disposizione in commento è riferibile anche al socio c.d. “occulto” (ZUCCONI GALLI FONSECA E., op. cit., p. 950.

[31] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 22.

[32] ARIETA G., DE SANTIS F., Diritto processuale societario, Padova, 2004, p. 610. Esemplificazione di questo discorso cfr., LUISO F.P., op. cit., p. 726 che sostiene: “Le situazioni del lodo sono vincolanti per la società allorché una transazione, un negozio di accertamento, o qualunque altro contratto di contenuto indentico al lodo non possa essere disconosciuto dalla società. Esemplificando, il lodo che accerti che essa spetti all’uno o all’altro è certamente vincolante per la società, perché ugualmente vincolante sarebbe un contratto fra due soggetti che stabilisce appunto chi di essi è socio della società. Analogamente, ove sia ceduto il credito al dividendo, e vi sia contestazione fra cedente e cessionario sull’efficacia della cessione, il lodo è vincolante per la società, che dovrà quindi pagare il dividendo a colui che risulterà vincitore della controversia”. A parere di BOVE M., L’arbitrato nelle controversie societarie, in www.judicium.it, par. 4, ciò vuol dire che nella norma “si può leggere solo il principio per cui il giudicato è estensibile a terzi, qui la società o anche altro socio, in base alle regole usuali, in particolare in base alla regola secondo la quale un terzo può subire gli effetti del giudicato solo se quegli stessi effetti si sarebbero potuti produrre nei suoi confronti mediante un negozio”.

[33] ARIETA, DE SANTIS, op. cit., p. 611.

[34] È il caso in cui, ad es. il terzo assuma lo status di socio per acquisto di nuove quote sociali, oppure nel caso in cui il terzo divenga socio per effetto della successione nello status di un precedente membro dell’ente.

[35] RUFFINI G., Arbitrato e disponibilità dei diritti nella legge delega per la riforma del diritto societario, in Riv. Dir. proc., 2002, p. 134 ss.

[36] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 26.

[37] RUFFINI G., op. cit., p. 514 s.

[38] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 41.

[39] Secondo CORSINI F., Riflessioni a prima lettura sulla riforma dell’arbitrato, in www.judicium.it, par. 3, il legislatore del 2006 aveva perso un’occasione per conferire, anche nel nostro ordinamento, all’autorità giudiziaria poteri più ampi di supplenza nella designazione degli arbitri, ogni qual volta il meccanismo concordato pattiziamente non possa funzionare.

[40] V. Cass. civ. Sez. I, 05/02/1997, n. 1090, Cass. civ. Sez. I, 25/03/1998, n. 3136: “è nulla per violazione del principio inderogabile secondo cui gli arbitri debbono essere designati con il concorso della volontà di entrambi i contraenti, la clausola dello statuto di una cooperativa che devolva la risoluzione di determinate controversie fra la società ed i soci ad un collegio di probiviri, senza prevedere la necessità di nomina del collegio stesso anche da parte del socio in lite, con la conseguenza della diretta operatività dell’art. 2527, comma 3, c.c., che prevede l’opposizione del socio al tribunale avverso la deliberazione assembleare di esclusione dalla società nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della deliberazione stessa, senza che rilevi la data di comunicazione della avvenuta costituzione del collegio arbitrale”; inoltre, v. Cass. civ. Sez. I, 30/08/1999, n. 9114: “La clausola compromissoria dello statuto di una società che devolva al collegio dei probiviri la soluzione di determinate controversie tra società e soci, non è di per sè nulla, ma lo è solo ove sia dimostrata la concreta esistenza, in forza delle modalità di nomina, di una situazione incompatibile con il requisito dell’imparzialità che gli arbitri devono avere. L’accertamento di tale eventuale nullità implica indagini di fatto riservate al giudice di merito e non esperibili in sede di legittimità”.

[41] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 42.

[42] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 43.

[43] A commento di quanto appena detto v. LUISO F.P., Il Consiglio di Stato interviene sull’arbitrato dei lavori pubblici, in www.judicium.it.

[44] NELA P.L., op. cit., p. 929. V. Trib. Milano, 30/04/2008: “la regola generale, per cui gli arbitri sono tenuti a giudicare sulla propria potestas iudicandi, cioè ad accertare l’esistenza, la validità e l’esatta portata della clausola compromissoria, non esclude la competenza del Giudice ordinario, quando si tratti di giudicare della legittimità della delibera assembleare che abbia introdotto una clausola compromissoria”.

[45] Si conferma come modello generale di introduzione del giudizio arbitrale.

[46] Il registro delle imprese preso cui effettuare il deposito è quello del luogo ove ha sede la società e non quello ove ha sede l’arbitrato (CORSINI F., op. cit.; ARIETA G., DE SANTIS F., op. cit., p. 645.

[47] AULETTA F., Dell’arbitrato, in La riforma della società. Il processo, a cura di Sassani, Torino, 2003, p. 345.

[48] AULETTA F., op. cit., p. 345.

[49] AULETTA F., op. cit., p. 344; CORSINI F., op. cit., p. 1294; LUISO F.P., op. cit., pp. 717 ss; ID., in Il nuovo processo societario, op. cit., p. 579; RICCI E.F:, op. cit., p. 531; BIAVATI P., Il procedimento nell’arbitrato societario,in Riv. Arb., 2003, p. 32; MAJORANO A., sub art. 34, in I procedimenti in materia commerciale, a cura di Costantino, Padova, 2005, p. 779.

[50] Cioè prenderne visione ed estrarne copia: CORSINI F., op. cit.

[51] AULETTA F., op. cit., p. 344;

[52] Contra, BIAVATI P., op. cit., p. 36 ss.

[53] Sotto altro profilo, si è proposto di estendere l’operatività della norma anche alle domande tra i soci (NELA P.L., op. cit., pp. 978 s.); ma l’opinione prevalente è in senso contrario (CORSINI F., op. cit.; LUISO F.P., op. cit., p. 717; BIAVATI P., op. cit., p. 36 ss.; dubbi sull’opportunità dell’esclusione sono peraltro espressi da ARIETA G., DE SANTIS F., op. cit., p. 645, e da MAJORANO A., op. cit.

[54] CORSINI F., op. cit.

[55] CORSINI F., op. cit.; ARIETA G., DE SANTIS F., op. cit., p. 647.

[56] LUISO F.P., op. cit., p. 718; CORSINI F., op. cit.

[57] LUISO F.P., op. cit., p. 718

[58] AULETTA F., op. cit., p. 345; ARIETA G., DE SANTIS F., op. cit.; MAJORANO A., op. cit., pp. 780 ss.

[59] Così MAJORANO A., op. cit., p. 781; v. anche NELA P.L., op. cit., che prospetta addirittura la possibilità che, in caso di mancato deposito della domanda, gli arbitri rifiutino di fissare l’udienza: la soluzione appare peraltro non priva di inconvenienti, aprendo la strada ad una sospensione sine die del procedimento; cfr. per analoghe perplessità, CORSINI F., op. cit., secondo ci in tal modo verrebbe introdotta una condizione di procedibilità non prevista dalla legge.

[60] Cfr. Auletta F., op. cit., p. 348; Luiso F.P., op. cit., p. 581.

[61] Così, Ricci E.F., op. cit., par. 5; parte della dottrina sottolinea la necessità che il procedimento arbitrale sia strutturato in almeno un’udienza; in questo senso, NELA P.L., op. cit., p. 988, il quale reputa opportuno assicurare un minimo di oralità nella trattazione.

[62] Nello stesso senso, Auletta F., op. cit., p. 346, il quale ammette, in ogni caso, l’ipotesi di un procedimento arbitrale privo di udienze.

[63] La norma non chiarisce quale sia il soggetto tenuto ad adempiere a tale obbligo. Alcuni ritengono che il deposito potrebbe essere fatto da chiunque, analogicamente a quanto previsto in tema di trascrizione dall’art. 2666 c.c. (di tale avviso, Luiso F.P., op. cit., p. 579.); altri, argomentando dal tenore dell’art. 35, co. 5-bis, affermano che obbligati al deposito siano gli amministratori (Santagada G., L’arbitrato e la conciliazione, in AA.VV., Il nuovo processo societario, Milano, 2006, p. 281, la quale motiva in ragione dell’esistenza di un “obbligo di disclosure di vicende relative alla società gravante sugli amministratori”). Non però è chiaro quale sia l’effetto conseguente all’inosservanza di tale obbligo. Secondo una parte della dottrina non vi sarebbe sanzione alcuna (Vedi ad esempio Luiso F.P., op. cit., il quale parla di pubblicità-notizia); secondo altra parte, invece, il mancato deposito della domanda comporterebbe il venir meno del limite temporale entro cui effettuare l’intervento (Arieta G., De Santis F., op. cit., p. 645; Auletta F., op. cit., p. 345; Nela P.L., op. cit., p. 977, il quale si esprime in termini di pubblicità-dichiarativa).

[64] Così, Arieta G., De Santis F., op. cit., p. 653; BOVE M., op. cit., p. 486; CORSINI F., op. cit., p. 1293; Luiso F.P., op. cit., p. 582.

[65] BIAVATI P., Il procedimento nell’arbitrato societario, in Riv. arb., 2003, p. 36.

[66] In tal senso: MANDRIOLI C., op. cit., p. 483; DANOVI F., La pregiudizialità nell’arbitrato rituale, Padova, 1999, pp. 112 ss.; VINCRE S., Note sulla sospensione nell’arbitrato rituale, in Riv. dir. proc., 1999, pp. 457 ss.

[67] Cfr., in tal senso, MANDRIOLI C. op. cit.; VINCRE S., op. cit.

[68] TEDOLDI A.M., Le questioni pregiudiziali di nullità nell’arbitrato rituale: dall’art. 819 c.p.c. all’arbitrato societario (art. 35, comma 3, D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5) in www.judicium.it

[69] Se cioè gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai limiti della convenzione.

[70] La violazione del contraddittorio non costituisce quindi propriamente un vizio del procedimento (non è un caso che la legge delega lo preveda come vizio a sé, rispetto alla “sindacabilità in via di azione o di eccezione della decisione per vizi del procedimento”): cfr. Luiso F.P., Sassani B., La riforma del processo civile, Milano, 2006, p. 264: “se anche le norme processuali avevano un contenuto tale da non consentire il rispetto del principio del contraddittorio, ma essa di fatto è stato attuato, il lodo potrà essere valido ai sensi del n. 4 del secondo comma, ma non per la violazione del principio del contraddittorio.”

[71] BIAVATI P., Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale, Torino, 2005, p. 143 ss.

[72] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 60.

[73] La dottrina è orientata a valorizzare l’efficacia ultra partes del lodo, anche come profilo che giustifica le altre scelte del legislatore (dalla pubblicità della domanda di arbitrato all’intervento dei terzi): v. SASSANI B., op. cit., p. 70;  RICCI E.F., op. cit., par. 4.

[74] V. le riflessioni sui nuovi poteri cautelari degli arbitri societari in SASSANI B., op. cit., p. 71 e in LUISO F.P., op. cit, par. 13.

[75] Non mi pare, anche sulla scorta dell’esperienza dell’arbitrato transnazionale, che il divieto di emettere misure cautelari debba rientrare negli elementi inderogabili dell’istituto, salva, naturalmente, l’impossibilità di ottenere l’assistenza del giudice statuale. V., per spunti in questo senso, MARENGO R., in BRIGUGLIOA., FAZZALARI E., MARENGO R., La nuova disciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, p. 137 e TOMMASEO F., Lex fori e tutela cautelare nell’arbitrato commerciale internazionale, in Riv. arb., 1999, pp. 9 ss. e pp. 26 ss.

[76] Ad esempio, l’art. 14 del regolamento della Camera arbitrale nazionale ed internazionale di Milano, secondo cui l’arbitro può condizionare il suo provvedimento alla prestazione di cauzioni, garanzie o altre cautele a carico della parte richiedente.

[77] V., ad esempio, l’art. 183 della legge svizzera di diritto internazionale privato (su cui v. WALTER J.H., L’arbitrato internazionale in Svizzera, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, p. 517 ss.). In un diverso contesto, v. HABSCHEID W.J., La giurisdizione arbitrale della Camera di Commercio Internazionale. Osservazioni sul nuovo Regolamento del 1998, in Riv. arb., 1998, pp. 643 ss. e 651; BERGAMINI L., La tutela cautelare negli arbitrati ICSID, in Riv. arb., 2002, p. 413 ss.

[78] Se, ad esempio, con la delibera impugnata la società ha deciso di alienare un bene immobile, il notaio, di fronte al provvedimento di sospensione, dovrà rifiutarsi di rogare l’atto pubblico di trasferimento. Per la parte che si oppone all’alienazione, basterà soltanto informare il notaio dell’emanazione dell’ordinanza. Insomma, il terreno prescelto dal legislatore è particolarmente idoneo a misure inibitorie, che, in definitiva, non hanno bisogno del braccio esecutivo dello Stato per essere attuate. V. CONSOLO C., Esercizi imminenti sul c.p.c.: metodi asistematici e penombre, in Corriere giuridico, 12/2002, p. 1544.

[79] TOMMASEO F., Lex fori e tutela cautelare nell’arbitrato commerciale internazionale, in Riv. Arb., p. 9 ss.

[80] AULETTA F., op. cit., p. 311 ss.

[81] Né la norma né tantomeno la relazione di accompagnamento  danno indicazioni in ordine ai tempi e modi di tale deposito.

[82] LUISO F., op. cit. , par. 8

[83] Si deve quindi ritenere che, ove si tratti di arbitrato amministrato, la segreteria dell’istituzione possa procedere ad effettuare il deposito. Cfr. Luiso F., op. cit., par. 8

[84] SANTAGADA G., Arbitrato e conciliazione, in AA.VV., Il nuovo processo societario, Milano, 2006, p. 281 la quale motiva in ragione dell’esistenza di un “obbligo di disclosure di vicende relative alla società gravante sugli amministratori”.

[85] AULETTA F., op. cit., p. 369.

[86] RUFFINI G., op. cit., p. 133 ss.; FUSILLO A., Disponibilità del diritto ed ammissibilità della clausola compromissoria nelle controversie in materia societaria, in Riv. arb., 2002, p. 317 ss., spec. p. 324.

[87] RUFFINI G., op. cit. , p. 149.

[88] In Germania l’arbitrato è ammesso anche nelle materie sottratte alla disponibilità negoziale delle parti, purché la controversia abbia un oggetto patrimoniale. Il par. 1.030, comma 1, ZPO dispone che “Jeder vermögensrechtliche Anspruch kann Gegenstand einer Schiedsvereinbarung sein. Eine Schiedsvereinbarung über nichtvermögensrechtliche Ansprüche hat insoweit rechtliche Wirkung, als die Parteien berechtigt sind, über den Gegenstand des Streites einen Vergleich zu schließen.”. Sul punto cfr.: SCHWAB K.F; WALTER G., Schiedsgerichtsbarkeit6,  München, 2000, p. 35 ss.; HENN G., Schiedsverfahrensrecht3, Heidelberg, 2000, p. 8 ss.; LÖRCHER G, LÖRCHER H., LÖRCHER T., Das Schiedsverfahren – national/international – nach deutschem Recht2, Heidelberg, 2001, p. 11 ss.; LACHMANN J.P., Handbuch für die Schiedsgerichtspraxis2, Köln, 2002, p. 75 ss..

[89] NARDELLI M., Le controversie societarie tra giudice ordinario ed arbitri, in Giur. merito 2008, 2, 412.

[90] RICCI  E.F. op. cit., par. 7.

[91] Mediante il nuovo arbitrato si possano sospendere le delibere assembleari se non hanno ad oggetto diritti disponibili; tale provvedimento non sarebbe soggetto neanche a reclamo.

[92] ATTI DEL CONVEGNO 23 maggio 2003 Ancona: “Arbitrato nel nuovo diritto societario alla luce delle disposizioni del D.Lgs n 5 del 17 gennaio 2003, p. 7.

[93] VILLANI M., L’arbitrato in materia societaria, in Rivista di finanza, 2004, pp. 10-11.

[94] LUISO F.P., op. cit., p. 705 ss. , spec. p. 723.

[95] AULETTA F., op. cit., p. 349; Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 70.

[96] Zucconi Galli Fonseca E., op. cit., p. 70.

[97] RUFFINI, G., op. cit., p. 499 ss.

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