Sanzione disciplinare e obbligo di comunicazione effettiva: il Tribunale di Catania ribadisce le garanzie del diritto di difesa del lavoratore
Nota a sentenza: Tribunale di Catania, Sezione Lavoro, 24 giugno 2025, n. 2707
1. Il principio riaffermato: senza effettiva comunicazione, la sanzione è nulla
La sentenza n. 2707/2025 del Tribunale di Catania, Sezione Lavoro (Giudice dott.ssa Luisa Maria Cutrona), offre un contributo rilevante in materia di diritto disciplinare del lavoro, riaffermando un principio cardine: la validità della sanzione disciplinare presuppone la prova dell’effettiva comunicazione della contestazione al lavoratore.
L’omessa dimostrazione della consegna o almeno della “lettura” del contenuto dell’addebito disciplinare rende inefficace la contestazione e, per conseguenza, illegittimo l’intero procedimento sanzionatorio.
2. Il caso concreto: contestazione “breve manu” e rifiuto del lavoratore
Il lavoratore, autista addetto alla raccolta dei rifiuti, aveva ricevuto una contestazione disciplinare per presunto danno a un mezzo aziendale, seguito dall’irrogazione della multa di due ore di retribuzione e da trattenute in busta paga per Euro 450 a titolo di rivalsa per le spese di riparazione.
L’azienda sosteneva di aver regolarmente comunicato l’addebito “breve manu”, ma il lavoratore si era rifiutato di firmare o accettare la lettera.
Il ricorso al Tribunale mirava a far dichiarare l’illegittimità della sanzione e a ottenere la restituzione delle somme trattenute.
3. La questione centrale: quando la comunicazione “breve manu” è efficace
Il punto dirimente del giudizio è stato la valida comunicazione della lettera di contestazione.
Secondo la giurisprudenza consolidata, nel rapporto di lavoro il datore può legittimamente consegnare la contestazione direttamente sul posto di lavoro, e il rifiuto ingiustificato del dipendente di riceverla equivale, ai sensi dell’art. 1335 c.c., alla regolare comunicazione. Tuttavia, perché ciò avvenga, è necessario che il datore dia prova di aver tentato di consegnare e di far conoscere il contenuto dell’atto, anche mediante lettura ad alta voce o apertura della busta in presenza del lavoratore.
Il Tribunale di Catania ha accertato che tale prova non era stata fornita.
L’azienda si era limitata a dichiarare che il dipendente “si era rifiutato di firmare la contestazione”, ma non aveva dimostrato di averne letto o tentato di leggere il contenuto, né aveva citato in giudizio i testimoni idonei a confermare tale circostanza.
4. L’onere della prova e la decadenza istruttoria del datore
La società resistente aveva chiesto di escutere i testimoni che avrebbero potuto confermare la lettura della contestazione, ma non li aveva regolarmente citati alle udienze fissate.
Il giudice ha dichiarato la decadenza dalla prova testimoniale ai sensi dell’art. 104 disp. att. c.p.c., rilevando che l’omessa citazione dei testimoni, senza giustificato motivo, comporta la perdita del diritto di assumerli.
In mancanza di elementi oggettivi e testimonianze attendibili, non poteva ritenersi provata la comunicazione della contestazione.
5. La violazione del diritto di difesa del lavoratore
La decisione valorizza un principio cardine dello Statuto dei Lavoratori (art. 7, L. 300/1970): la garanzia del contraddittorio disciplinare.
Il lavoratore deve poter conoscere il contenuto preciso dell’addebito e disporre di un termine per esercitare il diritto di difesa.
In assenza di una comunicazione effettiva, la contestazione non esiste in senso giuridico, e ogni sanzione successiva è radicalmente nulla.
Nel caso di specie, il giudice ha dichiarato l’illegittimità della multa di due ore di retribuzione e ha condannato l’azienda a restituire le somme trattenute, comprensive sia della sanzione pecuniaria sia delle trattenute per i danni al veicolo aziendale.
6. L’onere probatorio sul danno al mezzo aziendale
Oltre all’illegittimità procedurale, il Tribunale ha escluso anche la responsabilità civile del lavoratore per il guasto al mezzo.
Richiamando il consolidato principio della Cassazione (n. 18375/2006), ha precisato che è onere del datore di lavoro provare che il danno è derivato da condotta colposa del lavoratore.
Solo una volta assolto tale onere, spetta al lavoratore dimostrare la propria assenza di colpa.
Nel caso concreto, la società non aveva prodotto alcuna prova idonea a dimostrare la colpa del dipendente, basandosi esclusivamente su dichiarazioni interne non confermate in giudizio.
Le trattenute di Euro 450 sono state dunque dichiarate illegittime, e l’azienda è stata condannata a restituire le somme.
7. Le implicazioni della pronuncia
La sentenza del Tribunale di Catania assume particolare rilievo sistemico in almeno tre direzioni:
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Tutela sostanziale del diritto di difesa – Il giudice riafferma che le garanzie procedimentali non sono meri formalismi: il datore deve dimostrare di aver effettivamente messo il lavoratore in condizione di conoscere e difendersi.
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Effettività dell’onere probatorio – In materia disciplinare, il datore non può limitarsi a dichiarazioni unilaterali o relazioni interne; deve fornire prova piena e documentata della consegna e del contenuto della contestazione.
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Distinzione tra responsabilità disciplinare e patrimoniale – La rivalsa per danni al mezzo aziendale non può essere automatica, ma richiede l’accertamento di una colpa specifica.
8. L’impatto pratico per datori e lavoratori
Per i datori di lavoro
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Le contestazioni disciplinari devono essere tracciabili e documentate: se il lavoratore rifiuta di firmare, occorre leggere il contenuto o redigere verbale di consegna sottoscritto da testimoni.
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La modalità “breve manu” è valida solo se vi è certezza della conoscenza del contenuto da parte del dipendente. In alternativa, occorre ricorrere alla raccomandata A/R o alla PEC.
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Le trattenute in busta paga per danni non possono essere effettuate unilateralmente, ma solo dopo accertamento della colpa.
Per i lavoratori
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Il rifiuto di ricevere un atto non li tutela se il datore prova di averne dato lettura; ma se tale prova manca, la sanzione è nulla.
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Possono agire per ottenere la restituzione delle somme trattenute e la cancellazione della sanzione dal fascicolo personale.
9. Conclusioni
Il Tribunale di Catania, con la sentenza n. 2707/2025, ribadisce un principio di civiltà giuridica nel rapporto di lavoro: la potestà disciplinare non può essere esercitata in modo sommario o simbolico, ma deve rispettare il contraddittorio e le regole di effettiva conoscibilità dell’addebito.
L’assenza di prova della comunicazione reale rende invalida la sanzione, e la mancanza di elementi di colpa esclude qualsiasi trattenuta patrimoniale.
La decisione si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a rafforzare le garanzie sostanziali del lavoratore e a contrastare prassi aziendali poco trasparenti.
Il messaggio per le imprese è chiaro: la disciplina del potere sanzionatorio è parte integrante del principio di correttezza e buona fede contrattuale, e ogni sua violazione può comportare non solo l’annullamento della sanzione ma anche la condanna alla restituzione e al pagamento delle spese di lite.

